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CONTINENTE NERO

Il piano per combattere il jihad senza mai nominarlo

Vertice straordinario dell’Ecowas (Stati dell’Africa occidentale): nuovo piano di intervento contro le organizzazioni armate jihadiste. Si intendono affrontare anche i problemi del tribalismo e della criminalità organizzata, in cui gli jihadisti nuotano. Ma il tutto è a spese "della comunità internazionale". E mai si legge la parola "jihad" o "islam".

Esteri 21_09_2019
Il vertice dell'Ecowas

Il 14 settembre si è svolto a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, un vertice straordinario dell’Ecowas, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale. Capi di stato e di governo, ministri degli esteri e della difesa dei 15 stati membri si sono incontrati per parlare del terrorismo islamico che infesta il Sahel, delle iniziative finora intraprese per combatterlo e prevenirlo, di come ridefinire le aree prioritarie di intervento.

Al summit hanno preso parte anche i rappresentanti di altri Stati, tra cui Arabia Saudita, Stati Uniti e Francia, e di diversi organismi regionali e internazionali. L’urgenza dell’incontro era dovuta al fatto che negli ultimi mesi gli attacchi e gli attentati jihadisti sono aumentati, soprattutto nel Mali centrale, su cui il governo non ha mai del tutto ristabilito il controllo dopo la crisi del 2012, e nel nord del Burkina Faso, dove i cristiani per la prima volta temono per la vita, minacciati da gruppi armati che, come Boko Haram in Nigeria, vorrebbero liberare il paese della loro presenza. In realtà l’allarme va oltre il Sahel, deriva non solo dall’intensificarsi delle azioni, ma anche dalla diffusione del jihad: verso Sud e lungo una fascia ininterrotta che attraversa tutto il continente africano, dalle coste dell’Oceano Atlantico a quelle dell’Oceano Indiano, coinvolgendo 21stati.

Al termine del vertice è stato diffuso il testo di un “Piano d’azione prioritario” per il 2020-2024, articolato in otto aree di intervento, che l’Ecowas dovrà adottare nel prossimo summit in programma il 19 dicembre ad Abuja, Nigeria. Al di là delle dichiarazioni scontate  –  ferma condanna della violenza, tenace impegno per la pace, la sicurezza, la stabilità, apprezzamento per il lavoro finora svolto… – il documento evidenzia due fattori di solito poco considerati nella lotta al terrorismo jihadista: il tribalismo e la criminalità organizzata.

Una delle aree di intervento riguarda la promozione del dialogo intercomunitario e la prevenzione dell’estremismo violento. A tal fine gli stati membri dell’Ecowas si impegnano a prevenire e risolvere i “conflitti tradizionali” e ad attuare il Protocollo sulla transumanza, adottato dall’Ecowas per favorire “la transumanza pacifica e, se necessario, risolvere con il dialogo i conflitti tra agricoltori e pastori”. I “conflitti tradizionali” sono quelli tribali. Gli scontri inter e intra tribali a scopo di conquista e di rapina sono un fattore strutturale delle economie di sussistenza africane, accentuato dal tribalismo, forma estrema di pregiudizio razziale. Diventano più frequenti e feroci quando a contendersi un territorio e le sue risorse sono comunità agricole e di pastori. Questo punto del Piano d’azione evidenzia ciò che spesso gli osservatori non africani trascurano o addirittura ignorano: l’importanza del fattore etnico anche quando  la religione sembra essere la causa scatenante di un conflitto. I pastori Fulani/Peul, ad esempio, con le loro immense mandrie, hanno sempre conteso alle tribù agricole pascoli e sorgenti. Il jihadismo ha dato loro una motivazione in più per combattere e, quel che più conta, li ha muniti di armi più letali. Ecco perché oggi sono diventati pericolosi più ancora di Boko Haram che ha un raggio d’azione assai meno ampio.

Il secondo punto rilevante è l’importanza di contrastare le fonti di finanziamento dei terroristi, sesta area di intervento del Piano d’Azione. Agli stati membri si chiede “di intensificare la lotta contro il crimine organizzato transnazionale, in particolare il traffico di droga, tabacco e farmaci contraffatti, al fine di prosciugare le fonti di finanziamento dei gruppi terroristici”. Si deve aggiungere all’elenco il contrabbando di emigranti, di armi, di prodotti naturali e frutto di bracconaggio (legname, zanne di elefante, corni di rinoceronte, materie prime preziose). I jihadisti intrattengono rapporti di collaborazione e scambio con le organizzazioni criminali che prosperano grazie all’inerzia e alla corruzione delle amministrazioni e dei governi africani. Gli al Shabaab in Somalia si finanziano ad esempio anche con il bracconaggio e il traffico di khat, una droga. Il jihad è riuscito a insediarsi nel nord del Mozambico anche perché i terroristi partecipano al locale contrabbando di legname, avorio, eroina e pietre preziose.

A proposito di denaro, il Piano d’azione ha un costo previsto di un miliardo di dollari. Come sempre, agli aspetti finanziari secondo gli Africani ci deve pensare la “comunità internazionale”: che nella regione già finanzia la missione di peacekeeping Minusma, in Mali, dal 2013, che l’Ecowas chiede di potenziare ulteriormente, contribuisce al mantenimento della forza regionale creata nel 2014 da Camerun, Ciad, Niger, Benin e Nigeria per combattere Boko Haram, e della taskforce G5 Sahel, istituita nel 2017, composta da militari di Burkina Faso, Niger, Ciad, Mali e Mauritania. Gli stati membri – in questo consiste l’ottava area di intervento – si impegnano a chiedere fondi e contributi ai partner bilaterali e multilaterali e all’Onu; e a sollecitare il rispetto degli impegni finanziari presi dai paesi del G7 durante l’ultimo summit di Biarritz. Appena il Piano sarà operativo inoltre dovrà essere organizzato un incontro con i partner internazionali per programmare ulteriori finanziamenti. Infine tramite l’Unione Africana l’Ecowas chiederà alla Banca Mondiale e al Fondo monetario internazionale di considerare le spese per la sicurezza come investimenti per lo sviluppo: in altre parole, di finanziarle. 

Non è questa l’unica nota stonata di un Piano apparentemente denso di buone intenzioni. Ce n’è un’altra. Si tratta di una omissione significativa. In tutti i 46 punti del testo non compaiono mai i termini “Islam”, “jihad” e loro derivati.