Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

PITTURA

Il Seicento Lombardo, sulle orme del Concilio di Trento

Il Seicento fu un secolo di grande fioritura artistica in Lombardia. Pittori e scultori si mossero nel solco tracciato da San Carlo Borromeo e nell'estetica dettata dal Concilio di Trento.

Cultura 04_11_2013
San Carlo Borromeo

Se si parla del Seicento lombardo viene in mente il nome più tonante di quell’epoca: San Carlo che, pur essendo morto nel 1584, fu un riformatore della Chiesa ambrosiana di tale incidenza che la sua azione proseguì anche nel secolo successivo, sino a oggi. Specialmente i primi decenni XVII secolo sono stati in Lombardia, dal punto di vista artistico, un periodo di eccezionale rigoglio. Nella pinacoteca di Brera a Milano è allestita una mostra (cinquanta quadri, alcuni dei quali recuperati nei depositi del museo) sulla pittura di quel momento che dà la possibilità di far conoscere meglio quell’interessante capitolo.

Non si può capire la pittura di quest’epoca senza tenere presente due fattori decisivi: il primo è la vita pastorale dei due Borromeo, Carlo e Federico, arcivescovo suo successore, il quale istituirà nel 1620 l’Accademia Ambrosiana per la formazione degli artisti, preoccupati di diffondere la fede attraverso le immagini sacre a livello popolare. Il secondo è il programma figurativo del Concilio di Trento, che ebbe in San Carlo uno dei protagonisti principali. Dal presule usciranno le linee guida che incideranno decisamente sulla scelta iconografica dei dipinti e sul modo stesso di fare arte.

L’espressività artistica dei Sacri monti e specialmente quello di Varallo in Valsesia aveva sancito l’unità tra pittura e scultura, all’insegna del realismo. L’arte dei sacri monti lombardi va intesa come un teatro sacro a scena fissa. Un ulteriore elemento che caratterizza la cultura lombarda già nel Cinquecento è la drammaturgia, diffusa nelle strade prima e poi nelle chiese, come strumento di comunicazione. Alla luce di questo si legge per esempio la grande “Trasfigurazione” di Giulio Cesare Procaccini, una delle opere più importanti dove si coglie un effetto scenografico di particolare intensità, con caratteri luministici finalizzati a una interpretazione coinvolgente, sul piano emotivo, del mistero rappresentato.

Questa visione “teatrale” si riflette anche nel “San Pietro Penitente” dello stesso Procaccini. Non si tratta di rappresentazioni solenni o auliche, ma severe e patetiche, specchio di un clima culturale permeato dal rigore riformato di Carlo Borromeo.

Severità ed essenzialità sono tratti che si riflettono anche nella tecnica degli artisti, un caso significativo è quello di Daniele Crespi, il quale fece numerosi ritratti di personaggi di spicco della società: medici, scienziati, giureconsulti. Daniele Crespi incarna gli aspetti più alti dell’Accademia di Federico Borromeo, la sua “Andata al Calvario” si distingue soprattutto per la manifestazione dei sentimenti drammatici, in ottemperanza alle prescrizioni del Concilio di Trento, secondo le quali la pittura doveva “ movère”, cioè commuovere. Nell’esigenza di una pittura di facile comprensione, l’“Andata al calvario” si caratterizza per l’impianto particolarmente grandioso.

Un artista significativo del primo ‘600 è Giuseppe Vermiglio. La sua “Natività con adorazione dei pastori” è l’esempio poetico di un artista che ha saputo valorizzare l’esperienza caravaggesca, essendo stato a Roma, e contemporaneamente la sua formazione nella tradizione milanese.
L’itinerario artistico proposto a Brera mantiene una sua unità e una sua compattezza, nel naturalismo dominante, elementi questi che delineano con chiarezza per tutto il secolo la scuola milanese. Questo incontro tra arte, fede e cultura è un invito a varcare la soglia della pinacoteca milanese.