Il segno dato ad Acaz: l’unica certezza per ogni epoca
La famosa profezia messianica di Isaia (7,14) viene pronunciata in un grave momento della storia d’Israele, quando il re è richiamato a confidare in Dio, anziché negli uomini. Quello stesso segno – l’Emmanuele dato alla luce dalla Vergine – è la chiave di volta per ogni epoca.
La Natività del Signore è ormai prossima e impone una pausa nell'indagine sulle crisi nella storia della Chiesa, per concentrarsi maggiormente in quel magnum mysterium a cui la liturgia ci riconduce. Il grande segno del Natale è espresso concisamente dal primo Vangelo: «Videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Mt 2, 11). Poco prima l'evangelista, presentando la nascita di Gesù, aveva esplicitamente richiamato l'adempimento della profezia di Isaia (cf. Is 7, 14): «Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1, 22-23). La Vergine e il bambino e i re del mondo che si prostrano per adorare.
Il contesto della profezia di Isaia è di fondamentale importanza per comprenderne lo spessore: non si tratta “solamente” di annunciare la nascita del Messia venturo, ma di mostrare il segno che Dio offre in ogni tempo per infrangere le onde minacciose del male e sbaragliare le potenze nemiche, della Chiesa e dell'uomo. Per comprenderlo, dobbiamo fare un salto indietro di circa sette secoli dalla nascita del Salvatore, in quel frangente della storia d'Israele che va sotto il nome di Guerra siro-efraimita (735-732 a. C.). Del conflitto e degli antefatti danno contezza sia il secondo libro dei Re (capitoli 15 e 16) che il secondo libro delle Cronache (capitolo 28), oltre che il capitolo 7 del libro del profeta Isaia.
Il re di Efraim (o Israele), Pekach (†732 a. C.), figlio di Romelia, e il re di Aram (o Damasco), Rezin (†732 a. C.), organizzarono un'improvvisa invasione del regno di Giuda, guidato allora dal re Acaz (†716 a. C.), puntando direttamente sulla sua capitale, Gerusalemme. Le ragioni di questa decisione sono incerte: sembra probabile che i due re avessero deciso di punire Acaz per il rifiuto di partecipare ad una lega anti-assira da loro organizzata. Non è da scartare l'ipotesi di un'alleanza tra Israele e Damasco per assoggettare il regno di Giuda, particolarmente prospero dopo il regno del padre di Acaz, Iotam (†735 a. C.), il quale «divenne potente, perché aveva sempre camminato davanti al Signore suo Dio» (2Cr 27, 6). Non così Acaz, che invece «non fece ciò che è retto agli occhi del Signore», ma preferì seguire «le strade dei re di Israele; fece perfino fondere statue per i Baal. Egli bruciò incenso nella valle di Ben-Hinnòn; bruciò i suoi figli nel fuoco, imitando gli abomini delle popolazioni che il Signore aveva scacciate davanti agli Israeliti. Sacrificava e bruciava incenso sulle alture, sui colli e sotto ogni albero verde» (2Cr 28, 1-4). Acaz era in sostanza un idolatra, giunto persino a sacrificare i propri figli al dio Moloch.
Per correggerne l'iniquità, Dio permise che Pekach e Rezin muovessero guerra contro di lui: «Fu dunque annunziato alla casa di Davide: “Gli Aramei si sono accampati in Efraim”. Allora il suo cuore e il cuore del suo popolo si agitarono, come si agitano i rami del bosco per il vento» (Is 7, 2). Ma nello stesso tempo, Dio aveva già pronta la soluzione per non essere travolti dalla paura e dai mali che incombevano e incaricò il suo servo Isaia di rivelarli ad Acaz: «Fa' attenzione e sta' tranquillo, non temere e il tuo cuore non si abbatta per quei due avanzi di tizzoni fumosi» (Is 7, 4). Jahvé offriva la propria protezione al regno di Giuda, ma richiedeva la fede del re e del suo popolo: «Se non crederete, non avrete stabilità» (Is 7, 9). Questo versetto, nell'originale ebraico, è una paronomasia difficilmente traducibile, ma il senso è appunto quello dato dalla traduzione: se non sarete fedeli, perirete, verrete meno. Poco prima, Isaia aveva preannunciato che il regno di Efraim avrebbe cessato di esistere entro sessantacinque anni, proprio a causa della sua infedeltà; Giuda rischiava di fare la stessa fine, se avesse proseguito nell'empietà di cui Acaz, i nobili e parte del popolo avevano dato spettacolo e se non avessero posto tutta la propria fiducia nelle mani dell'Onnipotente.
