Il pregiudizio Ue contro Polonia e Ungheria
Polonia e Ungheria sono sotto accusa l'una per la legge "anti-Lgbt" e l'altra per una presunta violazione dell'autonomia della magistratura. Ma in Spagna e Austria i governi rispettano ancor meno la magistratura.
Si apre un altro capitolo della saga europea contro Polonia e Ungheria, ma amnesie e mosse a sorpresa potrebbero rivoluzionare gli scenari. Lo scorso 20 Luglio la Commissione europea, nel presentare il secondo Rapporto sullo Stato di Diritto dei Paesi dell'Unione, ha dichiarato che non verranno elargiti i fondi del ‘Recovery Plan’ di Ungheria e Polonia se i due Paesi non approveranno le modifiche legislative che la stessa Commissione ha comunicato nell’avvio di infrazione.
La stampa internazionale parla solo di questi due Paesi e non accenna alle violazioni nella Spagna socialista o la crisi in Austria. La minaccia verso Polonia ed Ungheria della Commissione Europea è contraria a qualunque interpretazione dell’accordo siglato dai 27 leader europei lo scorso 10 ed 11 dicembre scorso, nel quale si era trovata un'intesa equilibrata con la mediazione di Angela Merkel e che aveva mandato su tutte le furie Soros. L’annuncio del blocco dei fondi ad Ungheria e Polonia ha raccolto il plauso di molti editorialisti, tra cui il Der Spiegel, ricalca la richiesta dello scorso inverso proprio di George Soros, dimostrando che l’Europa si inginocchia agli ordini di sinistra e filantropi.
Il 21 Luglio il Premier Orban ha smascherato definitivamente le pretese europee e, con una mossa a sorpresa, annunciato un prossimo referendum popolare sulla contestata legge anti-pedofilia che si terrà nel prossimo inverno o nei primi mesi del 2022. "Il futuro dei nostri figli è in gioco, quindi non possiamo cedere su questa questione", ha detto in un video. "Nelle ultime settimane, Bruxelles ha chiaramente attaccato l'Ungheria per la sua legge sulla protezione dei bambini. Le leggi ungheresi non permettono la propaganda sessuale ed LGBTI negli asili, nelle scuole, in televisione e nelle pubblicità…”I quesiti referendari saranno semplici e metteranno a tema tutte le richieste europee a favore dei dogmi arcobaleno. L’annuncio del referendum popolare ha provocato reazioni univoche ed impaurite nei leaders delle organizzazioni LGBTI europee, ne riporta alcune il The Guardian, e nei grandi filantropi come il Fondo Norvegese, Belga e del Liechtenstein che ha bloccato le sue donazioni di 215 milioni di euro alle Ong ungheresi.
Coloro che si definiscono promotori della libertà sociale hanno poi paura del popolo? Pare di sì. Lo vediamo anche dalla pittoresca rappresentazione che alcuni giornali hanno fatto delle poche migliaia di manifestanti del Gay Pride di Budapest, svoltosi il 25 luglio senza incidenti, pregiudizi né intimidazioni, alla faccia delle narrative in voga a Bruxelles. Un gay pride contro gli emendamenti costituzionali che definiscono la famiglia ed i genitori naturali e la legge anti pedofilia e al quale tutti i partiti delle opposizioni hanno partecipato. Ovviamente nessun giornale europeo ha sottolineato il risultato del sondaggio pubblicato negli stessi giorni sulla possibilità di aver un prossimo premier LGBTI nel paese: l’80% non lo gradirebbe, tra gli elettori di Fidesz i contrari sono il 72%, tra gli elettori dei partiti di sinistra sono il 66%. La risposta di Varsavia alle accuse e minacce di Bruxelles non si è fatta attendere ed è stata chiara almeno quanto quella di Budapest.
Dal governo polacco si è fatto notare il ‘doppio standard’ con cui agisce e decide la Commissione. Le richieste della Commissione a Varsavia di adeguarsi alle decisioni della Corte di Giustizia Europea, alcune delle quali sono già state in parte dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema, sono rimesse al giudizio della Corte Costituzionale. Dunque, la Commissione da un lato chiede maggiore autonomia della magistratura polacca, dall’altro chiede al governo di violare le competenze della Corte Costituzionale e della sua autonomia. Ebbene, il governo polacco non accetta le minacce europee sulle riforme della magistratura, come già nelle scorse settimane aveva rispedito al mittente le critiche sulle politiche pro famiglia delle amministrazioni locali: non accettiamo politiche colonialiste. Il governo polacco ha fatto presente che il suo stesso sistema di elezione dei giudici è in vigore in Spagna. Il Commissario alla Giustizia Reynders ha infatti equiparato i rischi polacchi a quelli spagnoli, ma alla Spagna nessuna minaccia né procedura di infrazione è stata rivolta.
Anzi, davanti alla persistente volontà di occupazione politica della magistratura da parte del governo Sanchez, che vuole introdurre modifiche nella elezione dei giudici per favorire magistrati compiacenti con il suo esecutivo, Bruxelles ha lanciato l’invito a ‘depoliticizzare la giustizia’. Sanchez ed il Partito Socialista sono certi della propria impunità, stanno ignorando il richiamo della Commissione e nei scorsi giorni, hanno presentato nuove norme che permettono di arrivare ad un ‘pluralismo giudiziario’ con l’elezione di giudici più comprensivi delle ragioni dell’Esecutivo. Popolari e Vox spagnoli sono sugli scudi, Bruxelles e la grande stampa? Silenzio.
Medesimo atteggiamento verso l’Austria, il cui governo è stato ‘richiamato’ perché troppo esplicito nei suoi attacchi ai magistrati. Il dibattito apertosi all’interno della coalizione di Popolari e Verdi è durato 24 ore, dopo di chè il Premier Kurz ha difeso il proprio diritto di critica e i ministri Verdi si sono accontentati di una qualche concessione sul piano nazionale per investimenti verdi. Non a caso la presidente Von der Leyen e alcuni ministri austriaci si sono visti ieri alla inaugurazione del Festival di Salisburgo
Coloro che a Roma e Bruxelles stigmatizzano Orban e Morawiecki dovrebbero sanzionare per primi Kurz e Sanchez, ovvero dichiarare che la ‘loro’ Europa discrimina e agisce solo in base ‘complicità politiche occidentali’, l’inverarsi della profezia di San Giovanni Paolo II sull’Europa a ‘due polmoni’ è impedita dai marasmi di Bruxelles.