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CRISI NEL GOLFO

Il regime iraniano isolato e contestato dagli studenti

Contrariamente alle previsioni di chi sosteneva un ritorno in auge del regime iraniano dopo l’uccisione del generale Soleimani, il regime degli ayatollah appare più isolato che mai. Gli europei minacciano nuove sanzioni. Gli Usa mantengono Teheran sotto pressione. E dilaga la protesta interna, per l'abbattimento di un aereo pieno di iraniani.

Esteri 15_01_2020
La protesta all'università di Teheran

Contrariamente alle previsioni di chi sosteneva un ritorno in auge del regime iraniano dopo l’uccisione del generale Soleimani, il regime degli ayatollah appare più isolato che mai. I Paesi europei firmatari dell’accordo di Vienna sul programma nucleare, sia pur con grandissima cautela, stanno minacciando di imporre di nuovo le sanzioni economiche a causa delle esplicite violazioni del trattato da parte dell’Iran. La diplomazia americana, pur continuando a trattare, sta tenendo sotto pressione Teheran, adottando una linea dura. Ma è soprattutto all’interno che il regime khomeinista, è sempre più destabilizzato da una situazione, ormai, di agitazione permanente.

Andando con ordine: da maggio l’Iran sta annunciando pubblicamente delle violazioni dell’accordo sul nucleare, sempre più importanti. Fino a questo inizio gennaio, quando Teheran, dopo l’uccisione di Soleimani, si è detta apertamente svincolata dal Jcpoa (acronimo del trattato) e intenta a riprendere il programma nucleare, come se l’accordo non esistesse neppure. Finora la reazione dei Paesi europei firmatari è stata solo una protesta verbale. Adesso, invece, Regno Unito, Francia e Germania hanno fatto un primo passo verso la re-imposizione delle sanzioni economiche internazionali. I tre Paesi non si ritireranno subito, né lo faranno unilateralmente. Stanno infatti lasciando una porta aperta a ulteriori negoziati. Hanno fatto appello al paragrafo 36 del Jcpoa, con cui avviano un “meccanismo di contestazione”. Quest’ultimo lascia all’Iran due mesi di tempo per tornare a rispettare i termini dell’accordo, prima che partano le nuove misure punitive economiche. Questi due mesi possono diventare molti di più, perché il “meccanismo di contestazione” può essere interrotto in ogni momento dai firmatari europei. La pressione europea, in questo senso, è davvero minima. Anche perché, l’Iran ha sempre due sponde: Russia e Cina, anch’esse parte in causa nel Jcpoa, che continuano ad appoggiare Teheran.

A tenere sotto pressione l’Iran sono praticamente solo gli Stati Uniti. Non solo l’amministrazione Trump mantiene e inasprisce le sanzioni, ma sostiene sempre più esplicitamente le proteste studentesche che sono nuovamente scoppiate. Tuttavia gli Usa continuano, informalmente, a trattare con il regime di Teheran. L’intento di Trump, nonostante la piccola escalation di gennaio, è sempre quello di spingere il regime iraniano a sedersi attorno a un tavolo. Alle condizioni più favorevoli degli Usa, ovviamente. I contatti sono effettuati attraverso il governo della neutrale Svizzera, che mantiene la sua ambasciata in Iran.

E' incredibile che un fatto molto grave, come l’abbattimento di un aereo di linea ucraino sui cieli di Teheran, non abbia provocato più serie conseguenze internazionali. Le cancellerie del mondo occidentale, in mezzo a tutta questa tensione nel Golfo, paiono considerare secondaria la morte di 176 innocenti sui cieli di Teheran. In Iran, al contrario, la distruzione dell’aereo passeggeri è vissuta come un dramma collettivo e sta provocando un’indignazione dilagante. Per giorni, il regime ha negato la sua responsabilità, parlando di “guasto tecnico”. Ha ammesso la responsabilità e l’errore, solo dopo che erano state pubblicate prove inoppugnabili, fra cui un video in cui si vedeva molto chiaramente la dinamica dell’incidente (l’aereo è stato abbattuto da un missile terra-aria partito delle stesse batterie iraniane). Le vittime sono, nella stragrande maggioranza, uomini, donne e bambini iraniani, compresi molti emigranti in Canada, tornati a trovare le loro famiglie. La protesta, che parte dalle università, chiede verità e dimissioni dei responsabili, fino alle dimissioni dello stesso ayatollah Khamenei, accusato di aver saputo fin da subito cosa era successo e di aver deliberatamente taciuto. I manifestanti non si capacitano del fatto che, in pieno scontro con gli Usa (era la stessa notte in cui gli iraniani stavano lanciando missili contro le basi americane in Iraq) lo spazio aereo fosse aperto ai voli civili. Per questo accusano il regime di Teheran di aver usato gli aerei passeggeri come scudi umani, per mettere sul piatto della bilancia nuove vittime in caso di rappresaglia statunitense.

La protesta sta però assumendo un carattere molto più esteso. Non si scende in piazza solo contro la mala gestione di questo singolo drammatico caso, si marcia direttamente contro il sistema. Anche (ad appena una settimana dai funerali solenni di Soleimani) contro l’uso strumentale dell’odio contro Israele e Usa, da parte del regime. “Mentono dicendoci che il nostro nemico è l’America. Il nostro nemico è qui”, gridavano i manifestanti, il primo giorno, di fronte all’università di Teheran, come riporta l’agenzia Asia News. E in un video che ormai è già diventato il simbolo di questa protesta, si vede come gli studenti iraniani si rifiutino di calpestare le bandiere di Usa e Israele, stese all’ingresso. Anzi: quei pochi fedeli al regime che lo fanno, sono anche oggetto di contestazione.

Vi sono anche defezioni eccellenti. Aleno due giornalisti della Press Tv, emittente di Stato iraniana, hanno rassegnato le dimissioni. "Scusate per questi 13 anni in cui vi ho mentito", ha scritto sul suo profilo Twitter la giornalista televisiva Gelare Jabbari. Nel mondo dello sport, Kimia Alizadeh, lottatrice, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio per taekwondo, è espatriata in un Paese europeo, ancora sconosciuto (Olanda, secondo fonti giornalistiche). Ha rilasciato un’intervista in cui si dichiara “una delle milioni di donne oppresse nell’Iran”. Donne e studenti sono i due principali gruppi sociali che si stanno ribellando.

E ormai è la terza protesta di fila, dopo quella, quasi esclusivamente femminile del 2018, contro l’imposizione del velo e quella del 2019, molto più violenta, popolare e trasversale, contro il caro-carburante, che pare (Teheran ovviamente non conferma) sia costata 1500 vittime. Il regime appare dunque sempre più instabile e il nuovo scontro con gli Usa, contrariamente alle previsioni di molti, non lo sta affatto aiutando a ritrovare popolarità e stabilità interna.