Dio dunque chiede di abbandonare gli idoli e di credere in Lui, di rigettare false sicurezze per appoggiarsi esclusivamente su quel Dio che ha dato prova della propria potenza, liberando il popolo eletto dalla mano del faraone. È dentro questo contesto di esortazione alla fede nel Dio di Mosè, che Egli domanda ad Acaz di chiedere un segno. Il re si rifiuta, dissimulando la propria incredulità con un finto timore del Signore: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore» (Is 7, 12). In realtà, Acaz aveva già tradito la fiducia nel Signore; di fronte ai «due tizzoni fumosi» si era precipitato a cercare soluzioni meramente umane, inviando messaggeri al re di Assiria per chiedergli di intervenire in proprio soccorso, promettendogli in cambio di diventare regno vassallo (cf. 2Re 16, 7-9): «Io sono tuo servo e tuo figlio; vieni, liberami dalla mano del re di Aram e dalla mano del re di Israele, che sono insorti contro di me».
Non può non colpire questa “invocazione” a Tiglat-Pileser III (†727 a. C.), che riecheggia le espressioni caratteristiche dell'attesa messianica. Acaz rigetta la fiducia in Dio per riporla nella forza di un regno empio che all'epoca appariva invincibile. Un'ala protettrice umana, che offriva sul campo evidenti prove della propria potenza, appare agli occhi di Acaz come più rassicurante dell'ombra delle ali di Jahvé (cf. Sal 57, 1), che sembrava offrire solo parole. Acaz aveva dimenticato da tempo la potenza della parola creatrice di Dio, preferendo la propria prudenza politica e “i fatti tangibili” delle abilità di Tiglat-Pileser.
Dio mostra ad Acaz il segno che si ergerà su ogni popolo e in ogni momento della storia, l'unico reale fondamento della stabilità dei regni e dei popoli, come di ciascun individuo: la Vergine partoriente l'Emmanuele. E ogni epoca dovrà rivivere questa sfida: confidare negli uomini, nei poteri di questo mondo, approfittare delle contingenze politiche per saltare sul carro del vincente di turno, oppure andare contro le apparenze e decidersi per Dio, il Dio che si fa carne nel grembo della Vergine. Il Natale ci ripropone con forza questo segno e attende da noi la risposta della fede. Nel bel mezzo della crisi della Chiesa, del crollo dell'Europa, degli sconvolgimenti mondiali, delle prove nella vita di ciascuno, Dio continua a darci sempre lo stesso segno: la Vergine partoriente l'Emmanuele, il Dio-con-noi di fronte al quale prostrarci e adorare, come fecero i Magi. E ad esortarci: «Se non crederete, non avrete stabilità».
Il sacerdozio di Cristo
Il sacerdote è colui che “media” tra Dio e gli uomini, perciò il sacerdozio è connaturale a Cristo, il mediatore perfetto. I tre scopi del sacrificio. Sacerdozio levitico e sacerdozio «secondo l’ordine di Melchisedech»: la spiegazione di san Tommaso. Le mediazioni subordinate.
Il pensiero di Lutero, precursore dell’assolutismo di Stato
Lutero creò di fatto una nuova religione, a misura degli interessi della nobiltà tedesca e minando il principio della libertas Ecclesiæ. I principi “riformati” si ritennero così liberi di attaccare la Chiesa e incamerarne i beni.
"La Vergine concepirà e partorirà un figlio"
L'approccio razionalistico alle Scritture ha portato a negare che la profezia di Isaia sia veramente tale. Ma un attento esame del testo e del contesto dimostra invece che il segno dato ad Acaz si riferisce davvero al Messia che uscirà dal popolo di Israele.