Il Prosecco fa male solo agli ecologisti
Tanta pioggia concentrata in una piccola area, ma non un evento “eccezionale”. Lo dicono gli esperti dell'Agenzia regionale dopo la “bomba d’acqua” che sabato notte ha innescato il disastro di Refrontolo. Ma per gli ecologisti la questione è semplice: dove c’è il bosco non ci sono disastri. La natura lasciata da sola è il paradiso?
Tanta pioggia concentrata in una piccola area, ma non un evento meteo “eccezionale”. Questo quanto affermato dagli esperti del centro Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto” (Arpav) di Teolo sulla “bomba d’acqua” che sabato notte ha innescato nell’Alta marca trevigiana il disastro di Refrontolo. I dati delle centraline pluviometriche più vicine all’area dell’alluvione vanno da un massimo di 70 millimetri ad un minimo di 47 millimetri per metro quadro (con un dato medio di 59 mm) nell’arco di due ore, fenomeno che può capitare dalle 5 alle 10 volte in un anno (leggi qui). Proprio in quelle ore infuriava la polemica tra gli ecologisti ed i coltivatori dei vigneti del Prosecco, accusati dai primi di aver contribuito al tragico evento con la creazione di un dissesto idrogeologico conseguenza dell’occupazione con i vitigni di terreni che prima ospitavano il bosco.
Seppur stiamo parlando di uno dei posti più belli in Europa, il concetto che comunicano gli ecologisti intervistati sui mass-media è semplice e così schematizzabile: dove c’è il bosco non ci sono frane. La natura lasciata da sola è il paradiso, senza frane e alluvioni, quando arriva l’uomo, l’ambiente è irrimediabilmente rovinato. La realtà però è ben altra e più complessa. L’Italia attuale è sempre più verde, più di un terzo di Paese è coperto dai boschi, rispetto a 50 anni fa l’estensione dei boschi è più che raddoppiata avvicinandosi alla quota record di undici milioni di ettari. Se hanno ragione gli ecologisti allora, essendo aumentati i boschi, le frane ed alluvioni sono diminuite sensibilmente? La sensazione è che invece ciò non sta accadendo.
I boschi che fanno bene al territorio, che limitano il dissesto, sono quelli curati dall’uomo e non quelli in stato di abbandono che occupano gli spazi lasciati dagli agricoltori ormai invecchiati. Quando gli ecologisti si accorgeranno che la natura da sola, senza l’attività dell’uomo, degrada? Non è vero, come fatto credere finora, che l’uomo è il cancro del pianeta, che per la salvaguardia del Creato è indispensabile far scomparire l’uomo. Semmai è vero il contrario: serve l’uomo che segua dei comportamenti giusti. Già la cultura contadina sapeva che: un bosco abbandonato si ammala prima e s’incendia con maggiore facilità, il vigneto abbandonato non produce, sull’orto non lavorato prende il sopravvento l’erbaccia, i canali di scolo non puliti con il tempo creano la palude e la malaria, i torrenti si riempiono di detriti creando problemi alle prime precipitazioni consistenti. La stessa tipologia di ecologisti, facendoci credere che era indispensabile alla salvezza del pianeta, ha portato gli italiani ad una battaglia contro le emissioni di anidride carbonica, risultata ecologicamente inutile ed economicamente dannosa. Tantissime persone sono state persuase che la “green economy” era l’energia rinnovabile, la tecnologia d’idrogeno, che per salvare il mondo era indispensabile prolungare il Protocollo di Kyoto.
