Il piano di Erdogan per stroncare l'opposizione
La certezza di non poter più sfruttare il voto democratico per rendere perpetua la propria dittatura, ha spinto il presidente turco ad anticipare la corsa alla rielezione, rendendo ancora più feroce la sua campagna contro l'opposizione laica e moderata, condotta in maniera congiunta attraverso il potere giudiziario e il ministero dell'Interno.
Turchia. La doppia sconfitta del partito islamista AKP a Istanbul, ha liberato gli animi dall'oppressione del regime di Erdogan solo per un breve un lasso di tempo. La certezza di non poter più sfruttare il voto democratico per rendere perpetua la propria dittatura, ha infatti spinto il presidente turco ad anticipare la corsa alla rielezione, rendendo ancora più feroce la sua campagna contro l'opposizione laica e moderata, condotta in maniera congiunta attraverso il potere giudiziario e il ministero dell'Interno.
Prima la rimozione di tre sindaci curdi eletti nelle file dell'HDP, con la solita accusa-scusa di legami con il terrorismo del PKK e il conseguente commissariamento delle rispettive municipalità; poi l'arresto della presidente della provincia di Istanbul, Canan Kaftancioglu, esponente del CHP, per qualche post su Twitter critico nei confronti di Erdogan, che le è valsa una condanna a più di 9 anni di carcere per propaganda terroristica e offesa al presidente e alla Repubblica. In realtà, la vera colpa di Kaftancioglu è quella di militare nello stesso partito del neo sindaco d'Istanbul, Ekrem Imamoglu, incubo sia notturno che diurno di Erdogan.
Erdogan teme che la figura d'Imamoglu cresca al punto tale da sconfiggerlo se dovesse candidarsi alle elezioni presidenziali del 2023. Di qui le manovre di accerchiamento cominciate all'indomani del suo insediamento, attraverso l'approvazione da parte del governo di misure che tolgono ai sindaci la facoltà di nominare i vertici delle società legate alle varie municipalità. Le manovre sono proseguite con l'arresto di Kaftancioglu, che per Imamoglu equivale alla perdita di una preziosa alleata per respingere l'offensiva di Erdogan, che farà di tutto pur d'impedirgli di governare la principale città della Turchia.
Imamoglu ha dichiarato di essere pronto a fronteggiare ogni tentativo di "azzopparlo", ma fino a che punto potrà resistere a quella che si preannuncia una guerra di logoramento senza limiti? La minaccia rivoltagli dal Ministro dell'Interno, Suleyman Soylu, per aver criticato la rimozione dei tre sindaci curdi - "Ti devasteremo" -, offre la misura delle reali intenzioni di Erdogan e dei suoi "bravi". Soylu ha poi smorzato i toni, escludendo completamente un commissariamento d'Istanbul e della capitale Ankara, a meno che non vengano rilevati "legami con il terrorismo" da parte dei sindaci e degli alti dirigenti.
Vista la facilità con cui nella Turchia di Erdogan vengono formulate le accuse riconducibili al terrorismo per colpire gli oppositori politici, l'arresto di Kaftancioglu va interpretato come un monito diretto allo stesso Imamoglu. Naturalmente, se e quando arriverà il momento, Erdogan non si farà scrupoli a mettere definitivamente fuori gioco il suo nuovo nemico, facendolo arrestare in virtù di una qualche finzione giudiziaria. Si tratta del metodo già adottato con il leader dell'HDP, Selahattin Demirtas, in detenzione preventiva dal novembre 2006 con vari capi d'accusa, tra cui l'immancabile propaganda terroristica, per i quali potrebbe essere condannato a un totale di 142 anni di carcere insieme ad altri esponenti dell'HDP.
La prigionia di Demirtas è stata voluta da Erdogan, poiché il leader dell'HDP rappresentava una crescente insidia in termini di consensi, la stessa rappresentata oggi da Imamoglu. Pertanto, gli anni che separano la Turchia dalle prossime elezioni presidenziali, previste nel 2023, si prospettano particolarmente cupi, non meno di quelli trascorsi finora dal presunto golpe del luglio 2016, che ha dato il via alle purghe erdoganiane a cui la comunità internazionale continua ad assistere impotente.