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LA VISITA A TORINO

Il Papa: «Servono anticorpi contro la cultura dello scarto»

Messaggi forti che papa Francesco lancia dalla sua prima visita a Torino terra della quale, ha sottolineato «sono nipote», ricordando le origini piemontesi. Il primo al mondo del lavoro e dell'economia:«Non aspettate la ripresa, agite coraggio». Poi l’appello all'intera comunità: «Non colpevolizzate i migranti, contro la società che esclude occorrono gli anticorpi donati da Cristo».

Ecclesia 22_06_2015
Papa Francesco in visita a Torino

Il 21 giugno 2015 Papa Francesco ha iniziato la sua visita a Torino e in Piemonte, «terra benedetta», ha ricordato, «di cui io sono nipote». Con accenti talora sorprendenti, il Papa ha proposto un viaggio attraverso l'insegnamento dei santi sociali torinesi, da don Bosco, di cui Francesco è venuto a celebrare il secondo centenario della nascita, al Cottolengo. Ha voluto ricordare anche una loro parola oggi molto scomoda: castità. E, parlando a braccio ai giovani, ha ricordato che i grandi santi sociali sono vissuti a Torino all'epoca del Risorgimento in cui «c'era la massoneria piena, c'erano i mangiapreti, c'erano anche i demoniaci: uno dei momenti più brutti e dei posti più brutti della storia d'Italia». Questo giudizio storico fortissimo si è riferito a un'epoca in cui Dio ha però suscitato a Torino tanti santi.

Cuore spirituale della prima giornata torinese del Papa è stata la venerazione della Sindone che, ha detto all'Angelus, «attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù e, nello stesso tempo, spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguitata». E tutti i santi di Torino sono stato grandi devoti della Sindone. L'insegnamento di questi santi è risuonato già nel primo incontro in Piazzetta Reale con il mondo del lavoro. «Torino», ha ricordato Francesco, «è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari». L’immigrazione, ha ammesso il Papa, «aumenta la competizione», ma «i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre. Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merce!».

Francesco ha ribadito il suo no alla cultura dello scarto, ricordando che a Torino circa un decimo della popolazione vive sotto la soglia della povertà e che agli attuali ritmi demografici la città si avvia verso una “natalità zero”. E tanti cadono vittima di una «idolatria del denaro, che spinge a entrare a tutti i costi nel numero dei pochi che, malgrado la crisi, si arricchiscono, senza curarsi dei tanti che si impoveriscono, a volte fino alla fame». Altri si lasciano tentare dalla corruzione, «tanto diffusa che sembra essere un atteggiamento, un comportamento normale». Il Papa ha offerto come antidoto - lo ha ripetuto nei suoi diversi incontri - il «metodo preventivo» di Don Bosco, che educa cercando di prevenire il peccato prima che si manifesti. Sembra moralismo, ma ha anche ricadute sociali ed economiche. Invece di rimanere fermi ad «aspettare la “ripresa” – “aspettiamo la ripresa…” -» è necessario ritrovare la fiducia - una merce che manca in molte parti del mondo e dell'Italia, ma in una Torino che oggi sembra talora intristita manca forse in modo particolare -, investendo in particolare nella formazione. E investendo sulla famiglia, «questa ricchezza» che è «forza per il futuro». 

Nell'omelia della Messa in Piazza Vittorio, il Papa ha iniziato una meditazione sull'amore, che avrebbe poi continuato con i giovani in serata. Parlando dell'amore di Dio, Francesco ne ha enunciato tre caratteristiche: è fedele, non viene mai meno e «non si arrende neppure di fronte alla nostra infedeltà». «Fa nuove tutte le cose» e chiede anche a noi di rinnovarci, riconoscendo i nostri peccati e spogliandoci delle «vesti logore e vecchie dei rancori e delle inimicizie per indossare la tunica pulita della mansuetudine, della benevolenza, del servizio agli altri, della pace del cuore». Infine, «l’amore di Dio è stabile e sicuro, come gli scogli rocciosi che riparano dalla violenza delle onde». Quando qualcuno non ce la fa più, «il Signore gli va incontro, offre la roccia del suo amore, a cui ognuno può aggrapparsi sicuro di non cadere. Quante volte noi sentiamo di non farcela più! Ma Lui è accanto a noi con la mano tesa e il cuore aperto». Il Papa si è commosso citando una poesia di un «poeta nostro», Nino Costa, che sua nonna gli aveva insegnato in piemontese, sulla «razza nostrana libera e testarda» del Piemonte. Poesia laica, certo, ma anche i santi piemontesi erano «liberi e testardi». Quando «corriamo il rischio di lasciarci paralizzare dalle paure del futuro e cercare sicurezze in cose che passano» ricordiamoci di questi santi, e loro ci ricorderanno che solo Gesù «vince le forze del male e le minacce della disperazione».

La rievocazione dei santi sociali piemontesi è continuata nella visita ai salesiani a Maria Ausiliatrice, poi al Cottolengo. Di don Bosco il Papa ha ricordato tre caratteri: «la fiducia nella divina Provvidenza; la vocazione a essere prete dei giovani, specialmente i più poveri; il servizio leale e operoso alla Chiesa, segnatamente alla persona del Successore di Pietro». San Giovanni Bosco, come ricordano le «Costituzioni Salesiane», «non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano a impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù... Realmente non ebbe a cuore altro che le anime». Insegnò a «evangelizzare educando ed educare evangelizzando». E tutto questo, ha insistito il Papa, attraverso il «metodo preventivo», che non ha affatto perso attualità e che anzi oggi va portato «nelle periferie delle metropoli, nelle aree di pericolo fisico e morale, nei contesti sociali dove mancano tante cose materiali, ma soprattutto manca l’amore, la comprensione, la tenerezza, la speranza». Francesco ha anche voluto ricordare che «Don Bosco è sempre stato docile e fedele alla Chiesa e al Papa, seguendone i suggerimenti e le indicazioni pastorali», una caratteristica che ancora oggi contraddistingue i religiosi veramente efficaci .