Se avessimo invece capito che “lavori verdi” veri erano quelli dei contadini, degli ingegneri per migliorare le infrastrutture ed i treni, degli operai per mantenere puliti i canali, dei falegnami che producevano infissi migliori, di industrie che producono manufatti che durano per tantissimo tempo, etc. investendo la stessa enorme quantità di denaro usata per mitigare il clima, ora sicuramente piangeremo meno morti, avremo fatto lavorare italiani invece dei cinesi, la qualità della vita delle persone sarebbe migliorata e non saremo costretti ad inventare termini, come “bombe d’acqua”, per far apparire nuovi i vecchi ed irrisolti problemi. “Green jobs” furono quelli ad inizi ‘900 per la foresta demaniale di Giazza dopo il drammatico 1882, anno in cui una grave alluvione, certamente aggravata dal dissesto degli alti versanti, causò vittime e ingenti danni a Verona (leggi qui)
In queste ore si ripete che per mettere definitivamente in sicurezza il territorio servirebbero 44 miliardi di euro, ma purtroppo non ci sono. Pensate che per incentivi alle energie rinnovabili spendiamo circa 12 miliardi l’anno. Non sarebbe stato meglio mettere in ordine il territorio in 3-4 anni e poi pensare alle emissioni? Con i soli incentivi per l’energia solare, pari a circa 6,5 miliardi l’anno, avremmo concluso il piano in 7 anni, dando lavoro ai nostri cittadini ora disoccupati. Dopo, con calma avremmo potuto cominciare a comprare i pannelli solari con un rendimento migliore, pagandoli ai cinesi circa la metà del prezzo che abbiamo pagato anni fa. Oppure in tale piano di sicurezza si sarebbero potuti utilizzare i 41,29 miliardi di euro di gettito incassati nel 2009 (ultimo dato disponibile) dall’applicazione delle cosiddette imposte “ecologiche” sull’energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, dei quali solo 459 milioni di euro sono andati a finanziare le spese per la protezione ambientale (elaborazione realizzata dalla Cgia di Mestre).
La scelta “ecologista” italiana purtroppo è stata diversa. Abbiamo speso una decina di miliardi di euro l’anno in una tecnologia all’epoca non matura, come i pannelli solari, abbiamo così arricchito i cinesi e i tedeschi trasformando il personale delle nostre ditte in “precari” installatori. Inoltre, per rendere competitivo il costo dell’energia verde, nel prossimo decennio pagheremo le bollette nettamente più care d’Europa, ciò con un beneficio ecologico insignificante per la quantità di emissioni di gas serra a livello globale, mentre i nostri competitor economici continuano ad aumentarle. Gli ecologisti hanno creduto tanto alla loro scelte che sembra vi abbiano anche “investito”, ne ha scritto “il Fatto Quotidiano: ”Legambiente? “Una lobby economico (leggi qui)
La Liguria, almeno in un caso ha cercato di seguire una “green economy” che creasse lavoro, benessere curando i boschi e foreste, private e demaniali. Faggete, castagneti, abetaie e alberi da fusto che coprono 375 mila ettari, il 70% del territorio regionale. Sapete chi si è opposto? Il Wwf, secondo cui la legge sullo sfruttamento dei boschi demaniali «va contro la Costituzione». E aggiunge: «È assurdo contemplare la possibilità di affidamento del patrimonio forestale di proprietà della Regione ad imprese forestali private». Pubblico e privato non possono stare insieme quando il primo deve assicurare «tutela alla biodiversità, protezione dei beni naturali, difesa del suolo, fruizione controllata da parte della collettività», mentre le altre hanno «esigenze di profitto» (leggi qui).
Il rispetto dell’ambiente è un problema antico. La tutela degli alberi è fondamentale e codificata fin dal Codice di Hammurabi (1750 a.C.), nell’anno 1791 ci fu il primo intervento legislativo per combattere i Cambiamenti Climatici ( http://www.climatemonitor.it/?p=19830) il Corpo forestale dello Stato trae le sue origini nelle "Regie patenti" di Carlo Felice di Savoia, che il 15 ottobre del 1822 costituì l'Amministrazione forestale per la custodia e la tutela dei boschi. I problemi antichi che si ripresentano ad ogni alluvione e frana. Per contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico che interessavano vaste aree del Paese, il 20 giugno 1877 fu stabilita la prima legge “forestale” del Regno che individuava indirizzi unitari per regolare i tagli e le opere consentite sui terreni collinari e montani e le prescrizioni cui i proprietari terrieri dovevano attenersi. Il 23 marzo 1971, durante una conferenza che si è svolta a Roma, dal titolo: “Strategia della sopravvivenza”, alla presenza del Presidente del Senato Amintore Fanfani, si affermava: “In Italia c’è una frana ogni 27 ore e un morto per frana ogni 8 giorni, attualmente sull’Appennino tosco-emiliano sono in atto 600 frane”, questi i dati forniti dal Presidente dei Geologi (leggi qui).
Alcuni credono di risolvere i problemi secolari installando pannelli solari cinesi e spegnendo lo stand-by della TV, ma le post-moderne “bombe d’acqua” talvolta tolgono queste illusioni. La realtà spesso è difficile da capire, ma tra un bosco abbandonato ed un vigneto ben curato ed “amato” dal contadino, non dovete avere perplessità, il secondo non è meno naturale del primo e limita il dissesto idrogeologico maggiormente.