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vescovi in politica

Il ritorno dei catto-dem con la benedizione di Zuppi

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Il presidente della CEI approva apertamente la due-giorni fondativa di Comunità democratica, con un riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa che complica più che chiarire. L'unica certezza è la costante convergenza con l'agenda della sinistra.

Editoriali 22_01_2025
(AP Photo/Domenico Stinellis) La Presse

La Bussola ha già commentato i recenti appuntamenti aggregativi dei cattolici democratici in politica e soprattutto la due-giorni fondativa di “Comunità democratica” tenutasi a Milano sabato e domenica scorsi. Di questa ennesima proposta di unità della presenza dei cattolici in politica abbiamo dato un giudizio molto critico, osservando che dietro si vede la mano della CEI. Ora accade che al Consiglio permanente dell’episcopato tenutosi il 20 gennaio, il cardinale Matteo Zuppi abbia espresso apertamente il suo appoggio a questi tentativi in atto, confermando così la nostra interpretazione. Il quotidiano Repubblica ha detto che con questo discorso si è passati «dal battesimo alla benedizione», il primo è avvenuto alla Settimana sociale di Trieste nel luglio 2024 e il secondo nel discorso di ieri. Il cardinale ha messo definitivamente il suo timbro all’iniziativa: «Guardiamo con simpatia agli sforzi per una rinnovata presenza dei cattolici nella vita democratica del Paese e, mi auguro, dell’Europa, a partire dalla Settimana sociale di Trieste. È importante che ciò avvenga nel tracciato della Dottrina sociale della Chiesa». Con questo intervento, però, la questione si complica anziché chiarirsi.

Intanto, su quali basi avevamo intuito che il recente movimentismo dei cattodem era voluto dalla stessa CEI? Perché i principali protagonisti avevano insistentemente evocato la Settimana sociale di Trieste del luglio 2024 come il momento iniziale di questa ripresa di coscienza, invitando a pensare che le successive iniziative, compresa quella di Milano, si inserissero su quella scia. Alla Settimana sociale gran parte dei relatori era interna o fortemente limitrofa al Partito democratico, al quale l’evento ecclesiale era stato sostanzialmente appaltato sia dall’ufficio nazionale CEI sia dalla diocesi di Trieste. Nella fase preparatoria della Settimana l’onorevole Francesco Russo (sempre Pd) aveva coordinato un gruppo di lavoro. Da quell’evento lo stesso Francesco Russo coordina la cosiddetta “rete di Trieste” tra amministratori locali cattolici, prevalentemente Pd. Alla convention di Milano di Comunità democratica, lo stesso Russo era relatore e la sua “rete” rappresenta un soggetto importante dentro il solco tracciato per rinverdire il cattolicesimo democratico. E questo è solo un esempio. A Trieste era iniziato non il processo di unità tra i cattolici ma tra i cattolici democratici. Ed è questo che ora Zuppi approva e sostiene.

Il legame con la Settimana di Trieste, e quindi con la CEI, non riguarda solo le persone ma anche la linea di condotta lì emersa. A Trieste, soprattutto nei discorsi di Zuppi e di Mattarella ma anche in tutto l’impianto dei lavori, dai documenti preparatori alle relazioni in assemblea, è stata abbandonata la Dottrina sociale della Chiesa, sostituita da una generica “partecipazione” come anima della democrazia e come concretizzazione del messaggio evangelico nel sociale. Spariti i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione, la presenza politica dei cattolici è stata sdoganata a 360 gradi (si collabora con tutti) e privata di contenuti dirimenti (si collabora su tutto). Ossia è stata secolarizzata, proprio come sostengono da decenni i cattolici democratici, contrari ad ogni forma di identità cattolica in politica. Mentre la Dottrina sociale è un corpus dottrinale, organico, articolato e coerente, a Trieste si è detto che è una presenza e un dialogo, mentre essa sostiene che la carità sociale deve passare anche attraverso la verità dell’ordine sociale naturale, a Trieste si è sostenuto che essere in situazione insieme agli altri esaurisce il compito del cattolico.

Del resto, allargando lo sguardo ai vari interventi politicanti dei vertici CEI, si notano costanti convergenze con l’ideologia politica di sinistra e solo con essa: dalla condanna dell’autonomia differenziata all’espresso rifiuto del premierato, dalla critica al “populismo” all’immigrazionismo senza eccezioni. Lo stesso vocabolario che è emerso a Milano tra i soci di Comunità democratica e, prima ancora, a Trieste. I vescovi italiani non ci sono per tutti i cattolici, ci sono solo per i cattolici democratici.

Il fatto più urtante è il richiamo di Zuppi alla Dottrina sociale della Chiesa. Mi piacerebbe chiedere al cardinale cosa egli intenda per Dottrina sociale della Chiesa, espressione ormai diventata fumosa in bocca ai nostri vescovi e incapace di significare alcunché. Intende egli quell’insegnamento del Magistero che è strumento di evangelizzazione? Che si fonda anche sul diritto naturale? Che si basa sulla fede e anche sulla ragione compresa la capacità di quest’ultima di conoscere la legge morale naturale? Che vede nella fede nella rivelazione la luce non solo utile ma anche indispensabile per costruire la società? Che vuole una coerenza pubblica tra fede e scelte politiche? Se così è, sappia che il cattolicesimo democratico non ne vuole sapere di una Dottrina sociale così intesa. E allora, cosa sta proponendo il cardinale? Quale Dottrina sociale ha in mente? Sono ancora in grado i nostri vescovi di dire qualcosa di chiaro in proposito?



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