Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Domenica delle Palme a cura di Ermes Dovico
Ora di dottrina / 159 – Il supplemento

Il Proprio della Domenica delle Palme

Dopo la liturgia gioiosa della processione delle Palme, i toni cambiano e ci portano dentro la lotta di Cristo nella sua Passione. Le antifone sono tutte in prima persona; è Cristo stesso che supplica, geme, invoca, spera. Il grido del Salmo 21 e la sua retta interpretazione.

Catechismo 13_04_2025

La liturgia della Domenica delle Palme è di una ricchezza straordinaria ed è impossibile commentarla nella sua integrità, anche solo sommariamente. Ci concentriamo su alcuni aspetti del Proprio della Messa, tralasciando invece la parte relativa alla processione. E tuttavia bisogna tenere almeno presente che le note della liturgia della processione delle Palme sono gioiose e solenni; è Cristo, Re e Messia, che viene celebrato nell’antifona Hosánna fílio Dávid e nell’inno Glória, laus, tanto per richiamare i più conosciuti.

Compiuta la processione, i toni però cambiano e ci portano dentro la lotta di Cristo nella sua Passione, che troverà un’enfasi tutta particolare nel canto del Passio. Come si è già notato per la domenica precedente, le antifone sono tutte in prima persona; è Cristo stesso che supplica, geme, invoca, spera. Dómine, ne longe fácias auxílium tuum a me, ad defensiónem meam áspice – Signore, non allontanare da me il tuo aiuto, volgiti a mia difesa: sono le parole iniziali dello splendido Introito, purtroppo omesso nel rito antico (dove è stato spostato al sabato precedente), che esprime la supplica del Signore sulla croce. Il testo è infatti tratto dal Salmo 21 – «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» –, l’orazione estrema di Gesù mentre è sospeso tra cielo e terra.

La liturgia applica uno dei principali principi di una corretta interpretazione del testo biblico, che possiamo esprimere così: ogni volta che il Nuovo Testamento cita l’Antico, non bisogna fermarsi al solo versetto citato, ma risalire all’intero contesto. E così, quando i Vangeli di Matteo (27, 46) e di Marco (15, 34) riportano questo grido del Signore, che chiaramente si riferisce al primo versetto del Salmo, il senso pieno di queste parole lo si ritrova tornando al Salmo nella sua interezza. Non è infatti il grido della disperazione ad uscire dalla bocca del Signore Gesù, ma quello della lotta contro la disperazione, estremo tentativo di Satana di far cadere il Figlio di Dio; lotta che si conclude con un pieno atto di fiducia in Dio: «Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele; perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito» (Sal 21, 24-25).

La percezione sofferta dell’abbandono non è l’ultima parola della Passione del Signore: al culmine troviamo infatti la certezza del soccorso del Signore e anche la confessione dell’inesauribile fecondità che la terribile prova saprà generare: «E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia» (Sal 21, 31-32).

La centralità di questo Salmo, in questa domenica che introduce nella Settimana Santa, risalta anche nella sua ripresa nel Tractus (in entrambe le forme del rito romano), che ne riporta ben quattordici versetti; il II modo caratterizzerà i tratti di questa settimana (nel rito antico): scelta quanto mai appropriata, in quanto esso è caratterizzato da gravità e tristezza, sempre temperata da una chiara pacificazione di fondo; ciò non impedisce al Tractus di esprimere, sulla sillaba me del versetto Líbera me de ore leónis, un’espressione struggente di dolore, resa più penetrante dalla ripetizione di due identici pes subbipunctus (due note ascendenti – pes – con due note discendenti) prima, e di due climacus (tre note discendenti “appese” alla prima) dopo.

Nel rito antico, il Graduale per questa domenicaTenuísti manum déxteram meam – è tratto dal Salmo 72 ed esprime la fiducia nella destra di Dio che protegge e conduce il suo servo, quasi in risposta al grido dell’Introito. Ma è anche il Salmo che fa emergere la grande prova che il Giusto condannato deve affrontare, ossia quella di vedere di fronte a sé gli iniqui che sembrano avere la meglio e godersi la propria vittoria, mentre l’ingiustizia trionfa. «Mei autem pene moti sunt pédes, pene effúsi sunt gréssus mei – per poco non hanno vacillato i miei piedi, per poco non sono venuti meno i miei passi». Nel rito riformato trova invece spazio lo splendido Graduale Chrístus factus est pro nobis, che verrà ripetuto il Venerdì Santo, in entrambi i casi collocato in modo anomalo dopo la seconda lettura, anziché dopo la prima. La caratteristica più marcata di questa composizione è senza dubbio la sua dilatazione che raggiunge le profondità del do sulla i di crucis, ad indicare la kenosis del Verbo divino, per poi salire alle altezze del sol (dell’ottava sopra), proprio mentre si afferma che, per questo suo abbassamento, Dio lo ha esaltato. Nella -u di exaltávit illum, il brano non tocca solo la sua vetta, ma anche la sublimità dello stile ornato che indugia quanto più possibile su questa esaltazione.

Nel rito antico, questo Graduale è posto invece dopo l’epistola della Messa in Coena Domini, quando si commemora il dono totale di sé del Signore nella santa Eucaristia. Il Sacro Triduo, nell’Ufficio Divino, è scandito dal canto “progressivo” di questa antifona dopo le Lodi, a conclusione del caratteristico Ufficio delle Tenebre: il Giovedì Santo, essa viene cantata solo fino ad usque ad mórtem, il Venerdì Santo prosegue fino a crúcis e, finalmente, il Sabato Santo viene eseguita nella sua interezza.

Il Proprio delle Palme termina con il capolavoro del Communio: «Pater, si non pótest hic cálix transíre, nisi díbam illum: fiat volúntas tua – Padre, se non è possibile che questo calice passi senza che lo beva, sia fatta la tua volontà». L’esecuzione quasi sillabica si ferma sul decisivo fiat alla volontà del Padre grazie ad un torculus (tre note, grave-acuto-grave), seguito da un porrectus (sempre tre note, ma questa volta acuto-grave-acuto). Tutto il mistero della Settimana Santa è infatti racchiuso in questa adesione perfetta del Redentore alla volontà del Padre; non sono propriamente le sue sofferenze, né la sua morte a salvarci, ma quell’obbedienza piena d’amore che ripara la disobbedienza originaria e che manifesta la piena unione tra Cristo e il Padre: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8, 28-29).



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