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PERICOLI FISICI E PSICHICI

Allarme smartphone ai minori, anche la politica se ne accorge

Che smartphone e tablet stiano trasformando gli esseri umani, con un gap generazionale dall’ampiezza mai vista, lo abbiamo già visto. Dopo chiusure e Dad alcuni parlamentari hanno però presentato un disegno di legge per vietare questi dispositivi sotto una certa età prevedendo sanzioni per chi viola la norma. Al di là dell'efficacia delle misure presentate, si evidenzia un problema da cui non è più possibile scappare. A meno di voler scavare la fossa ai propri figli.

Educazione 10_05_2021

Che smartphone e tablet stiano mutando in brevissimo tempo gli esseri umani, con un gap generazionale dall’ampiezza mai vista, lo abbiamo già ricordato. La prima a fare una ricerca su un campione di milioni di adolescenti nati fra la fine degli anni ’90 e il 2000 è stata una sociologa americana, J. Twenge, che ha classificato questi nuovi individui come membri dell’ iPhone generation. Il suo libro, tradotto in italiano con il titolo di “Iperconessi”, segnala gli effetti di questa appendice dei nostri corpi sia sullo sviluppo celebrale, sia su quello sessuale e fisico in generale, sia sullo sviluppo psicologico, con risultati spaventosi e danni irreversibili per quanto riguarda il primo e il secondo campo.

Ovviamente, con la pandemia e i lockdown, resi possibili dalla grande offerta delle aziende Big Tech, subito pronte a lanciare piattaforme per permettere le chiusure delle scuole e degli uffici, il problema si è aggravato. Tanto da portare diversi parlamentari, fra cui l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, a presentare un disegno di legge che prevede multe fino a 1.500 euro per i genitori che permettono l’uso autonomo di dispositivi che si collegano alla rete ai minori di 12 anni. Se il testo fosse approvato dagli 0 ai 3 anni l’uso sarebbe vietato anche in presenza dei genitori mentre con il crescere dell’età crescerebbero i tempi dell’utilizzo ma sempre in presenza di adulti. La norma prevede inoltre il divieto di utilizzare questa tecnologia nelle scuole primarie e secondarie, fatte salve eccezioni per le persone con disabilità che necessitano di alcuni sussidi con l’accompagnamento di adulti.

Al di là del fatto che le ore previste sono comunque troppe e che il problema della dipendenza non sia solo dei bambini, ma innanzitutto degli adulti e di un mondo che li costringe ad usare questo tipo di tecnologia con la normale imitazione dei più grandi da parte dei più piccoli (imitazione di cui il Ddl pur parla), è interessante leggere quanto riportato dalla proposta di legge circa le conoscenze scientifiche a riguardo e al fatto che ormai la realtà del male generata da questi dispositivi è un’evidenza che può negare solo chi non voglia vederla.

Nel testo si parla di “difficoltà di apprendimento, ritardi nello sviluppo del linguaggio, perdita della concentrazione, aggressività ingiustificata, alterazioni dell’umore, disturbi del sonno, dipendenza” come “solo alcuni degli effetti che eminenti studiosi hanno riscontrato dopo aver verificato le conseguenze che l’uso continuato di telefoni cellulari e di altri apparecchi radiomobili provocherebbe nei bambini e negli adolescenti”.

Pertanto, scrivono i firmatari del Ddl, “si ritiene necessario intervenire... per tutelare soprattutto chi vede in un telefono cellulare un innocuo strumento di svago e divertimento. Chissà quante volte al giorno assistiamo... a scene in cui bambini, sotto gli occhi di genitori a dir poco compiaciuti e compiacenti, utilizzano un telefono cellulare di ultima generazione per parlare con qualcuno oppure per aprire icone colorate”.

