Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
TECNOCRAZIA GIURIDICA

Il relativismo vintage di Stefano Rodotà

Al Festival del Diritto di Piacenza intona un peana all'illuminismo giuridico che puzza di gnosi lontano
un miglio. E assolutamente di vecchio.

Attualità 01_07_2011
Stefano Rodotà

 

A volte ritornano, ma spesso non se ne sono mai andati. Ci riferiamo a quella falange di intellettuali che diffondono ormai da più di mezzo secolo le stesse identiche argomentazioni un po’ su tutto. Masticate e rimasticate queste idee di matrice levantina-progressista sono diventate una specie di habitat artificiale del pensiero debole - anzi esausto - dove fiorisce rigogliosamente ogni sorta di mala pianta culturale. Un pensiero che ammorba l’aria e che non accenna a scomparire, come la spazzatura a Napoli.

Una prova di tutto ciò è data dalla presentazione al pubblico del Festival del Diritto che si terrà a Piacenza il prossimo settembre, fatta qualche giorno or sono dal suo responsabile scientifico Stefano Rodotà.
Il tema di quest’anno è Umanità e tecnica. "Piatto ricco mi ci ficco" avrà pensato Rodotà, dato che la sua presentazione squaderna una varietà di temi da far invidia all’Enciclopedia Treccani. Proviamo a fare qualche carotaggio sul testo di Rodotà.

La prima stoccata è di natura politica. Il responsabile scientifico mette in guardia dalla «curvatura plebiscitaria e populista che insidia le democrazie contemporanee». Vuoi vedere che in modo subliminale e misterioso stia alludendo al berlusconismo? Ma proseguiamo.
Il discorso poi vira sul sociale laddove Rodotà appunta un montante e dilagante fenomeno di de-umanizzazione che si coglie soprattutto nella «regressione dell’immaginario che regola le relazioni tra i generi». L’espressione è davvero da standing ovation perché rivela una non comune abilità, raffinata in anni di politica militante, nell’indicare un male, o presunto tale, senza puntare il dito. In buona sostanza Rodotà, senza darlo a vedere, celebra l’omosessualità e la cultura del genere, tanto per rendere il concetto potabile ai più.

Ovviamente non poteva mancare, sempre in modo prudentemente allusivo e mai dichiarato, una tirata d’orecchie alla Chiesa, laddove si accenna allo «sterminio dell’umanità estranea e sorprendente del Nuovo Mondo». Sul libro nero di Rodotà in parole povere ci finisce l’evangelizzazione delle Americhe, nota leggenda nera. Un’occasione mancata per il Nostro per ricordare che invece - dato che si sta parlando di umanità, diritto e tecnica - l’Occidente cristiano-cattolico esportò in America Latina la pace, neutralizzando le carneficine intestine degli indios, le forme organizzate e civili del vivere in comune con le Reducciones gesuite, le quali furono ben più che centri missionari, e avviò lo sviluppo tecnologico di queste popolazioni.

Però Rodotà a un certo punto apre alla speranza: «Questo quadro critico non deve però farci rimuovere le conquiste che, innanzitutto grazie alla razionalizzazione dei sistemi giuridici e all’affermazione della cultura dei diritti, sono state realizzate nell’epoca dello Stato democratico di diritto e del costituzionalismo nello sforzo di includere aree di umanità esclusa e sommersa».

Ecco la tecnocrazia e la tecno-scienza giuridica: la luce della scienza del diritto libererà l’uomo dall’ignoranza. Pura gnosi giuridica. «Il primo passo per controllare questa forza prometeica [la tecnica] che l’uomo è stato capace di attivare è la conoscenza»: è il sapere che ci salverà. Peccato che l’ultimo secolo tecnologico è stato quello che più ha grondato sangue e che ci ha regalato oltre alle due guerre mondiali, la maggior persecuzione di cristiani (60% delle vittime di tutta la storia della cristianità sono concentrate nel Novecento), e cose come aborto (a proposito di “umanità esclusa”), Fivet, divorzio ed altre amenità simili.

Poi il politico di origini cosentine getta la maschera e tira fuori dal baule ideologico forse il suo passaggio migliore: «L’umanità non è immutabile. Non esprime una "natura umana" sempre identica a se stessa. Gli stessi diritti umani sono - come ha insegnato Bobbio - diritti "costruiti", "storici"». Nulla di nuovo sotto il sole: non esiste una natura umana e quindi non esistono diritti/valori oggettivi, universali, immutabili, assoluti. I diritti sono il prodotto della storia, dei fatti, delle contingenze, dello scontro tra popoli, dunque sono mutevoli, soggettivi, relativi. Distillato puro di marxismo con iniezioni di darwinismo. I diritti sono come quella scimmia che un giorno scese dall’albero e diventò, a colpi di selezione naturale, l’homo sapiens sapiens di oggi e domani chissà cosa.

Pare poi di sentire Thomas Hobbes, il quale sentenziava che «non è la verità bensì l’autorità a fare la legge». I diritti fondamentali non devono essere dunque riconosciuti dallo Stato, perché non sono pre-esistenti a questo, ma sono creati dal potere politico. È solo chi governa che decide quali diritti assegnare e a quali persone. E allora perché dare contro a un Adolf Hitler che decise che esistono persone di serie A e persone di serie B? E poi, se la natura umana muta vuoi vedere che magari gli ariani possedevano davvero una natura migliore delle altre razze perché un poco più evoluta?
Il Nostro prosegue ad ampie falcate ideologiche e s’imbatte in un interrogativo di certo non inedito ma comunque di sicuro interesse: come dominare la tecnologia? Oltre a banalità quali la discussione pubblica, la democrazia pluralista, e così via, il rimedio è «il primato dell’etica pubblica». Rodotà sembra la reincarnazione di Rousseau-Marx: il collettivo versus la persona, l’individuo espropriato dai suoi diritti a favore dello Stato, la società più importante del singolo e delle famiglie. Insomma gli stereotipi della cultura comunista sic et simpliciter.

Conclusione: questa è filosofia del diritto geriatrica, tentativo di svendere oggi un pensiero giuridico-politico che è vintage, ma senza l’incanto che hanno gli oggetti appartenuti al passato. Perché, oltre a essere erronee, queste riflessioni sanno di stantio, appaiono assai datate. Puro vecchiume impolverato, non più di moda nemmeno nei circoli culturali radical-progressisti più tradizionalmente legati al passato. E meno male che Rodotà parla di «futuro e progresso scientifico».