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Takasashi Nagai

Il santo che a Nagasaki vinse anche l’atomica

Tra i sopravvissuti alla seconda bomba atomica sganciata il 9 agoto 1945 su Nagasaki, un’ecatombe, un crimine orrendo, c'è anche Takasashi Nagai (1908-1951). A lui, il regista e produttore statunitense Ian Higgins (già autore nel 2009 di The 13th Day sulle apparizioni di Fatima) dedica All That Remains. Takasashi discende da una famiglia di nobili samurai confuciani e scintoisti, ma è l’ateismo a segnare la esistenza giovanile. Fino alla conversione al cattolicesimo.

Cinema e tv 08_08_2016
Takasashi Nagai

9 agosto 1945. Pochi secondi dopo le 11,02, il tempo impiegato da una bomba di 25 chilotoni per coprire la distanza tra l’aereo e la denotazione (pare circa 400-500 metri dal suolo), 40mila dei 240mila abitanti di Nagasaki, in Giappone, vengono vaporizzati all’istante lasciandosi dietro lo strascico di altri 50mila orrendamente mutilati e una pletora di fatto incalcolabile di rovinati nel fisico e nello spirito per anni e anni. 

Tra i sopravvissuti alla seconda bomba atomica sganciata su esseri umani della storia, un’ecatombe, un crimine orrendo, vi è Takasashi Nagai (1908-1951), a cui i due fratelli registi e produttori statunitensi Ian e Dominic Higgins (già autori nel 2009 di The 13th Day sulle apparizioni di Fatima) dedicano All That Remains (clicca qui), un film in dvd edito dalla Ignatius Press di San Francisco. Delicato e crudo allo stesso tempo, il lungometraggio è di quelli da vedere e da far vedere quanto più possibile. Una piccola perla del cinema indipendente, alternativo e low-budget che si avvale di intelligenti stratagemmi di postproduzione per superare gl’inevitabili inconvenienti tecnici di chi non può permettersi investimenti faraonici e che sfrutta con grande maestria il talento superbo del cast, anzitutto Leo Ashizawa, nei panni del protagonista.

Il film mescola sapientemente la presa diretta e le immagini, agghiaccianti, di archivio e ci restituisce una storia che il mondo ha tenuto sin troppo sotto traccia. Takasashi discende da una famiglia di nobili samurai confuciani e scintoisti, ma non sono queste credenze a dominare la sua gioventù. Piuttosto lo è l’ateismo di cui sono intrisi gli ambienti scientifici che frequenta. Studia, infatti, Medicina, e si specializza in Radiologia. E arriva alla fatidica Nagasaki, lui che è originario di Matsue. Al letto di morte della madre, nel 1930, Takasashi comincia però un lungo, profondo viaggio alla ricerca del senso dell’esistenza non pago delle risposte preconfezionate e stolide del razionalismo. 

Scopre così la storia dei kakure kirishitan, i “cristiani nascosti” costretti per secoli alla clandestinità dopo la micidiale persecuzione subita tra Cinque e Seicento allorché, dopo un primo momento di favore, la fede cattolica “straniera” e “al servizio” delle potenze europee venne bandita con particolare efferatezza (clicca qui). Un passato glorioso, questo, che trova proprio in Nagasaki un centro di rilancio, quando, nel momento in cui il Giappone cominciava timidamente a riaprirsi dopo essersi chiusi a riccio la città divenne il fulcro del cattolicesimo nipponico durante il periodo Meji (1869-1912). Takasashi incontra qui la maestrina Maria Midori Moriyama, e lei e la sua famiglia (capi dei kakure krisihitan per sette generazioni) incominciano a insegnargli la sublimità inarrivabile della fece cattolica. Tutto succede la notte di Natale del 1932, alla Messa di mezzanotte cui Midori ha invitato Takasashi. 

Qualcosa di gande e grandioso accade. Il giorno dopo Takasashi salva la vita di Midori azzeccando una diagnosi di appendicite acuta e trasportandola a braccia nella neve al più vicino ospedale. Il nazionalismo nipponico però incombe e la guerra anche, la guerra sino-giapponese. Al fronte, in Manciuria, Takasashi ha tempo e modo di toccare con mano il dolore e la crudeltà, e di ripensare al cattolicesimo, ma anche a Midori. Finalmente riceve il battesimo il 9 giugno 1934 con il nome di Paolo. Lo fa in memoria di san Paolo Miki , il martire cristiano crocefisso con 25 compagni nel 1597 sulle colline attorno a Nagasaki. 

