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L’OPERA

Il Purgatorio di Liszt, note solenni sull’aldilà

Tra il 1855 e il 1856 Franz Liszt scriveva la sua Sinfonia «Dante», ispirandosi alle prime due cantiche della Divina Commedia. In particolare nella seconda parte, con a tema il Purgatorio, il compositore ungherese offre una grande meditazione musicale sui destini umani dopo la morte terrena, con melodie ora dolenti, ora serene. Il tutto in un crescendo, che quasi manifesta come le anime salgano lentamente il mistico monte fino a Dio.

Cultura 03_11_2019

«In questo mese, che la S. Chiesa consacra ai defunti, vi esortiamo a raccogliervi nel cristiano suffragio, affinché coloro che, avendo ottenuto il perdono dalle colpe, non avessero ancora meritato la remissione della pena, possano presto dal Purgatorio salire al Paradiso, accolti dagli Angeli, dai Santi, dalla Vergine, da Dio» (Pio XII, in Acta Apostolicæ Sedis 48, 1956, p. 52).

La Sinfonia «Dante», op. 109, che il compositore ungherese Franz Liszt (1811-1886) scrisse tra il giugno 1855 e l’8 luglio 1856, ci offre una grande meditazione musicale sui destini umani oltre la morte (i «Novissimi»), soprattutto nella seconda delle due parti - il Purgatorio (la prima parte è sull’Inferno) - in cui si articola la sinfonia ispirata alla Commedia di Dante, che meritatamente ebbe il titolo di Divina. Il musicista, infatti, si ferma davanti alla soglia del Paradiso, persuaso da Wagner in una lettera del 7 giugno 1855 che nessun esser umano avrebbe potuto rendere in musica le gioie del Paradiso (cf. Correspondence of Wagner and Liszt,  vol. 2, New York, Scribner and Welford, 1889, pp. 91-100).

Nel Purgatorio di Liszt ascoltiamo l’orchestra suonare melodie ora serene, ora dolenti, fino a incontrare un’atmosfera mistica che porta all’ingresso delle voci femminili (o bianche) con il Magnificat, gli Osanna e gli Alleluia.

Liszt segue il sommo Poeta fin dall’inizio del movimento, un vasto adagio, dove troviamo l’altissima montagna del Purgatorio: a sette balze o “cornici”, alla cui sommità sta il Paradiso terrestre e ai cui piedi si stende la spiaggia dell’approdo delle anime. Questo monte dell’espiazione si erge in mezzo a un mare tranquillo e Dante, insieme a Virgilio, risale dall’Inferno alla luce delle stelle, come si legge nel Canto I (13-18):

Dolce color d’oriental zaffiro, 

che s’accoglieva nel sereno aspetto 

del mezzo, puro infino al primo giro,
 

a li occhi miei ricominciò diletto, 

tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta 

che m’avea contristati li occhi e ‘l petto.

L’anima è rapita nella contemplazione, quando, ad un tratto, vengono alla mente i versi del Canto II (28-36), in cui Virgilio annuncia a Dante l’arrivo di un angelo del Paradiso:

… gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. 

Ecco l‘angel di Dio: piega le mani; 

omai vedrai di sì fatti officiali.
 

Vedi che sdegna li argomenti umani, 

sì che remo non vuol, né altro velo 

che l’ali sue, tra liti sì lontani.
 

Vedi come l’ha dritte verso ‘l cielo, 

trattando l’aere con l’etterne penne, 

che non si mutan come mortal pelo». 

Dopo la mormorante e calma introduzione, infatti, il recitativo del violoncello apre un momento più intenso, un dialogo quasi organistico tra legni e archi, che descrive le prove necessarie alle anime per poter poi ascendere al Paradiso. Sembra di sentire le anime purganti implorare il Padre di misericordia con i versi del Canto XI (1-9):

O Padre nostro, che ne’ cieli stai,

non circunscritto, ma per più amore

ch’ai primi effetti di là sù tu hai,
 

laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore

da ogni creatura, com’è degno

di render grazie al tuo dolce vapore.
 

Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,

ché noi ad essa non potem da noi,

s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.

Segue un episodio «Lamentoso», una fuga a cinque voci, sempre più maestosa e solenne, che ci fa pensare all’afflizione di quelle anime (XI, 28-30):
 

disparmente angosciate tutte a tondo

e lasse su per la prima cornice,

purgando la caligine del mondo.

Poi, a poco a poco, le fosche nubi si diradano e si passa a sonorità più dolci. Soprani e contralti intonano su melodie gregoriane i primi due versi del Magnificat, e culminano in Osanna e Alleluia. Qui Liszt non segue Dante, che fa cantare ai penitenti e ai beati soltanto Osanna, ma ci fa ascoltare un canto soavissimo e in crescendo, che quasi manifesta le anime salire lentamente il mistico monte fino a Dio.

Se oggi ci rattrista il silenzio circa l’«aldilà», cioè la realtà escatologica, se raramente ascoltiamo parole come quelle summenzionate del Pastore Angelico, ci consola la musica di Liszt.