Il proporzionale non è il male. Il problema è nei partiti
La Corte Costituzionale ha bocciato la richiesta di referendum avanzata dalla Lega, per una legge elettorale interamente maggioritaria. Adesso si spiana la via, in Parlamento, per un ritorno del proporzionale. Il sistema ha funzionato bene nella prima Repubblica. Ma i partiti di oggi non sono responsabili come quelli di ieri.
Questa volta la Corte Costituzionale aveva qualche appiglio per bocciare la richiesta referendaria voluta dalla Lega per proporre una legge elettorale integralmente maggioritaria. Come ammesso dallo stesso Calderoli nei giorni scorsi, c’era nel quesito qualche aspetto eccessivamente ‘manipolativo’, tant’è che Giorgetti, nel tentativo di salvare il salvabile (e cioè un po' di maggioritario), aveva già dato per perso il referendum e proposto a viva voce di tornare tutti insieme appassionatamente al Mattarellum, che ha 3/4 di maggioritario e 1/4 di proporzionale. Tentativo a futura memoria, ovviamente, che non poteva avere alcun effetto pratico sulla sentenza della Corte, se non quello di testimoniare come alcuni settori pensanti della Lega ritenessero e ritengano il referendum un nuovo autogol dopo quello di agosto.
Ma dopo la bocciatura del quesito da parte della Corte (sembra per 9 a 6, quindi non con voto unanime) la via per i sostenitori di un ruolo del popolo - tramite referendum - nel definire una legge elettorale appare definitivamente preclusa: è infatti praticamente impossibile formulare un quesito che cambi una legge elettorale in maniera significativa, rispettando il principio della immediata applicabilità della proposta eventualmente vincente. Principio che è stato solennemente riaffermato dalla Corte con la sentenza dell’altro giorno.
Ma soprattutto è diventata assolutamente impervia in Parlamento - unico luogo in cui d’ora in poi si decideranno le leggi elettorali - la via dei sostenitori del maggioritario, di un qualunque maggioritario, di una qualunque quota di maggioritario. Ne sono riprova le parole amareggiate di sostenitori del maggioritario che militano anche nel campo del centrosinistra, uno su tutti l’ex ministro Arturo Parisi, collaboratore e amico di Romano Prodi da trent’anni. La sentenza di ieri dunque, volenti o nolenti i giudici, spalanca la via al ritorno del proporzionale nelle elezioni politiche, tanto più che una proposta di legge proporzionale, ricalcata sul modello tedesco e chiamata Germanicum, è già stata depositata con la firma di tutti i partiti della maggioranza rosso-gialla. Essa prevede un sbarramento del 5% (ma Leu chiede di abbassarlo ed è del tutto probabile che così accadrà) e un diritto di tribuna per i partiti che non raggiungessero quella soglia.
Ora, che cosa ha di così cattivo una legge elettorale proporzionale, che dà a ciascuno il suo, cioè ad ogni partito i seggi esattamente corrispondenti ai voti popolari raccolti? Si dice in segno di disprezzo che in questo modo si torna alla prima Repubblica, e questo è insieme vero e completamente falso. È vero perchè dal 1948 al 1992 si è votato con una legge proporzionale, ma è completamente falso perchè la serietà dei principali partiti di allora, la coerenza delle alleanze attorno alla DC e la forte fedeltà degli elettori hanno permesso più di 40 anni di stabilità politica nonostante i numerosi ostacoli superati. E si può perfino dire che col proporzionale nella prima Repubblica si sapeva chi avrebbe governato già la sera stessa delle elezioni, non il nome del Presidente del Consiglio, ma la coalizione col suo programma. Il proporzionale di oggi avrà invece effetti opposti e pessimi non per colpa della prima Repubblica, infinitamente più seria e rimpianta di questa indefinita terza o quarta, ma per la decaduta qualità dei protagonisti di oggi.
Lo si vede già dalle reazioni di queste primissime ore: ogni partito è in caccia di un proprio posizionamento anzitutto a scapito dei partiti alleati o più vicini, perchè è a loro che può sottrarre voti. E questo è destinato a crescere con l’avvicinarsi delle elezioni politiche, per ora ancora lontane. Saranno impensabili gli inviti che spesso il segretario della DC faceva a votare “per un partito della nostra coalizione”. Al contrario, nelle prossime campagne elettorali si scatenerà la guerra di tutti contro tutti. La sera delle elezioni si saprà quale è il partito più votato ma non si saprà affatto con chi governerà e secondo quale programma e, in qualche caso, neppure si saprà se potrà governare o sarà messo in minoranza da tutti gli altri. Saremo sempre più in una situazione di instabilità. E l’instabilità, lo sappiamo, è la condizione peggiore per il progredire di un Paese.