Comunità democratica, il vecchio progressismo cattolico
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Sabato e domenica si è svolta a Milano la riunione di “Comunità democratica”, un’iniziativa di cattolici democratici (da Prodi a Delrio, da Castagnetti a Ruffini) che appoggiano, con vecchi argomenti, un quadro globale che sta tramontando. Non cogliendo il “nuovo” che avanza nel mondo cattolico.
La due-giorni milanese di “Comunità democratica”, che si è tenuta sabato e domenica scorsi a Milano per iniziativa di Romano Prodi, Graziano Delrio, Pierluigi Castagnetti ed Ernesto Maria Ruffini, è stata una riedizione del passato: vecchi linguaggi, vecchi schemi, vecchi argomenti, oltre che vecchie facce. Maria Pia Garavaglia, una delle tante figure “storiche” presenti, ha rivendicato l’appartenenza dell’iniziativa alla “nostra storia”, ossia alla storia dei cattolici democratici. Ecco, l’impressione è che si sia trattato di una storia passata.
In linea col loro passato democristiano – “macchia” da cui hanno tentato di liberarsi senza successo – nessuno degli organizzatori ha detto chiaramente quali siano gli scopi veri dell’iniziativa. Farsi sentire di più nel PD (Prodi)? Ampliare i consensi (Ruffini)? Mai e poi mai fondare un nuovo partito (Delrio)? Pochi credono a queste dichiarazioni. Più realisticamente, lo scopo sembra consistere nel preparare un’area di resistenza contro una nuova vittoria di Giorgia Meloni alla scadenza della legislatura e predisporre il quadro perché, alla fine del secondo settennato Mattarella, l’Italia non abbia un presidente non di sinistra. Per arrivare là ci sono però degli obiettivi più immediati, come dare del filo da torcere dentro il PD a Elly Schlein, ritenuta inadeguata e incapace di “federare”, applicare le indicazioni dei vescovi italiani che da tempo fanno politica, soprattutto dopo la Settimana sociale di Trieste del luglio scorso. Durante il percorso non si può per niente escludere la nascita di una nuova Margherita.
Non solo i metodi rimangono quelli del passato ma anche i contenuti. È vero che, stando alle cronache, questi non sono granché emersi dall’assemblea milanese, ma l’elogio di Ruffini alla maggioranza von der Leyen e la ripresa dell’idea di David Sassoli di riproporla anche in Italia, guardano certamente più indietro che in avanti. Castagnetti si è avventurato a parlare di famiglia, subito precisando: «Non sto parlando della forma, ce ne sono di nuove, è cambiata l'epoca». Stefano Lepri ha sottolineato la necessità «di favorire la natalità e le relazioni affettive e genitoriali stabili», quindi anche quelle omosessuali. Nessun cambiamento di rotta, tutte cose già viste.
L’europeismo ideologico ed esasperato, l’improvvida adesione acritica alla guerra in Ucraina, le illogiche e dannose politiche green, l’appoggio ad una pedagogia europea di secolarizzazione non solo religiosa ma anche etica delle masse con la spinta ai “nuovi diritti”, il posizionarsi dalla parte di una politica liberal di sintesi tra puro potere e cultura nichilista, o woke come si dice oggi, sembrano posizioni proprie del passato. Da dentro il Partito Democratico i cattolici democratici non hanno mai espresso qualcosa di diverso e nemmeno ora si preparano a farlo, confermandosi conservatori, mentre tutto un mondo si sta risvegliando su questi temi.
E anche qui siamo al passato. A Milano era rappresentato il “vecchio” mondo del progressismo cattolico. C’erano infatti uomini dell’Azione cattolica, della Comunità di Sant’Egidio con il suo gruppo politico Demos, delle Acli. È il mondo cattolico del passato che ha appoggiato il quadro globale che ora sta tramontando. Ma queste sigle quanta gente riescono ancora a coinvolgere e a mobilitare? Quanti sono i cosiddetti gruppi sul territorio che l’iniziativa milanese vorrebbe intercettare? La “rete di Trieste” tra amministratori cattolici (si suppone del Pd) guidata da Francesco Russo e che dovrebbe rappresentare il “risveglio dei cattolici” dopo Trieste, che consistenza ha? Molta parte del mondo cattolico è cambiata, sotterraneamente e in silenzio per non essere collocata nel mirino dei progressisti di maniera, ma è cambiata e in senso opposto a quello che interessa “Comunità democratica”. L’era Covid ha fatto da giro di boa, ma il cambiamento viene da maggiori profondità, consiste in un recupero di un’identità dottrinale cattolica non di rottura con la tradizione e chiede una coerenza in politica sconosciuta ai “cattolici adulti”. C’è un “nuovo” nel mondo cattolico che il passatismo progressista non sembra cogliere.
Anche il modo di ragionare rimane quello del passato. Paolo Ciani, di Demos-Sant’Egidio, ha detto: «Siamo stanchi di essere considerati di sinistra quando ne parliamo [di pace e immigrazione] e moderati o di destra quando parliamo di eutanasia e gestazione per altri». Egli ha così riproposto una vecchia dottrina cattodem: i temi di biopolitica non devono avere un primato su quelli sociali. Questa idea è sbagliata perché ci sono delle politiche che il potere non deve mai mettere in atto essendo impossibile governarle secondo giustizia, mentre ce ne sono altre che si possono governare secondo giustizia. L’aborto di Stato e le politiche immigratorie si collocano su questi due piani diversi. Per i cattolici democratici questa tesi ha sempre costituito un alibi per non difendere fino in fondo la vita e la famiglia, anzi, per non rispettare nemmeno la pariteticità tra questi due piani da essi sostenuta. È proprio vero che, come dice la Garavaglia, l’incontro milanese rientra in pieno in una storia già vista.
Settimana sociale dei cattolici, il vuoto di chi non parte da Dio
Il vuoto della proposta della Settimana sociale di Trieste non è improvvisato. Alle sue spalle ha la lunga strada della “svolta antropologica” che consiste nel partire non da Dio ma dall’uomo e comporta non solo un cambio di contenuti, ma anche un cambio di linguaggio.