Di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, nella visita alla Piccola Casa della Divina Provvidenza da lui fondata, il Pontefice ha ricordato che «accolse persone povere, abbandonate e ammalate che non potevano essere accolte negli ospedali di quel tempo». Le cose non sono completamente cambiate. «L’esclusione dei poveri e la difficoltà per gli indigenti a ricevere l’assistenza e le cure necessarie, è una situazione che purtroppo è presente ancora oggi. Sono stati fatti grandi progressi nella medicina e nell’assistenza sociale, ma si è diffusa anche una cultura dello scarto, come conseguenza di una crisi antropologica che non pone più l’uomo al centro, ma il consumo e gli interessi economici».  Al Cottolengo, e in seguito anche nell'incontro con i giovani, il Papa ha denunciato l'eutanasia e in particolare l'«eutanasia nascosta» che «scarta» tanti anziani e li considera un peso inutile per la società. Ma «questa mentalità non fa bene alla società, ed è nostro compito sviluppare degli “anticorpi” contro questo modo di considerare gli anziani, o le persone con disabilità, quasi fossero vite non più degne di essere vissute. Questo è peccato, è un peccato sociale grave». Il Cottolengo comprese che per reagire a questa situazione, già presente ai suoi tempi, non bastavano umanitarismo e filantropia. «La ragion d’essere di questa Piccola Casa», ha detto Francesco, «non è l’assistenzialismo, o la filantropia, ma il Vangelo: il Vangelo dell’amore di Cristo è la forza che l’ha fatta nascere e che la fa andare avanti».

Nell'incontro con i giovani, dopo avere consegnato loro un discorso scritto con parole che incitano a ritrovare la speranza attraverso la «conversione personale», il Papa ha risposto a braccio alle domande di tre ragazzi. Oltre a ricordare ancora i santi piemontesi, aggiungendo il santo dei giovani, il beato Pier Giorgio Frassati - che insegnava a «vivere, non vivacchiare» - Francesco ha affermato che «è brutto vedere un giovane fermo che vive ma vive come un vegetale». «A me», ha confidato, «danno tanta tristezza al cuore i giovani che vanno in pensione a vent'anni. Sono invecchiati presto».  Invece, «quello che fa che un giovane non vada in pensione è la voglia di amare». L'amore però non è una «telenovela»: «ha due assi sul quale si muove e se un giovane non ha questi due assi, due dimensioni dell'amore non è amore». Prima di tutto, «l'amore è più nelle opere che nelle parole, l'amore è concreto». In secondo luogo, «l'amore ascolta e risponde». È comunicazione. «L'amore non è né sordo né muto».

«Queste due dimensioni», ha aggiunto il Papa, «sono molto utili per capire cosa è l'amore che non è un sentimento romantico del momento né una storia». E portano con sé una conseguenza, «una parola che non piace, una parola impopolare. Anche il Papa alcune volte deve rischiare sulle cose, per dire la verità. L'amore è nelle opere, nel comunicarsi ma l'amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone, e cioè l'amore è casto». «In questo mondo edonista», ha scandito Francesco, «dove soltanto ha pubblicità il piacere, io vi dico: siate casti». «Tutti noi abbiamo passato nella vita momenti nei quali questa virtù è molto difficile, ma è proprio la prova di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l'altro per il proprio piacere, un amore che fa la vita dell'altra persona sacra. Io ti rispetto. Io non voglio usarti... Non è facile: tutti sappiamo le difficoltà per superare questa concezione facilona ed edonista dell'amore. Vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l'amore castamente».

Il Pontefice ha concluso il dialogo con i giovani con alcune considerazioni sociali e politiche sul tema, che gli è consueto, della «terza guerra mondiale a pezzi» che stiamo vivendo, ribadendo anche la consueta condanna del commercio delle armi. Ha ricordato anche come l'avidità e il peccato hanno portato «le grandi potenze di allora» a guardare dall'altra parte di fronte a «quella grande tragedia dell'Armenia: tanti milioni sono morti», poi di fronte alla tragedia della Shoah che le grandi nazioni conoscevano e dove, insieme agli ebrei, sono stati uccisi tanti cristiani e anche «rom e omosessuali»; infine davanti ai «lager in Russia, Stalin» dove «tanti cristiani hanno sofferto, sono stati uccisi» mentre «le grandi potenze si dividevano l'Europa come una torta».  La cultura dello scarto che ha portato ai genocidi oggi si manifesta diversamente, ma c'è ancora. «Si scartano i bambini perché non si fanno o perché si uccidono prima di nascere, si scartano gli anziani perché non servono e si lasciano lì morire». E si scartano i giovani, tenendoli nella disoccupazione e distraendoli con le «bolle di sapone» dell'immoralità, vendendo loro diamanti che si «rivelano pezzi di vetro». Il Papa ha lasciato ai giovani di Torino una consegna: «Non comprare sporcizie che ci dicono che sono diamanti». Vale per tutti.