Eppure,da tempo i pediatri italiani stanno evidenziando i rischi a cui vanno incontro i giovanissimi”. Inoltre “nel novembre 2009, l’università di Örebro in Svezia ha svolto studi secondo cui i telefoni cellulari hanno effetti biologici sul cervello (aumento di una proteina chiamata transtiretina che, fra le altre funzioni, protegge il cervello da influenze esterne), precisando che  non appare però azzardato raccomandare cautela nell’uso di dispositivi wireless da parte dei bambini e degli adolescenti”. Nel dicembre 2015 poi “alcuni medici dell’Istituto di ricerca neuro-diagnostica di Marbella, in Spagna”, rilevarono che “una telefonata anche di soli due minuti avrebbe la capacità di alterare la naturale attività del cervello di un bambino fino a sessanta minuti dopo la fine della conversazione telefonica”.

Si tocca anche il tema delle radiazioni: “L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, nel 2011, ha classificato le onde a radiofrequenza (RF) tra i possibili agenti carcinogeni”. Altre agenzie governative statunitensi “hanno invece ritenuto di non classificare i telefoni cellulari fra i prodotti cancerogeni” specificando che “per ragioni di sicurezza, è sempre preferibile utilizzare... gli auricolari”.

Ci sono paesi che si stanno muovendo per cercare di arginare i danni: “In Belgio (dove un numero di abitanti compreso tra 100 e 150 si ammala ogni anno di tumore al cervello), in Irlanda e negli Stati Uniti d’America hanno avviato campagne volte a sensibilizzare la popolazione sull’argomento o hanno presentato progetti di legge per vietare la vendita di smartphone a minori di quattordici anni. Altre iniziative hanno previsto di bandire l’utilizzo di telefoni cellulari e di apparecchiature terminali di comunicazione elettronica nelle scuole e nei collegi, come è stato fatto in Francia”.

Viene poi ricordato che, nel 2012, una ricerca commissionata da una nota casa di software “ha evidenziato che oltre il 50 per cento dei bambini tra i due e i cinque anni di età sapeva come interagire con i giochi installati su un tablet, mentre appena l’11 per cento era in grado di allacciarsi le scarpe”. Ad aggravare il tutto, “la tendenza di molti genitori che permettono ai propri figli minorenni di portare con sé a letto smartphone, videogiochi e tablet perché convinti che possano conciliare il sonno”, mentre è vero esattamente il contrario.

Oltre alle questioni fisiche ed educative c’è poi il problema della “dipendenza” generata da questi dispositivi, da cui la nomofobia, una “paura incontrollata di rimanere sconnessi dalla rete... che può provocare effetti fisici collaterali simili a un attacco di panico”. Seguono le depressioni, l’apatia etc. Infine i pericoli del web, ingestibili per un bambino e adolescente. Qui non viene citata la pornografia e la crescita del traffico sessuale e della pedofilia online, ma si parla genericamente di “piattaforme digitali che... proliferano rappresentano un (altro) problema”, date anche le “recenti tragedie che hanno visto come vittime ragazzini partecipanti a ‘sfide estreme’ on line (come la pericolosissima ‘blackout challenge’)” che portano i ragazzi fino al suicidio.

Forse per questo coloro che hanno creato questi dispositivi hanno ideato anche scuole prive di tecnologia per i loro figli, mentre in casa praticamente vietano l’uso dei loro device fino ai 18 anni. Primo fra tutti Steve Jobs, che mise la sua mela mangiata su smartphone da vendere esclusivamente ai figli altrui. Un sondaggio del 2017 vide ben 907 famiglie leader della Silicon Valley affermare con Chris Anderson della 3D Robotics che avendo “visti i danni della tecnologia sulla mia pelle non voglio capiti anche a loro (i suoi figli, ndr)”. Lo stesso ha confermato Pierre Laurent di Microsoft e Intel alla Cbc, aggiungendo che i genitori non sono “consapevoli, non vedono le conseguenze” perché “non ci sono avvertimenti sul prodotto”. A parlare sono anche i pentiti di questo mondo, perché “abbiamo creato un sistema di gratificazione a breve termine... guidato dalla dopamina che sta distruggendo il modo normale in cui la società funziona”, per cui i suoi figli non possono “usare questa schifezza”. Parola dell’ex vicepresidente di Facebook Chamath Palihapitiya.

Difficile che leggi come quella proposta vengano approvate mentre il mondo è nelle mani di queste aziende, ma aprire gli occhi sul problema significa evitare di scavare la fossa ai propri figli che altrimenti ci faranno pagare il conto.