Il Qatar dietro la crisi fra Canada e Arabia Saudita
Braccio di ferro sui diritti umani fra Canada e Arabia Saudita. Il governo Trudeau contesta l'arresto di attivisti a Riyadh e il principe Bin Salman risponde con una rottura delle relazioni diplomatiche. Si nota, al contrario, una condiscendenza completa sullo stesso problema nei confronti del Qatar. Sarà per i suoi investimenti in Canada?
Tempi turbolenti per le diplomazie di Medio Oriente ed Occidente. Al braccio di ferro economico-finanziario tra Stati Uniti e Turchia, alla spaccatura tra i due versanti dell’Atlantico sulla questione del programma nucleare iraniano, ai tavoli negoziali che continuano a non partorire soluzioni politiche ai vari conflitti regionali, è andata ad aggiungersi la crisi tra Canada e Arabia Saudita. Il casus belli è stato l’“allarme” espresso via Twitter dal Ministro degli Esteri canadese, Chrystia Freeland, poi confermato dal suo stesso dicastero e dall’ambasciata di Ottawa a Riyadh, nei confronti dell’arresto di attivisti della società civile e per i diritti delle donne avvenuto nel regno saudita alla fine di luglio.
La reazione di Riyadh è stata furente: oltre alla rottura delle relazioni diplomatiche e al richiamo del proprio ambasciatore, Riyadh ha predisposto il blocco di tutti gli investimenti diretti in Canada e del traffico aereo tra i due paesi, nonché l’abbandono del territorio canadese da parte di tutti i pazienti ospedalieri e degli studenti di cittadinanza saudita che vi risiedevano. Tale reazione è stata generalmente classificata dagli esperti e dai commentatori occidentali come un minaccioso messaggio indirizzato dal giovane erede al trono, Mohammed bin Salman, alle organizzazioni internazionali e ad altri paesi, soprattutto in Europa: non sfidate l’Arabia Saudita perché qualsivoglia critica non verrà tollerata e sarà considerata alla stregua di un’interferenza negli affari interni del regno.
Una simile lettura, tuttavia, risulta quanto meno riduttiva poiché non tiene conto né degli sviluppi attualmente in corso in Arabia Saudita, né del più ampio e complesso quadro regionale in cui s’inserisce la crisi tra Riyadh e Ottawa. La rimozione del divieto alle donne saudite di guidare e la loro crescente integrazione nel mondo del lavoro sono da considerarsi passi in avanti dalla portata storica in un contesto tradizionalmente caratterizzato da un fortissimo ultra-conservatorismo prima culturale che religioso. Ed è stato Mohammed bin Salman l’artefice dell’inizio di questo processo di apertura e riforme che gli attivisti sauditi e la comunità internazionale invocavano da tempo: un processo inevitabilmente graduale, che richiede pazienza e sostegno.
D’altro canto, il Premier “progressista” canadese, Justin Trudeau, che ha confermato la posizione assunta dal suo Ministro degli Esteri, dovrebbe spiegare perché il suo paese - nel “continuare a difendere i diritti umani nel mondo” - non ha sollevato alcun “allarme” per le migliaia di lavoratori stranieri che in Qatar sono ridotti in condizioni di schiavitù nella costruzione degli stadi per il mondiale di calcio del 2022. La spiegazione risiede forse nelle sue relazioni privilegiate con la Qatar Investment Authority, nelle percentuali di gas naturale canadese acquistate da Doha (valore pari a 1 miliardo di dollari) e nelle massicce iniezioni di denaro qatarino nel sistema bancario canadese? E questa solo una parte del business as usual sull’asse Ottawa-Doha: quanto basta per mettersi al servizio del regime della famiglia Al Thani nella sua contrapposizione con il Quartetto arabo antiterrorismo guidato, guarda caso, dall’Arabia Saudita?
Il doppio standard di Trudeau e del suo governo in fatto di diritti umani è evidente e colpisce a senso unico. Di qui la reazione furente di Riyadh, che deve aver intravisto la mano di Hamad e Tamim Al Thani dietro i Tweets del Ministro degli Esteri canadese e del suo apparato diplomatico. In tal modo, il Canada è andato oltre l’equidistanza mantenuta sinora dall’Occidente nella crisi tra le monarchie del Golfo, scoppiata per il supporto del Qatar al terrorismo internazionale e all’estremismo della Fratellanza Musulmana. Un’equidistanza di facciata, vista la malcelata predilezione di Italia e Francia per il Qatar che compra tutto e tutti. Tuttavia, ad oggi nessun paese si era mai spinto a un punto tale da farsi strumento di offesa nelle mani di Doha. Il Canada potrebbe aver stabilito un precedente, chi sarà il prossimo?