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BIOETICA

Il passo felpato dell'eutanasia in Italia

Ad oggi l'Italia è punteggiata di centinaia di comuni che si sono dotati di un registro per la raccolta dei testamenti biologici. Non hanno alcun valore giuridico, ma prima o poi ci saranno contenziosi e Roma ci dovrà fare i conti.

Vita e bioetica 24_09_2013
eutanasia

I nemici della verità non vivono di sola omofobia. Ad esempio l’eutanasia rimane ancora nella agenda bioetica di molte forze politiche e associative e la marcia di avvicinamento per legalizzarla non ha conosciuto soste. Dopo Milano e Venezia, anche Parma avrà il proprio registro per la raccolta dei testamenti biologici. La proposta, approvata con un solo voto contrario, è venuta dai Comunisti italiani che hanno trovato una sponda favorevole nel voto senza riserve dei Grillini. In Consiglio il proponente Ettore Manno afferma che la delibera porrà Parma in posizione "di avanguardia nel rispetto sia delle volontà di chi è in queste condizioni [il riferimento è a Eluana Englaro] sia nelle capacità che i Comuni possono mettere in cantiere affinché i problemi della gente siano affrontati e risolti". A margine: la decisione fa il paio con un’altra che è passata senza troppi intoppi: i figli di stranieri nati in Italia con genitori residenti nel nostro Paese riceveranno la cittadinanza onoraria. Uno ius soli a dimensione locale. In questi giorni il comune di Foggia poi sta discutendo se dotarsi anch’esso di un bioregistro. A Trento invece si è mossa addirittura la provincia al fine di istituire una banca dati del cittadino sul fine vita. Ad oggi il nostro italico stivale è punteggiato da una centinaia di comuni che si sono dotati di un registro per la raccolta dei testamenti biologici. 

Da queste colonne più volte abbiamo ricordato che tali registri non solo non hanno alcun valore giuridico, dato che la materia è di esclusiva competenza del Parlamento, ma altresì sono illegittimi perché vietati da un’apposita circolare del 2010 redatta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e firmata anche dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni e dal ministro della Salute, Maurizio Sacconi: “non si rinvengono – appuntava la nota del governo - elementi idonei a ritenere legittime le iniziative volte alla introduzione dei registri per le dichiarazioni anticipate di trattamento”. E così concludeva: “In tale quadro si potrebbe, anzi, ipotizzare, nel caso in cui si intenda dar comunque corso ad iniziative del genere, un uso distorto di risorse umane e finanziarie, con eventuali possibili responsabilità di chi se ne sia fatto promotore”. 

Ma allora perché darsi tanto da fare per avere questi registri? Ce lo spiega Marco Bosi, capogruppo a Parma del Movimento Cinque Stelle: “Riteniamo ragionevole che anche a livello comunale si faccia quanto possibile per superare l'immobilismo centrale sui temi etici". Insomma se si diffonde una pratica amministrativa, seppur illegittima, Roma dovrà prenderne atto e legiferare sul punto. Non solo: l’esistenza di questi registri provocherà prima o poi dei contenziosi giudiziari – il caro nonno ormai defunto aveva o non aveva chiesto con il suo testamento di non essere più curato o alimentato? – e i casi giurisprudenziali, così sperano i filoeutanasici, esigeranno un inquadramento normativo (in realtà già esistente e già efficace). Insomma più che di un testamento biologico pare trattarsi di un testamento ideologico.

Se da un lato le amministrazioni locali si muovono per assicurare a tutti la “dolce morte”, su altro fronte anche i movimenti politici e l’associazionismo fanno la loro parte. Il 13 settembre scorso i Radicali, insieme all’associazione Exit Italia, all’Unione degli atei e agnostici razionalisti e all’Associazione Luca Coscioni hanno depositato in Parlamento le 70mila firme necessarie per proporre una legge di iniziativa popolare che mira a legalizzare l’eutanasia. Dal 27 al 29 settembre inoltre si svolgerà il X Congresso della stessa Associazione Luca Coscioni «per impedire che siano lasciati marcire gli scatoloni con le firme come sempre hanno fatto finora i boss dei partiti», come afferma il segretario dell’Associazione l’avvocato Filomena Gallo.

Anche sul fronte degli ordini professionali spirano venti lugubri. Se la bozza del nuovo codice di deontologia medica dovesse passare l’autonomia del medico potrebbe subire un grave vulnus allorquando si trovasse a curare un paziente incosciente che aveva redatto una dichiarazione anticipata di trattamento (DAT). Infatti l’art. 38 specifica che “Il medico, nel tenerne conto, contestualizza le dichiarazioni anticipate di trattamento sotto il profilo tecnico-professionale non allo scopo di eludere le specifiche volontà del paziente, ma al fine di verificare la sussistenza o meno delle condizioni cliniche e delle valutazioni tecnico-scientifiche che le hanno informate”. Detto in soldoni: tu medico puoi fare tutto quello che vuoi l’importante è che ti attieni alle volontà scritte del paziente che non possono essere eluse in alcun modo.

Inoltre all’art. 39 si legge che il medico, nei casi di assistenza ai malati terminali, deve porre in essere “trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché ritenuti utili e proporzionati alle condizioni cliniche, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento laddove espresse”. E se il medico in scienza e coscienza ritenesse che una serie di trattamenti sono assai utili e proporzionati alla condizioni cliniche del paziente, ma questi nelle DAT li avesse esclusi, come comportarsi? Pare che l’art. 39 imponga al medico di astenersi da tali iniziative. Con passo felpato l’eutanasia sta entrando in casa nostra.