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tecnologia

Il telefono è un’arma in mano ai ragazzi

L’iperconnessione a età sempre più basse presenta una serie di conseguenze con cui si trovano a fare i conti genitori, educatori e forze dell’ordine. Tra gli effetti più gravi vi sono depressione, iperattivismo, violenza, pornografia e persino suicidi. Un’emergenza educativa, in cui lo Stato è chiamato a fare la sua parte accanto ai genitori. La docente alla Bussola: «Spesso i genitori comprendono troppo tardi». 

Attualità 14_11_2022

Già da qualche anno si stanno levando voci sempre più numerose che dall’America denunciano i legami fra depressione, incapacità di concentrarsi, insonnia, difficoltà nelle relazioni, iperattivismo e violenza legata all’uso dei cellulari da parte di bambini e adolescenti. Anche l’Italia si sta accorgendo di quanto le nuove tecnologie incidono sulla crescita sana dell’essere umano. Recentemente, infatti, la Società italiana di Pediatria (Sip) ha elaborato un documento, forte anche della supervisione di 68 studi in merito, in cui chiarisce che «la sovraesposizione alla tecnologia al di sotto dei 12 anni può causare gravi conseguenze per lo sviluppo del bambino». 

Ma di che si tratta? «Riduzione del movimento con aumento del rischio di obesità; privazione del sonno; difficoltà di apprendimento; irritabilità; effetti negativi sull’attenzione; maggior rischio di depressione infantile e ansia; aumento dell’impulsività; diminuzione della capacità di autocontrollo». Parallelamente a questi problemi fisici ed educativi crescono le segnalazioni per abuso di bambini, anche molto piccoli, che vengono adescati in rete, mentre i genitori lasciano fra le loro mani telefonini o tablet.

Basti pensare alla recente denuncia di una madre la cui figlia, di 9 anni, era stata agganciata da due giovani uomini che le avevano chiesto di inviare loro via internet video in cui compiva atti sessuali con il fratellino di 6 anni. Già nel 2015 alcune bambine di 10 anni erano finite nella trappola della pedofilia online, mentre solo due settimane fa la polizia postale ha consegnato l’esito dell’operazione "Poison": su diverse chat, a cui avevano accesso 700 minorenni (anche di 10 anni), comparivano abusi di bambini piccolissimi, violenze sessuali e di ogni tipo, cadaveri e corpi mutilati. Infine, è ormai abituale leggere notizie di arresti per pedo-pornografia, in cui l’adescamento dei minorenni avviene appunto online.

È impossibile non domandarsi dove siano i genitori e come sia possibile che permettano l’uso di questi dispositivi anche ai piccoli. Soprattutto perché la tendenza ad offrire la tecnologia come calmante fin dalla più tenera età non è isolata (basti fare un giro per vedere anche neonati in carrozzina tenuti buoni dai cellulari). A raccontare poi alla Bussola cosa avviene nelle case di tanti italiani è Valeria Bertin, docente della scuola primaria e presidente di Caso Arte Scienza Movimento, associazione che da 22 anni si occupa dell’educazione dei bambini attraverso l’arte, la scienza e lo sport: «Insegnando alle elementari e gestendo numerose attività per minori, mi sono resa conto dei problemi enormi e diffusi causati dal cellulare e dalla cattiva educazione delle famiglie. Spesso anche perché i genitori comprendono troppo tardi i danni che questi strumenti recano ai figli. A volte non hanno la minima idea di cosa passi nelle chat, ma alcuni vengono da me disperati perché vedono i figli cambiati e dipendenti dai dispositivi che loro stessi gli hanno concesso, come se non si potesse fare diversamente perché "tutti ce li hanno". Oppure mi dicono: "Alla fine ho ceduto", come se il processo fosse ineluttabile. E ancora: "Ho controllato quante ore ha passato su internet...ci è stato un pomeriggio intero" e io chiedo: "Ma tu dov’eri?"».

Bertin racconta che anche i docenti si stanno rendendo conto di quanto il problema sia diffuso: «Nella mia scuola un bambino di 8 anni ha picchiato i genitori perché gli hanno tolto internet, significa che siamo alle crisi di astinenza. Noi insegnanti stiamo osservando gli alunni e vediamo cose mai viste prima: i piccoli non sanno stare fra loro, non hanno regole, non reggono le frustrazioni, hanno problemi crescenti di concentrazione e apprendimento. Vedo bambini di pochi mesi con in mano il cellulare senza che le madri si accorgano dei danni che stanno causando in cambio di un momento di calma». E cosa dice agli adulti Bertin? «Dico ai genitori di rimandare l’uso di questi strumenti il più tardi possibile: chiediamo ai minorenni di non guidare e di studiare prima di afferrare un volante mentre concediamo i telefonini come fossero tricicli quando invece sono delle Ferrari. Inoltre ricordo che i primi a non abusare delle nuove tecnologie devono essere loro. Siamo noi adulti i primi dipendenti. Credo però che oltre ad educare i genitori serva un movimento culturale che non li lasci soli, che parli del problema e lo affronti».

Un piccolo movimento si sta creando all’interno della polizia italiana. Anna Curcuruto, sovrintendente della Polizia di Stato a Reggio Calabria, gira le scuole da qualche anno insieme a diverse sue college per dire che «il problema è che la famiglia non è più capace di dire "no", abbiamo avuto mamme che ci rispondono che a 11 anni danno il telefono ai figli "perché altrimenti mio figlio dentro casa mi fa la guerra". Allora io mi chiedo: dove abbiamo sbagliato?». E poi aggiunge: «Quando i vostri genitori vi danno in mano un telefono, vi stanno consegnando un’arma, le parole uccidono». La polizia racconta ad esempio che «Edith, 8 anni e mezzo, si è impiccata in un armadio. Matteo, 11 anni, si è impiccato nella sede degli scout…. Eliana, 15 anni, si è buttata sotto un treno, perché ha voluto che il suo corpo fosse fatto a pezzi perché la sua anima era già a pezzi. Ma noi non ce li ricordiamo, li lasciamo al loro trafiletto di cronaca e andiamo oltre: tutto quello che facciamo è mettere un "mi piace", un "like", un "fai schifo", un "non vali niente"». 

Ma a queste conseguenze estreme, figlie anche del vuoto di senso e della crisi della famiglia, si affiancano appunto i danni educativi elencati dal documento della Sip, magari meno eclatanti ma che toccano un’intera generazione. E il fenomeno è tale che persino la politica sta cominciando ad occuparsene: si pensi alla proposta di legge legata ai divieti di uso della tecnologia da parte di bambini e minorenni. A qualche voce che si alza nel mondo legislativo italiano si stanno affiancando poi quelle di specialisti e psicologi che concordano con il possibile stop della vendita di cellulari ai minori di 14 anni. Recentemente, dopo il suicidio di un 13enne di Gragnano, lo psichiatra Paolo Crepet ha ricordato che, se la famiglia deve farsi carico con più forza dei suoi figli, lo Stato deve comunque agire al suo fianco.