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Il RITRATTO

Il poliedrico don Sturzo? Era anche musicista

A sessant’anni dalla sua morte, si riflette giustamente sul pensiero di don Luigi Sturzo ma pochi sanno che il servo di Dio era anche un appassionato di musica nonché musicista e compositore, almeno nei suoi anni giovanili. Grande ammiratore di Verdi, su cui scrisse uno studio, era anche un entusiasta sostenitore del movimento sulla musica sacra promosso da san Pio X. E quando intonava il Sanctus

Cultura 28_08_2019

A sessant’anni dalla sua morte, si riflette sulla figura e il pensiero di don Luigi Sturzo (1871-1959). Il servo di Dio ci si presenta come statista, politico, sociologo e poliedrico letterato, ma soprattutto come sacerdote, come «un uomo di Dio che ha lottato strenuamente per difendere e incarnare gli insegnamenti evangelici, nella sua terra di Sicilia, nei lunghi anni di esilio in Inghilterra e negli Stati Uniti e negli ultimi anni della sua vita a Roma» (Francesco, Messaggio Pontificio, 13 giugno 2019).

Alle citate chiavi di lettura, si può aggiungere quella quasi inedita di don Sturzo appassionato di musica nonché musicista e compositore, almeno nei suoi anni giovanili. Il compositore e direttore d’orchestra Gianandrea Gavazzeni racconta di essere andato spesso all’Augusteo, che dal 1908 al 1936 fu la celebre sala dei concerti romani, con don Sturzo:

Ci davamo appuntamento a piazza Colonna, andavamo a piedi insieme lungo il Corso, con le due tessere dell’Osservatore Romano. Don Sturzo, un uomo sui cinquant'anni, ancora gagliardo prima di andare in esilio. Era musicista, diplomato all’Accademia Pontificia di Musica Sacra. Amava la polifonia, componeva mottetti liturgici e scriveva saggi di musicologia (Scena e retroscena, Rizzoli, 1994, p. 52).

Il musicista e critico musicale Giulio Confalonieri, che conobbe il sacerdote di Caltagirone a Londra negli anni Venti del secolo scorso, riferisce di lui (sul settimanale Oggi del 22 gennaio 1946, Rizzoli, Milano):

Aveva studiato musica con impegno e con ordine, conosceva le regole del contrappunto, aveva tirato su a Caltagirone una scuola di ragazzi cantori, rifornendoli di Messe, di Litanie, di Mottetti e qualche volta si era avventurato fino nelle terre dubbie della commediola musicale. Una sera sedette a un piccolo armonium e incominciò a preludiare. Le mani si muovevano con qualche stento ma gli accordi si calavano puliti; il basso si articolava in linee sode e variate; si sentiva un uomo che ce la sapeva fare. Poi, a poco a poco, la libera improvvisazione si compose in una forma più precisa e Don Sturzo cantò, intonatissimo, le parole del Sanctus. «Questo è mio − avvertì − e fra poco non saprò più come vada a finire». Smise, difatti, senza terminare l’Hosanna e io capii che aveva forse terminato per sempre.

Dal Confalonieri sappiamo pure che don Sturzo era entusiasta della riforma sulla musica sacra di san Pio X, ammiratore di Tebaldini, Perosi, Casimiri e sospettoso di Ravel e Stravinskij.

Il vivo trasporto di Sturzo per la musica, e per la poesia, è testimoniato pure dal suo «poema drammatico in un Prologo e quattro Azioni» Il ciclo della Creazione. Tetralogia cristiana, pubblicato a Parigi nel 1932. Il primo tentativo di farne un oratorio con la musica di Lorenzo Perosi, maestro della Cappella musicale pontificia «Sistina», non riesce. Il simultaneo uso di più tonalità o politonalità  del compositore francese Darius Milhaud pare più adatto e si raggiunge un accordo. In una lettera al fratello dell’1 marzo 1935 don Sturzo scrive:

In questi giorni è stato qui il musicista Darius Milhaud, che ha finito di scrivere la musica per il prologo, Angeli e Adamo. Mi ha fatto sentire al piano la primizia. Ci sono cose bellissime, altre mi sono rimaste oscure, ma è difficile trovare i mezzi per una esecuzione. I monaci dell’abbazia di Einsiedeln avrebbero proposto di eseguire l’opera all’aperto nel piazzale della Badia, ma ciò sarebbe impossibile per ragioni acustiche (Carteggio 1924-1940, Ed. di Storia e Letteratura, 1999).

La prima esecuzione assoluta della partitura avvenne il 21 maggio 1986 nella Cappella Paolina del Quirinale, a Roma, alla presenza del presidente Francesco Cossiga.

Infine, ricordiamo le pagine, di seguito riassunte, di uno studio di don Sturzo su Giuseppe Verdi, in cui troviamo tutta la sua ammirazione per il grande compositore (La musica di Verdi, ne Il Mondo, vol. VI, n. 11, dicembre 1943). «Il secolo XIX ci ha lasciato in eredità due colossi del teatro di musica: Wagner e Verdi», scrive all’inizio. «C'è qualcosa nella loro musica che rende permanente (fin ora almeno) l’appello alla sensibilità estetica e musicale e all’ammirazione di tutti i paesi». Concentrandosi su Verdi, poi, ripercorre i momenti principali della sua formazione e ricorda il ruolo che la sua musica avrebbe avuto a livello nazionale per «un pubblico saturo di tutte le melodie di Rossini, Donizetti e Bellini e loro seguaci». Il bel canto italiano continua con Verdi, «ma egli traduce la melodia in dramma e sostiene il dramma con l’orchestra, che arriva già ad avere una propria personalità».

L’Aida è l’opera in cui «melodia e dramma non si distinguono più, dove canto e orchestra si fondono», è un capolavoro in cui si combinano puro canto e una musica intima, spettacolare. «Senza entrare ad inquisire sulla fede di Verdi», nella Messa di Requiem per l’anniversario della morte di Alessandro Manzoni, così come nei Pezzi Sacri (Te Deum, Laudi alla Vergine, Stabat Mater), le sue ultime composizioni, si può dire che egli esprima a suo modo la sua fede, la sua interiorità religiosa, una sua forma di preghiera, dichiara don Sturzo. E conclude:

Egli volle finir la vita cantando alla Vergine, con i meravigliosi versi di Dante XXXIII del Paradiso. Al vecchio «organista» di Busseto, che fu esternamente lontano dalla Chiesa, la Vergine avrà ottenuto (speriamo) il perdono e la visione della Divinità che S. Bernardo implorava per Dante alla fine del suo mistico viaggio.