Il dvd di All That Remains contiene anche un cortometraggio animato girato dai fratelli Higgins nel 2015, 26 Martyrs (clicca qui), breve, toccante, opportuno, oltre a un secondo contributo del padre marinista statunitense Paul Glynn, già autore nel 2009 del libro A Song for Nagasaki per la Ignatius Press, premessa dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo (1923-1996), e co-autore su queste stesse colonne di due articoli sui “cristiani nascosti” del Giappone (clicca qui) e sui martiri cinquecenteschi di Nagasaki (clicca qui).

Fra Takasashi e Midori c’era del tenero da tempo, discreto, velato, ma potente. Nel 1934 si sposano nella cattedrale di Urakami, a Nagasaki. Nel frattempo Takasashi è diventato un radiologo importante, anche di fama. Incontra san Massimiliano Kolbe, che dal 1931 al 1936 è in Giappone. La felicità è però un attimo, e Takasashi scopre di avere la leucemia. Lo scopre nel 1945, dopo quattro anni che il Giappone è in guerra con gli Stati Uniti. Gli danno due o tre anni di vita, e prima di portarselo via quell’orrenda peste lo avrà ridotto a un paralitico costretto nel suo letto. La dolce Midori non sa far altro che rivolgersi alla Vergine del Cielo, a rivolgersi a lei fino a quel lampo accecante del 9 agosto 1945. 

Takasashi sopravvive a “Fat Man” (così fu chiamata in codice la bomba atomica che rase al suolo la capitale del cattolicesimo nipponico) ma Midori no; di lei resta solo un rosario bruciacchiato tra le rovine di quella che una volta era la loro casa. Siccome c’era inaspettatamente nebbia, l’aereo che quel tragico mattino sganciò la bomba lo fece in un punto diverso da quello prestabilito attutendone (si fa per dire) l’effetto. Per questo qualcuno la scampò. Ma non così lo strazio e il dolore. Takasashi rimane solo ad allevare i figli (dopo il disastro di Hiroshima Takasashi li aveva sfollati a sei chilometri dalla città) e davanti alla follia umana diviene segno di contraddizione. Da un lato c’è la morte procurata inutilmente con quell’ordigno senza precedenti, dall’altro la cecità del nazionalismo giapponese che si straccia le vesti perché Tokyo piegata e piagata dall’atomica decide di arrendersi. Follie di un secondo, dopo le quali resta il nulla. 

Il nulla fisico scavato dalla reazione a catena dell’uranio e il nulla dello spirito svuotato anche degli  dèi più falsi e bugiardi: quelli dell’ideologia, vacua come ogni ideologia, e quelli delle religioni-bugie che non esistono. È in questo contesto che il dottor Takasashi Nagai si guadagna, rosario sempre in pugno, il soprannome con cui è noto, “santo di Urakama”. Nel mezzo del disastro più terribile egli è la testimonianza che la vita è comunque più forte, anzi la fede è sempre più forte. Prostrato e annichilito nel fisico come l’intero Giappone, mostra che nell’uomo c’è altro, che c’è ben altro nell’uomo che si affida a Dio. Sarebbe stato facile per lui chiedersi, davanti a Hiroshima e a Nagasaki, dove fosse Dio, ma il pensiero non lo ha mai sfiorato. 

Emblema della speranza, e della speranza cristiana, è divenuto un simbolo per tutti, un simbolo cui persino l’imperatore Hirohito fa visita nel 1949. I suoi scritti sono diventati un monumento di fede, speranza e carità, e la sua abitazione un museo oggi diretto dal nipote. Lui, che era cattolicissimo, e per di più un convertito (cioè un “traditore”), è diventato il segno di un Paese, di un patriottismo autentico e mai becero cui persino il “divino” signore del Sol levante ha dovuto inchinarsi. Il film dei fratelli Higgins s’immagina il suo ultimo istante come un sogno in cui la bella Midori lo chiama perché è l’ora di andare. Si spalancano le porte della cattedrale e la gente assiepata sui banchi si volta sorridente per accogliere l’ingresso degli sposi come nel giorno del matrimonio, sposi che stavolta salgono in Cielo. Non tutte le lacrime sono da pusillanimi. Takasashi Nagai è Servo di Dio e All That Remains un capolavoro.