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MUSICA SACRA

Il santo e il peccatore: S. Nicola "raccontato" da Bononcini

Oggi, 1750 anni fa, nasceva nell’odierna Turchia san Nicola di Myra (o di Bari). Al grande vescovo orientale, il difensore dei deboli, il protettore dei naviganti, il santo taumaturgo, il protettore dei fanciulli, il compositore Giovanni Bononcini dedicò nel 1692 San Nicola di Bari, oratorio per quattro voci, concertino e grosso

Ecclesia 15_03_2020
San Nicola di Bari

Quest’anno — sarebbe nato il 15 Marzo 270 — ricorre il 1750° anniversario della nascita del vescovo di Myra nell’odierna Turchia, le cui reliquie riposano a Bari dal 1087, ugualmente venerato per la sua santità e la sua intercessione presso Dio sia nell'Oriente greco e slavo, sia nell'Occidente latino: san Nicola di Mira o di Bari (270-350).

Mentre le Poste Vaticane gli hanno dedicato un francobollo, noi vogliamo onorare questo anniversario attraverso la musica e, in particolare, con San Nicola di Bari, «oratorio per quattro voci, concertino e grosso», composto su libretto di Silvio Stampiglia nel 1692 da Giovanni Bononcini (1670-1747), noto soprattutto per essere stato a Londra rivale di G. F. Händel come operista. Tale composizione drammatico-musicale, senza scene e costumi, con solisti di canto e orchestra, di argomento religioso (ma extra-liturgico), fu eseguita per la prima volta a Roma, nella Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a piazza Navona (dal 1878 Nostra Signora del Sacro Cuore), nella Quaresima del 1693. Diversamente da quanto avviene oggi in analoghe occasioni sul piccolo schermo non solo televisivo, ci troviamo qui di fronte a un intrattenimento, allora tipico, con intenti di formazione ed educazione; in particolare, quello di incoraggiare gli ascoltatori nel percorrere il cammino della virtù.

Il grande vescovo orientale, il difensore dei deboli, il protettore dei naviganti, il santo taumaturgo, il protettore dei fanciulli futuro Santa Claus (nome corrotto di Sanctus Nicolaus) ci viene presentato qui in modo quasi inedito: quello dell’adolescente Nicola che, nei suoi rapporti con Giovanna, sua madre, Epifanio, suo padre, e con Clizio (un personaggio di fantasia), suo compagno di studi, si presenta modello di generosa obbedienza e di pronta disponibilità.

Questo anniversario ci offre l’opportunità di fare qualche accenno al luminoso oratorio di Bononcini, senza pretesa di trattarlo adeguatamente. Una sinfonia ripartita in due movimenti contrastanti, un largo e un allegro, introduce l’oratorio che annovera due parti e quarantacinque numeri. Sebbene si tratti di cinque quadri, che seguono il sistema retorico classico: exordium (introduzione), narratio (esposizione del fatto), confutatio (argomentazione), confirmatio (conferma), peroratio (chiusa).

È la famiglia cristiana di Nicola quella che Stampiglia pone già nel primo quadro (nn. 2-18), l’exordium, in cui Nicola si congeda dai suoi genitori prima di andare a studiare in Medio Oriente. Emergono, verso la fine del quadro, due compiti della madre di famiglia, come sono visti nell’educazione romana accanto al pater familias: insegnare l’agire morale («Sempre madre amorosa / Con vere leggi ad operar t’insegno») e favorire l’imitazione («dall’insegnamento altrui / Poi saggiamente impara»), come fa «l’ape ingegnosa», qui ben descritta dalla musica, che andando «A girar sul prato ameno» trae il prezioso nettare sia «da fior, c’hanno il veleno, / Che dal giglio e dalla rosa».

Il secondo quadro (nn. 19-25), la narratio, ci presenta Clizio, l’amico sregolato di Nicola, interpretato da un contralto, che, a ritmo di sarabanda, irrompe «Tutto fiamme, e tutto amore» alla ricerca del piacere. «Ma qui giunge Nicola» e i due ingaggiano uno scontro: Clizio sostiene che «fallo di gioventù sempre è leggiero» e Nicola ritiene che «peccar mai non si deve, / Che peccar mai non lice». Giocata con l’eco del violino, segue l’aria andante di Nicola «Il diletto è una sirena» a cui risponde più avanti Clizio: «Anche il cielo dimostra il perdono», quasi volendo limitare gli effetti dell’ira divina, ben rappresentata musicalmente.

La seconda parte dell’oratorio si apre con il terzo quadro (nn. 26-29), la confutatio, in cui Nicola in un dialogo serrato e teatrale ribatte le affermazioni di Clizio. «Il diletto?», domanda Clizio, «Un momento», replica Nicola. Pur ti miro, pur ti godo, lo splendido duetto finale dell’opera L’incoronazione di Poppea di Monteverdi (1643) è preso da Bononcini come spunto per l’aria «D’un bel ciglio», in cui Nicola promette all’ardente sguardo tra Clizio e le sue amanti di essere ridotto in cenere. Clizio si ostina nella sua posizione, ma Nicola insiste. Sconvolto, Clizio rimprovera se stesso: «Anima infida, / Il Ciel ti sgrida / D’infedeltà».

Il quarto quadro (nn. 30-37), la confermatio, rappresenta il pentimento di Clizio. L’amico che ammette: «Son gl’interni disastri / Degno tormento a tanti falli miei», è rassicurato da Nicola: «Non niega il Ciel sì glorioso dono; / E già nell’Alma tua giunto è il perdono». I due sono raggiunti dai genitori di Nicola, che vedono Clizio piangere e provano soddisfazione per la sua conversione. L’anima di Clizio è invasa di piacere; il suo cuore, raggiunto da un «Raggio eterno», ci rimanda alla transverberazione, la trafittura del cuore da parte di un angelo o di Cristo cara ai mistici. Nicola, dopo aver visto il volto del suo amico splendere come mai prima d’ora, evoca «Gli Astri, che in ciel scintillano» con l’eco virtuosistica di un violino.

Il quadro finale (nn. 38-45), la peroratio, vuole spingere i penitenti ad accostarsi al confessionale. Clizio intuisce che Nicola, «Se in età così acerba» sa riparare l’anima altrui, opererà portenti. Giovanna conferma e spera che non vi sia alcun ostacolo («So, che sdegna»). Nicola («Sempre del mio desio») si augura di seguire l’esempio «di giusti Eroi». Epifanio, nella sua aria («Ancor nel primo albore»), fa diventare tutti sicuri del fatto che «la fede ancora è cieca, / E pur guidar ne sa». Come reagisce di fronte «Al pensiero lusinghiero» Nicola? «Gli rispondo che non vo’». È calmato da Giovanna («Figlio, se in tanta pugna») chi rinuncia ai piaceri terreni: «Ché più colpa non ha, chi è ben pentito».

L’oratorio si conclude con un duetto — l’unico di tutto il lavoro — tra Nicola e Giovanna, in tempo vivace: «Quando il Cielo alle colpe s’adira, / Si mitiga l’ira, / Lo sdegno si frange / Da un Cor, che sospira, / Da un’Alma, che piange». Essi quasi invitano gli ascoltatori a celebrare la misericordia di Dio che nel sacramento della confessione ognuno può sperimentare personalmente; un invito quanto mai opportuno in tempo di Quaresima, non solo quella del 1693.