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CUBA

Il profumo del Che ritirato per oltraggio alla rivoluzione

"Ernesto" e "Hugo": due profumi che l'azienda di Stato cubana si apprestava a lanciare sul mercato in onore di Che Guevara e del defunto presidente venezuelano Chavez. Mail regime di Raul Castro ha bloccato tutto, accusando di "tentata eresia" i vertici dell'azienda. Scherza con i santi ma lascia stare il Che.

Esteri 01_10_2014
Ernesto Che Guevara

Scherza coi fanti ma lascia stare i santi. O se preferite la maniera guevarista: “Lo simbolos ayer, hoy y siempre, son sagrado”. Giù le mani dai santini della rivoluzione castrista che ieri, oggi e sempre sono sacri: lo scrive Granma, il quotidiano velina del regime cubano annunciando severi provvedimenti contro i responsabili di Labiofarm, l’azienda farmaceutica di Stato de L’Avana. Che sono accusati di “tentata eresia” controrivoluzionaria. Perché? Nel corso del suo meeting annuale, l’azienda aveva mostrato a giornali e tv esteri le prime boccette di due profumi dedicati alla coppia più famosa della révolucion castrista: “Ernesto” e “Hugo”, cioè il mitico Che e il defunto presidente venezuelano Chavez. Alle due fragranze, i dirigenti della Labiofarm avevano lavorato per quasi un anno e mezzo, coinvolgendo, a loro detta, anche i familiari dei due eroi che si sono dimostrati moti soddisfatti e onorati per il profumato omaggio. Ma a far svaporare il progetto, è intervenuto duramente il Consiglio dei ministri cubano, presieduto da Raúl Castro, che ha cancellato la sacrilega iniziativa e ne ha scomunicato i responsabili. Contro di loro si stanno preparando severe «misure disciplinari» perché «iniziative di questo genere non saranno mai accettate né dal nostro popolo né dal governo rivoluzionario». Insomma, come sempre, a Cuba la libertà non può neppure essere “annusata”.

La rivoluzione, diceva Mao, non è un pranzo di gala: figuriamoci se poteva diventare un’etera fragranza agli aromi dei tropici e al gusto di mango e papaya. Van bene gli assaggi di mercato, lo spruzzo di capitalismo e i consumismo soft e controllato, ma qui siamo a un passo dal borghesismo più cicisbeo e frou frou. Niente a che vedere con gli aromatici puros Cohiba, i sigari preferiti dal Che, o l’Habana Club, il ron più amato da Fidel. La rivoluzione non russa, certo, ma mica può essere anche profumata con l’eau de cologne Ernesto, come faceva Marylin con le mitiche tre gocce di Chanel n.5. Per le due essenze, “aspro e rinfrescante” quella del Che al gusto di limone, più soave e ai frutti tropicali la Hugo, era già pronto un contratto internazionale in joint venture con un’azienda francese. Isabel Gonzalez, dirigente di Labiofam, il maggior laboratorio statale cubano per prodotti naturali e medicine omeopatiche, aveva difeso la scelta dell’azienda: «Saranno sicuramente due profumi molto seducenti, ma anche il nome per noi significa moltissimo. Non vogliamo fare propaganda alle loro figure, ma contribuire al ricordo». Niente da fare, il governo è rimasto inflessibile nella condanna, negando pure che le famiglie dei due leader avessero dato il loro consenso. 

I profumi Ernesto e Hugo sono stati ritirati e le confezioni già in spedizione per l’estero sequestrate e distrutte. E poco importa se lo stesso Raul Castro fosse o no al corrente dell’operazione della Labiofarm. Qualcuno avanza il sospetto che il capo sapeva e aveva avvallato l’iniziativa, salvo poi recedere su pressione del partito comunista cubano. Che deve aver fiutato le conseguenze politiche della disgraziata impresa e del pericoloso piano inclinato in cui si metteva l’azienda profumiera. Dopo l’essenza Ernesto sarebbe arrivato anche il denitrifico del Comandante, il deodorante Santa Clara o l’after shave La Moncada: davvero troppo per i rudi barbudos della Sierra Maestra.

I profumi Ernesto e Hugo

Ai fan degli eroi caraibici restano pur sempre le t-shirt con la celebre effige del Che di Alberto Korda o il pupazzetto di pezza Chavez in bella sulle scrivanie dei ministeri e nelle case di Caracas.  Delle magliette guevariste sono state vendute milioni di pezzi in tutto il mondo. Un must che amplificò il mito dell’eroe romantico e incompreso, immolatosi per riscattare i campesinos boliviani dalla fame e dallo sfruttamento delle multinazionali yankee. Morte gloriosa, un po’ meno il suo ricordo affidato a un merchandising aggressivo e sfacciato: dalle tazze per il caffellatte alle biro, dai foulard alle camice, perfino lenzuola e spillette per avere un po’ di rivoluzione prêt-à-porter. Il “guerrillero heroico” fu utilizzato qualche anno fa anche dalla Mercedes per lanciare un’iniziativa di car sharing e mobilità a basso impatto ambientale. La scritta “Viva la revolución!” e sullo sfondo una gigantografia del Che, con basco nero e stella: non la rossa dell’insurrezione comunista, ma quella a tre punte della casa automobilistica. Lo scandalo fu grande.

Poveri cubani: non soltanto costretti a pagare da più di 40 anni i disastri di un comunismo straccione e inconcludente (ma non per questo meno feroce e poliziesco) ma gli tocca pure sopportare il gioco di un Occidente idiota e burlesque. Che se ne impippa delle miserie dell’isola fino al punto di elevare gli affamatori a icone hollywoodiane di smanie radical chic. Meglio l’embargo che questa buffonesca Internazionale dei gadget comunisti. Ma la fragranza del Che sarebbe risultata irrespirabile anche per i più convinti (e ancora ce ne sono) castristi e tropico-rivoluzionari rimasti su questa terra. Uno sfregio per Ernesto che ai profumi dolci e fruttati, preferiva il puzzo della battaglia, della violenza e del sangue. Guevara fu un rivoluzionario radicale e spietato, credeva nella pena di morte e la applicò senza riserve contro nemici e amici, reazioni e rivoluzionari pentiti a solo dissidenti. 

Questo è ciò che porta il vento che soffia dall’Avana: miasmi insopportabili e nauseanti. Gli stessi di oggi: arrivano dalle galere dove sono ancora rinchiusi almeno 200 dissidenti politici, dalle città dove il 70, 80 % della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, in case senza acqua potabile e con le fogne a cielo aperto. Sapori e dolori di un Paese dove a nessuno è consentito di ribellarsi, chiedere in un salario decente o sperare la fine di un regime fallimentare che può garantire solo una razione di pane, riso e fagioli. Profumo di Cuba? No grazie, meglio un po’ d’acqua fresca, che sia potabile però.