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ANALOGIE

Il ritorno dell'Uomo Qualunque

La folgorante ascesa politica del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo ricorda in qualche modo quella, altrettanto clamorosa ai suoi tempi, del movimento dell’Uomo Qualunque. La fine del comico genovese sarà la stessa di Guglielmo Giannini?

Politica 11_03_2013
Beppe Grillo

La folgorante ascesa politica del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo ricorda in qualche modo quella, altrettanto clamorosa ai suoi tempi, del movimento dell’Uomo Qualunque.
Certo, ogni precedente storico ha titolo solo in qualità di esempio, perché alle similitudini possono essere affiancate altrettante dissomiglianze. Ma la storia non si ripete mai uguale a se stessa e, se lo fa, come disse qualcuno, si ripete, sì, ma in farsa.

Nell’immediato dopoguerra sorse d’incanto un uomo che raccolse la protesta degli italiani, i quali lo votarono “con la pancia”, così come oggi hanno votato Grillo e suoi parvenus. Come Grillo, era un uomo di spettacolo. Grillo era un comico e Guglielmo Giannini un commediografo autore di canzonette. Vide che ai fascisti si erano sostituiti gli antifascisti e tutto era come prima e anche peggio di prima. L’Italia non ne poteva più di chiacchiere ideologiche e aveva solo fame. Di roboanti declamazioni di principio ne aveva sentite a josa durante il regime. Ora ne sentiva di nuovo a josa, dagli autoeletti caporioni del CLN, dai comunisti di Togliatti e dai democristiani di De Gasperi.

Nel 1944, Giannini disse basta e fondò il suo settimanale, significativamente intitolato «L’Uomo Qualunque» e rappresentato, nella testata, da un poveraccio schiacciato da una pressa idraulica azionata da un numero imprecisato di mani.
Il primo numero tirò 25mila copie. In meno di un anno erano diventate 850mila. Giannini ce l’aveva con tutti: odiava i giornalisti, gli azionisti, i liberali, i dc e i pci. Il capo del governo, Ferruccio Parri, lo chiamava «Fessuccio Parmi», e l’insulto e la satira sarcastica erano le sue armi preferite: i fascisti diventati di colpo antifascisti li chiamava «cameragni» (camerati+compagni); Togliatti, che cercava di arruffianarsi i cattolici (e poi votò, con grave scandalo per i laicisti, l’introduzione dei Patti Lateranensi nella Costituzione), era per lui «il pio Togliatti»; il socialista Nenni, conterraneo di Mussolini, era «il romagnolo di turno». E così via.

Ma Giannini detestava soprattutto lo Stato. Per lui, bastava solo un ragioniere a farne le veci, e che venisse eletto solo per un anno. Lo Stato doveva togliere le grinfie da tutto, perché aveva dato cattiva prova di sé e ancora intendeva farlo.
Giannini era odiato dai comunisti perché denunciava l’inciucio tra la grande industria e il loro sindacato. Era odiato da De Gasperi perché quest’ultimo temeva che gli sottraesse consensi nell’area moderata. Giannini finì denunciato alla magistratura come – nihil novi sub sole - «fascista». Ma se la cavò e continuò a rinfacciare agli antifascisti dell’ultima ora, e che millantavano meriti, che il regime era caduto per mano dei fascisti stessi (seduta del Gran Consiglio, 1943) e non certo grazie a loro.

Forte del suo consenso nelle piazze Giannini osò addirittura fondare un partito, il Fronte dell’Uomo Qualunque, che portò ben trenta suoi rappresentati alla Costituente. Ma fu proprio il suo programma politico a essergli fatale. Infatti, non ne aveva alcuno, né lui stesso era un politico di razza come i due vecchi marpioni tra i quali si era interposto come terzo incomodo, Togliatti e De Gasperi.

Incapace di fare da ago della bilancia, cosa che avrebbe richiesto ben altro acume di politico navigato, e incerto nelle alleanze, si fece sedurre da vaghe proposte togliattiane e così decretò la sua fine. Alle elezioni successive, quelle capitali del 1848, conobbe una clamorosa disfatta e sparì dalla scena politica.
Si ripresentò a titolo personale con la Dc nel 1953 e con i monarchici nel 1858, ma fu trombato ogni volta.

Morì nel 1960, lasciando dietro di sé un neologismo, «qualunquista», che verrà poi utilizzato dai sessantottini per denigrare tutti quei moderati che non erano né con loro né contro di loro. Adesso, nel 2013, abbiamo un nuovo leader protestatario in Parlamento, uno che ha raccolto la rabbia popolare contro tutto e tutti a colpi di «vaffa…».
Bene, staremo a vedere che cosa sarà capace di fare. Sarà una coincidenza, ma giusto poco prima delle elezioni che ne hanno visto la strepitosa affermazione è uscito un libro, La vera storia dell’Uomo Qualunque (Solfanelli), di Paolo Deotto e Luciano Garibaldi (pp. 114, €. 10,00), che narra nel dettaglio la storia che qui abbiamo per grandi linee raccontato.