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CRISI MPS

Il Pd salva la sua banca e si auto-assolve

Monte dei Paschi di Siena sta fallendo per mala gestione. Il proprietario, di fatto, è l'ex Pci. Il governo salva la banca con fondi pubblici: 20 miliardi di euro del contribuente, pari a un terzo di quel che paghiamo ogni anno per l'intero debito pubblico italiano. E invece di punire la mala gestione, la proposta dell'Associazione Bancaria Italiana è una ... pubblica gogna per i debitori insolventi. E il cerchio si chiude.

Economia 11_01_2017
Gentiloni e Padoan

Può talvolta accadere che un fatto sia così inconcepibile, così incommensurabile da sfuggire all’adeguata percezione della gente. E’ questo senza dubbio il caso del decreto, varato dal governo Gentiloni lo scorso 23 dicembre, antevigilia di Natale, con cui è stato costituito un fondo “salva-risparmio” (nella sostanza “salva-Monte dei Paschi di Siena”) del valore di 20 miliardi di euro. 

È "una giornata importante, di svolta" per il Monte dei Paschi, aveva osservato con insolito pathos il premier Gentiloni. Il decreto, aveva aggiunto, si basava “sull'autorizzazione ricevuta dal Parlamento con ampia maggioranza a costituire un fondo di 20 miliardi per intervenire a tutela del risparmio". E le sue modalità erano state "concordate con le autorità europee". Qualche ora dopo Mps, bontà sua, “ha deliberato la richiesta di sostegno straordinario”. In cambio, si fa per dire, il ministero del Tesoro è divenuto uno dei proprietari dello storico istituto di credito che, fondato nel 1472, è la più antica banca del mondo.

Per farsi un’idea di quale sia la spesa che è stata così allegramente scaricata sulle spalle dei contribuenti basti dire che equivale a quasi un terzo dei  circa 70 miliardi di euro che lo Stato spende ogni anno per l’intero debito pubblico. Ma di chi è il Monte dei Paschi di Siena? L’elemento che accomuna Mps e le altre banche già “salvate”, o prossime al “salvataggio” con i nostri soldi, è il fatto che si tratta di istituti di credito già in vario modo sotto il controllo del Pci, poi del Pd. Il successivo disarticolarsi del Pd ha portato pure a una diaspora di tale controllo, e quindi all’aprirsi di falle che in altri tempi sarebbero state riparate più tempestivamente. La crisi finanziaria internazionale ha poi fatto il resto. Fatto sta che, sia pure mettendoci diversi anni, qualcuno si è mangiato questa cifra finanziandola con la vendita, per lo più a piccoli risparmiatori, di obbligazioni e altri titoli analoghi; e adesso per non lasciare sul lastrico gli incauti proprietari di questi titoli lo Stato interviene a rimborsarli. 

Ciò che colpisce, e che dovrebbe indurre a qualche seria riflessione, non è solo l’assenza di adeguato dibattito politico che sta accompagnando la vicenda, ma anche l’imponente e sfrontato meccanismo di auto-assoluzione che il mondo delle banche sta avviando a copertura di questo gigantesco scandalo. In un mondo come quello bancario, dove tutti sanno tutto di tutti, per decenni nessuno ha mosso un dito per fermare la marcia verso il baratro del Monte e delle altre banche analoghe. Nel momento in cui questa irresponsabilità ci sta costando 20 miliardi di euro, la contropartita dovrebbero almeno essere le dimissioni in blocco di tutta la dirigenza delle banche “salvate” e quindi la sua totale sostituzione. In un caso del genere far conto sulla magistratura e sulle inchieste parlamentari è in fin dei conti una perdita di tempo. Al di là delle responsabilità giudiziarie e delle responsabilità politiche, c’è comunque la responsabilità obiettiva di un’intera dirigenza. Perciò, a prescindere da eventuali colpe civili e penali da accertare a parte, una tale dirigenza va cambiata.

E’ in primo luogo dovere e responsabilità delle banche e dei banchieri prestare il denaro ricevuto in deposito dai risparmiatori a chi sarà in grado di restituirlo con interesse. In tale prospettiva la responsabilità dell’insolvenza grava prima sul prestatore imprudente che sul debitore incapace di restituire il prestito. Ancora una volta invece è accaduto l’inimmaginabile: sullo spunto  del gigantesco “buco” di MpS, senza soffermarsi sulla responsabilità della dirigenza della banca, il presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, Abi, Antonio Patuelli, ha invece lanciato l’idea di rendere pubblica la lista dei primi cento debitori insolventi di un istituto di credito che venga salvato con fondi pubblici. Il presidente dell’ABI ha avanzato la proposta mentre parlava del caso Mps, ma la pensa per tutte le banche salvate con l’intervento statale.

Così, all’ombra di questa gogna mediatica istituzionale, l’incapacità, l’imprudenza se non le complicità dei banchieri svanirebbero nel nulla. Il governo si è precipitato a dare segni di apprezzamento dell’idea: secondo il sottosegretario al ministero dell’economia Pier Paolo Baretta, è “un bel segnale di moralizzazione che va raccolto e approfondito”.  In quelle aree del Pd che più sono vicine a Mps e alle altre banche “salvate” o prossime al “salvataggio” la proposta di Patuelli ha suscitato diffuso entusiasmo. Dal premier Gentiloni al ministro delle riforme Anna Finocchiaro, dalla sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Maria Elena Boschi, ai capogruppo del PD al Senato e alla Camera Luigi Zanda ed Ettore Rosato è un coro generale di consensi. Frattanto, a titolo di foglia di fico, ci si è però preoccupati di dichiarare che non va dimenticata  “la responsabilità dei manager all’interno delle vicende bancarie, che spesso con la loro condotta hanno messo in atto una gestione che ha danneggiato gravemente i risparmiatori”. Nel loro caso tuttavia non c’è fretta, siamo nel campo delle ipotesi. Per il momento si parla solo di “lavorare sulla possibilità di rendere noti anche i nomi dei manager che con la loro amministrazione hanno determinato il fallimento delle loro banche e di sanzionarli”. Buon lavoro.