Il paradosso di Trump, difeso solo dai cristiani
Abbandondato dai compagni repubblicani dopo la pubblicazione delle sue sparate ultra-sessiste, Donald Trump è difeso ora solo dagli attivisti e intellettuali cristiani che ha arruolato strada facendo. I cristiani conservatori sperano che la sua vittoria possa difendere i principi non negoziabili.
Adesso solo i cristiani, paradossalmente, sostengono Trump. Dopo l’oramai famoso video “sessista” rubato da un microfono lasciato (per caso?) acceso e diffuso da The Washington Post, il Partito Repubblicano (forse non vedendo l’ora di un assist così) ha praticamente abbandonato il magnate al proprio destino. Ma quello che la stampa - soprattutto nostrana a eccezione lodevole de Il Foglio - non dice è che inamovibile al fianco del candidato presidente è rimasta la Destra cristiana. Non lo hanno abbandonato i protestanti evangelical, né un predicatore di primo piano come Jerry L. Falwell Jr., né il medico prestato alla politica Ben Carson, che ha corso nelle primarie di quest’anno. E non lo hanno abbandonato nemmeno i cattolici, capitanati dal governatore del Kansas Sam Brownback.
Con grande scaltrezza, ma anche compiendo gesti di un’importanza letteralmente straordinaria, nei mesi scorsi Trump ha fatto di tutto per guadagnare il sostegno dei cristiani. Per motivi evidenti che oggi coronano una “carriera” intera, il lato politico debole del tycoon è infatti sempre stato quello conservatore ma anche quello cristiano. Volendo però conquistare a tutti i costi la Casa Bianca, molto probabilmente per mere ragioni di hybris, Trump ha riorganizzato la propria campagna elettorale cercando (supplicando?) il consiglio di quel mondo in cui il suo “problema conservatore” e il suo “problema cristiano” s’intersecano. Ovvero ha offerto ad alcuni tra i migliori leader politico-religiosi cattolici e protestanti (riservando un grande ruolo alla sensibilità pro-life e pro-family) la possibilità di orientarne apertamente le scelte come ben pochi uomini politici non solo statunitensi hanno fatto negli ultimi decenni, assumendo persino impegni legislativi scritti. Ora che Trump parrebbe forse definitivamente travolto dalla bufera, quel mondo lo sostiene come e più di prima. Per quale motivo? Per motivi di potere.
La voluta brutalità dell’espressione serve a comprendere la realtà senza perdersi in moine stucchevolmente corrette. “Potere” significa tante cose brutte e inaccettabili. Secondo il cattolico Lord John Acton (1834-1902) (facilmente definito “liberale” soprattutto da chi lo legge a metà o male) il potere corrompe e quello assoluto corrompe in maniera assoluta. J.R.R. Tolkien ha dato rappresentazione artistica sublime a questa verità incontrovertibile. Ma “potere” significa anche tante altre cose, potenzialmente meno brutte e talora persino belle. Anzitutto la categoria della “possibilità”. Molto probabilmente, Trump (soprattutto se è vero che lo spinge solo l’hybris) non si rende fino in fondo conto di cosa ha fatto, ma i leader cristiani sì. A loro non sfugge che se pure Trump stesse cercando solo di strumentalizzarli elettoralmente, politicamente sono invece loro a usare bene Trump.
Il movimento conservatore americano, che in gran parte è un movimento cristiano (persino talora riconoscibilmente cattolico), ha cominciato a diventare rilevante anche politicamente solo quando un uomo politico diverso dalla media degli altri politici, persino del suo stesso partito, quello Repubblicano, Barry M. Goldwater (1909-1998), intuì (qui si può usare solo la categoria dell’intuizione) che quella galassia in cerca di rappresentanza politica poteva trasformarsi in forza solo se fosse stata la politica a piegarsi su di essa e non il contrario. Goldwater (che pure a occhi conservatori e cristiani non è stato esente da “macchie” politico-culturali anche importanti) fu il primo a farlo, e facendolo ha senza saperlo innescato una conversione politico-culturale (e pure religiosa) del mondo Repubblicano giunta a un primo compimento proprio oggi, una conversione foriera di cose che per un mero partito politico sarebbero di per sé impensabili. Ebbene, Trump non assomiglia a Goldwater nemmeno di striscio e non ne ha neanche lontanamente l’intuito, ma la sua sete di successo e una sua certa debolezza strutturale lo hanno inaspettatamente portato a compiere un gesto analogo: piegarsi alla realtà e non cercare di piegare la realtà a sé.
Chi lo ha capito bene e d’anticipo non è però Trump, ma coloro che egli ha pensato di usare, e questo ci riporta alla questione del “potere”, cioè della “possibilità”. Il mondo cristiano che si è reso disponibile a un Trump apprendista stregone il quale si è a sua volta reso disponibile a qualcosa di più grande di lui vede nelle elezioni dell’8 novembre la possibilità di essere strumento di un grande bene. Non è questione di accarezzare sogni di egemonia, ma di prendere sul serio l’Incarnazione, persino (anche se questo magari non è il linguaggio usato) di operare concretamente (i cattolici) per la regalità sociale di Cristo. Soprattutto perché, l’8 novembre, esclusa la possibilità dell’astensionismo (gli assenti hanno sempre torto) e del voto a candidati terzi (voto sprecato), ai conservatori e ai cristiani americani, pur a ragione non entusiasti di Trump, non sarà data altra scelta. Chi lo dice con lucidità perfetta è don Frank A. Pavone, l’intransigente avvocato del diritto alla vita: «I commenti sboccati, pronunciati più di dieci anni fa e dei quali Trump si è scusato, e che io, come tutti, giudico repellenti, non cambiano in nulla le mie intenzioni di votarlo, di spingere gli altri a fare altrettanto e d’indirizzare la sua campagna. La ragione è semplice: quest’anno l’elezione del presidente non è la scelta tra lui e qualcun altro migliore; è tra lui e qualcun altro peggiore».
Immaginiamoci, infatti, cosa accadrebbe se, sconfessando pronostici e sondaggi, Trump battesse Hillary Clinton. Dovrà formare un governo. Immaginiamoci cosa accadrebbe se l’eco dei suoi impegni elettorali, cristiani anche se tali per opportunismo, dovessero stendere la propria ombra sul gabinetto dei ministri della sua Amministrazione; anzi, se qualcuno dei leader che oggi lo consigliano dovesse domani diventare ministro o sottosegretario. Quei leader lo immaginano. Sarebbe una contro-rivoluzione di cui per primo Trump non si capaciterebbe, di cui poi potrebbe persino rammaricarsi. Ma sarebbe, parlando come Tolkien, un’eucatastrofe. Già oggi, intende dire don Pavone, già oggi che potrebbe subito finire domani è un fatto straordinariamente benedetto che questa storia sia potuto incominciare anche grazie a un impresentabile Trump che assomiglia sempre più all’Amadeus di Miloš Forman.