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LA CATECHESI DEL PAPA

Il sacrificio di Veronica, sfida all'individualismo

La santa di Urbino, claustrale, indicata come esempio di un amore che trasforma il mondo.

Attualità 16_12_2010
santa veronica giuliani

Con la straordinaria sensibilità per gli anniversari che è nota a chiunque segue il suo Magistero, Benedetto XVI ha voluto dedicare la sua catechesi del 15 dicembre 2010 a santa Veronica Giuliani (1660-1727), di cui il prossimo 27 dicembre ricorre il 350° anniversario della nascita. Come sempre in queste catechesi, il Papa ha ripercorso l’itinerario spirituale della santa che, nata a Mercatello  (Urbino), matura la vocazione religiosa a Piacenza, dove dopo avere perso la mamma si era trasferita seguendo il padre, soprintendente alle dogane del Ducato di Parma, e trascorre tutta la vita adulta come suora di clausura nel monastero delle clarisse cappuccine di Città di Castello (Perugia), di cui è badessa dal 1716 fino alla morte sopravvenuta nel 1727.

Una vita apparentemente senza storia agli occhi del mondo, ma che si rivela ricchissima sotto il profilo spirituale. La santa – che nulla avrebbe voluto fare conoscere all’esterno della sua vita interiore – per obbedienza al confessore e al vescovo trascrive le sue esperienze in ben ventiduemila pagine di Diario che, pubblicate postume e conosciute principalmente per estratti e antologie, alimenteranno spiritualmente e convertiranno molti fino ai giorni nostri.

Ignorando le sciocchezze di una «psicostoria» di matrice freudiana, che in anni recenti ha studiato il Diario di Veronica Giuliani interpretando l’innamoramento della santa per Gesù in chiave psicoanalitica di sessualità repressa, Benedetto XVI ha esaltato la «spiritualità marcatamente cristologico-sponsale» della clarissa di Città di Castello, e l’ha esaltata come «testimone coraggiosa della bellezza e della potenza dell’Amore divino, che la attira, la pervade, la infuoca», e che si manifesta anche esteriormente nelle stigmate. Lo sposalizio mistico con il Salvatore altro non è, ha spiegato il Papa, che una profonda «esperienza di essere amata da Cristo», come tale aperta a ogni anima cristiana.

L’amore che Gesù chiede a Veronica è esigente. Il Cristo che la santa sposa è «quello sofferente della passione, morte e risurrezione; è Gesù nell’atto di offrirsi al Padre per salvarci». Di qui una profonda riflessione, di grande maturità spirituale, sul significato della sofferenza, opera di una donna che non parlava per sentito dire perché fu tormentata da malattie dolorosissime. La santa, meditando sulla passione di Cristo, fa l’esperienza di «essere crocefissa con lui», svelando così a se stessa e a tanti futuri lettori del Diario quel significato profondo della sofferenza già esposto da san Paolo nella Lettera ai Colossesi: chi soffre cristianamente e consapevolmente si unisce a Cristo, e completa nel suo corpo quello che in qualche modo «manca» ai patimenti del Signore, a favore del Suo corpo che è la Chiesa.

C’è un punto su cui Benedetto XVI vuole insistere. La fase più matura della vita religiosa di santa Veronica Giuliani si situa nel Settecento. Apparentemente, la santa nella sua clausura è lontanissima dalle tensioni sociali e culturali di quel secolo. In verità ne partecipa pienamente. Riprendendo un tema della sua enciclica Spe salvi, del 2007, il Papa osserva che la modernità aveva trasformato la predicazione cattolica maggioritaria. Ormai, questa era «incentrata non raramente sul “salvarsi l’anima” in termini individuali». Ci si potrebbe chiedere: c’è forse qualcosa di male nel cercare di salvarsi l’anima? Chiaramente non c’è nulla di male, e c’è tutto di bene. Ma in un certo senso concentrarsi sulla «propria» anima è una concessione all’individualismo tipico della modernità, un ripiegamento individualistico rispetto agli ideali della Cristianità che avevano fatto grande l’Europa.

Santa Veronica Giuliani fa eccezione rispetto alla mentalità prevalente fra i cattolici della sua epoca perché il suo atteggiamento rispetto alla preghiera, alla sofferenza, alla stessa salvezza non è individualistico ma – precisa il Papa – «di comunione». Certo, il Diario sottolinea il rapporto fra le sofferenze di Gesù Cristo e quelle di ogni singolo fedele che accetta di patire con Lui. Ma santa Veronica Giuliani non manca mai di sottolineare che il Signore soffre per la Chiesa e per i suoi problemi che si manifesteranno nella storia del mondo, e per sostenere i cristiani che saranno perseguitati. Così Benedetto XVI riassume il pensiero della santa: «Gesù patisce per i peccati degli uomini, ma anche per le sofferenze che i suoi servi fedeli avrebbero dovuto sopportare lungo i secoli, nel tempo della Chiesa, proprio per la loro fede solida e coerente».

Una claustrale non predica, eppure con l’esempio e gli scritti può convertire generazioni di peccatori. Una claustrale non opera visibilmente nella società, eppure la sua dottrina e la sua spiritualità possono contribuire a trasformare il mondo. Lontana – appunto – da ogni ripiegamento su se stessa tipicamente moderno, Veronica sa che le sue preghiere e le sue sofferenze sono efficaci, afferma Benedetto XVI, «per il Papa, il suo vescovo, i sacerdoti e per tutte le persone bisognose, comprese le anime del purgatorio. Riassume la sua missione contemplativa in queste parole: “Noi non possiamo andare predicando per il mondo a convertire anime, ma siamo obbligate a pregare di continuo per tutte quelle anime che stanno in offesa di Dio… particolarmente con le nostre sofferenze, cioè con un principio di vita crocifissa”».

Il segreto di una società riconciliata con Dio sta nella presenza di anime capaci di amare veramente la Croce e il Crocefisso.