Il potere reale non è nelle mani della politica
Che ruolo ha avuto la politica nella fusione annunciata fra Fca e General Motors? E che ruolo ha avuto nella scoperta del nuovo giacimento di gas in Egitto? E cosa fa la politica di fronte all'ondata migratoria? E cosa, poi, per cercare di stabilizzare il Medio Oriente? La risposta è sempre la stessa: nulla. Perché la democrazia, così come la conosciamo, è entrata in crisi.
Sempre meno la sostanza del potere in Italia alberga nel proverbiale “Palazzo” partitico-parlamentare; e sempre più invece alberga altrove. Lo confermano, se mai ce ne fosse stato bisogno, due notizie recenti che meritano molta più attenzione di quella che sin qui hanno ricevuto.
Da Detroit il numero uno di Fiat Chrysler Automobiles, Sergio Marchionne, ha lanciato qualche giorno fa l’idea di una fusione appunto tra il gruppo industriale da lui guidato e la General Motors. I due gruppi complessivamente producono 17 milioni di autoveicoli e incassano 30 miliardi di dollari all’anno. Ci si deve augurare che l’eventuale fusione tra i due colossi faccia bene alla causa dell’industria automobilistica dell’Occidente, sempre più insidiata dalla concorrenza asiatica. A parte questo tuttavia se ciò accadrà la Fiat e i suoi stabilimenti in Italia diventeranno una provincia ancor più remota e minuscola di quanto già oggi sono di un gigante la cui testa e il grosso dei cui interessi sta in altri continenti.
Da Milano l’altro giorno il numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi, ha dato notizia che il suo gruppo ha scoperto al largo delle coste dell’Egitto, in un’area di cui ha la concessione in esclusiva, uno dei più grandi giacimenti di gas naturale del mondo. Si tratta almeno dell’equivalente di 5 miliardi e mezzo di barili di petrolio: quanto basta per garantire per decenni energia per lo sviluppo dell’Egitto e della sua economia, e quanto basta per fondare su tutto ciò un’alleanza economica strategica fra il nostro Paese e l’Egitto.
Che influsso in positivo o in negativo può aver avuto la politica italiana su eventi come questi, destinati ad avere un impatto di primaria importanza sugli sviluppi dell’economia del nostro Paese? E’ presto detto: nessun influsso. E che cosa potrà o vorrà fare la politica italiana per mitigare gli effetti negativi e rispettivamente incrementare gli effetti positivi di questi due cruciali eventi? E’ presto detto: tutta assorbita dalle sue liti da cortile non farà nulla.
Che cosa poi sta facendo la politica non solo italiana ma europea per affrontare il problema dell’immigrazione “non programmata” non ai confini o nelle stazioni di questo o quel Paese membro bensì là dove questi flussi migratori irregolari e non controllati iniziano, affrontandone le ragioni di fondo e decidendo di scendere in campo contro le organizzazioni criminali internazionali che li gestiscono? E’ presto detto: non sta facendo niente.
L’elenco degli esempi potrebbe continuare. Senza andare oltre limitiamoci a citare i casi del prezzo dei combustibili che non scende, se non in modo irrisorio, mentre il prezzo del petrolio greggio crolla, e la sconsiderata politica delle grandi potenze nel Vicino e Medio Oriente a causa della quale con esiti catastrofici si lascia campo libero a strutture di potere sostanzialmente banditesco.
Siamo evidentemente di fronte all’incapacità generale della politica contemporanea a confrontarsi adeguatamente con i grandi problemi del momento. Ciò sia per mancanza obiettiva di strumenti adeguati da parte degli Stati, e sia per la sempre più bassa qualità del ceto politico Si aprono così dei vuoti che, talvolta bene ma talvolta pessimamente, vengono riempiti da potenze economiche multinazionali che finora per lo più sono legittime, ma in certi casi sono anche criminali. E’ in effetti la crisi della democrazia così come l’abbiamo ricevuta dai secoli che sono alle nostre spalle. Che senso avere il diritto di votare per il Parlamento o per il Governo quando non è possibile alcun controllo democratico su poteri che di fatto contano molto di più di essi? A questi si aggiungono poi organizzazioni internazionali che da un lato hanno carattere istituzionale ma dall’altro sfuggono esse pure a qualsiasi tipo di controllo democratico. Tipico il caso dell’Onu e delle sue agenzie specializzate che sono in pratica nelle mani di burocrazie che si rinnovano per cooptazione, e che perciò sono il punto di coagulo ideale di minoranze militanti. Il caso del “gender” e rispettivamente di certi modelli di politica ambientale è solo un esempio del ruolo che le burocrazie di queste organizzazioni possono assumere nel processo di pseudo-normalizzazione di idee e di politiche che difficilmente passerebbero se venissero messe alla prova della democrazia.
Occorre dunque lavorare a nuovi modelli di legittimazione democratica adeguati al tempo in cui viviamo. Altrimenti, all’ombra di una democrazia tradizionale ridotta a pura formalità, cresceranno sempre di più nuove forme di potere autocratico diverse nello stile ma non nella sostanza alle peggiori dittature del secolo XX. Nuove forme di potere autocratico delle quali oggi purtroppo già si vedono i barlumi.