Il Senato "solare" fa ricchi gli indiani
In nome della conversione alle rinnovabili il Senato copre di pannelli fotovoltaici il tetto dell'Archivio di Stato, ma l'appalto va ad azienda tedesca controllata da indiani. E poi dicono che la green economy porterà lavoro in Italia.
In molti programmi elettorali l’economia verde, la green economy, sembra la soluzione in grado di metter fine a gran parte dei mali italiani: la crisi economica, la disoccupazione, l’inquinamento, la chiusura delle aziende italiane. Troppo spesso sui mass media e nei programmi dei partiti la rivoluzione verde è ridotta all’incrementare la produzione da fonti rinnovabili, in particolare il fotovoltaico. Chi non ricorda ad esempio Prodi nel 2005 quando, dichiarandosi un “militante di Kyoto”, disse:” «Io non ho avuto il tempo, altrimenti avrei messo i pannelli solari anche sul tetto della Fabbrica del Programma, un brutto capannone fuori Bologna».
La politica italiana da allora ha dato molto alle rinnovabili, sicuramente troppo rispetto a quanto è stata trascurata l’economia tradizionale che offre lavoro alla maggior parte de lavoratori, paga alte tasse e l’energia più cara d’Europa permettendo così di pagare anche gli incentivi alle energie rinnovabili. La misura ormai sembra colma al punto che in un editoriale del 3 febbraio del “Corriere della Sera”, da sempre schierato per la “green economy” anche con inserti “ad hoc”, è stato scritto: “Qualche anno fa, per favorire gli investimenti in energie rinnovabili si decise di sussidiare l'installazione di pannelli solari. Per far presto furono concessi incentivi che oggi, a pannelli installati, si traducono in una rendita di circa 11 miliardi di euro l'anno: li pagano tutte le famiglie nella bolletta elettrica e vanno a poche migliaia di fortunati. Non solo si è creata un'enorme rendita che durerà per almeno un ventennio: si è favorita una tecnologia che a distanza di pochi anni è già vecchia. Oggi l'energia solare si può catturare semplicemente usando una pittura sul tetto, con costi e impatto ambientale molto minori. Ma i nostri pannelli rimarranno lì per vent'anni e nessuno si è chiesto quanto costerà e che effetti ambientali produrrà la loro eliminazione”.
Un fatto recente, poco pubblicizzato, può dare l’idea di cosa sta accadendo. “Pannelli solari su tetto Archivio Stato Senato. Risparmio annuo di 50mila euro su bolletta elettrica”, questa la notizia dell’ANSA di pochi giorni fa. Ovunque si è scritto del solo risparmio, per leggere quanto si è speso occorre leggere il bando pubblicato sul sito del Senato : l’importo previsto era 370.000 euro. Naturalmente il risparmio è fittizio per il sistema paese in quanto si ha grazie agli incentivi pagati dalle aziende e cittadini italiani. Non paga il Senato direttamente con le tasse dei contribuenti, ma sono sempre gli stessi contribuenti che pagano con il sovraprezzo in bolletta, quindi la vera differenza è che per far funzionare il Senato non si contribuirà in base alla capacità contributiva, come prevede la Costituzione, ma al consumo secondo il principio del “Chi inquina paga”. E’ con questo nuovo criterio, ad esempio, che un “single” ad alto reddito che sta poco a casa contribuirà per le fonti rinnovabili meno di una famiglia numerosa a reddito medio-basso.
Ad aggiudicarsi la gara del Senato non sono stati gli italiani ma un'azienda che ha base in Italia (la Solon) ma che ha come azionista la tedesca Solon Energy gmbh, a sua volta di proprietà di azionisti indiani (Microsol) con sede negli Emirati Arabi Uniti. Quindi i soldi che nei discorsi dei politici producono un beneficio nel circuito virtuoso dell’economia italiana nella realtà vanno all’estero a sovvenzionare lavoratori stranieri sottopagati rispetto gli italiani e che producono non rispettando tutte le normative italiane previste in Italia.
L’accaduto ha generato la reazione del comitato IFI (Industrie Fotovoltaiche Italiane), l'associazione che raggruppa l'80% dell'industria nazionale di celle e moduli fotovoltaici. “Anche in quest’occasione prendiamo atto di come le istituzioni nazionali non salvaguardino e proteggano l’industria fotovoltaica italiana – dichiara Alessandro Cremonesi, Presidente di Comitato IFI – In un momento critico come l’attuale, in cui l’industria del solare italiano soffre di pesanti vessazioni, con cause drammatiche in termini di occupazione ed efficienza produttiva, siamo spiazzati dalla mancanza di tutela e dal totale abbandono delle imprese del Made in Italy.
La scelta di commissionare un impianto fotovoltaico, situato nel cuore delle Istituzioni italiane, a un gruppo di proprietà straniera ci conferma come non si stia operando per salvare la produzione italiana, già vittima di cambiamenti normativi penalizzanti e pesanti azioni di dumping da parte degli operatori extra-europei”.
Sembra che come sempre con il tempo la realtà stia prendendo il sopravvento sull’ideologia, anche di quella verde. Per incentivare le fonti rinnovabili elettriche in Italia nei prossimi vent'anni, dal 2013 al 2032, gli italiani pagheranno una bolletta di 200 miliardi di euro. Un valore consistente che è stato stimato da Assoelettrica e basata sui dati dell'Autorità per l'energia e il Gestore dei servizi elettrici (Gse).
La previsione, che valuta un totale di 220 miliardi dal 2009 al 2032, indica il picco di spesa nel 2016, quando si supereranno i 12,5 miliardi di euro di incentivi, che corrispondono a circa 200 euro per ogni cittadino, compresi i neonati. Una spesa che, se non si modificherà la situazione attuale - osserva l'associazione che aderisce a Confindustria - graverà sulle bollette elettriche di cittadini ed aziende.
Le nostre aziende pagano l’energia più cara d’Europa e quando non sono più competitive preferiscono delocalizzare. Gran parte dell’incentivo pagato in bolletta va all’estero a beneficio di economie straniere, la stessa scelta del Senato è stata fatta spesso inconsapevolmente da molti italiani. Tutti i politici discutono dell’IMU sulla prima casa che è dell’importo di circa 4 miliardi di euro all’anno, perché nessuno parla dei danni prodotti puntando tutto sull’investimento su una tecnologia verde “non matura”?