INIZIO D'ANNO
Il Papa rilancia la sfida educativa
Ai giovani dice: «Solo una solida educazione della coscienza vi rende capaci di lottare sempre e soltanto contando sulla verità e sul bene».
Attualità
02_01_2012
Sia alla recita dell'Angelus, sia nell'omelia della Messa del 1° gennaio, su cui vale la pena meditare particolarmente, Papa Benedetto XVI ha ricordato che «nel primo giorno dell’anno, la liturgia fa risuonare in tutta la Chiesa sparsa nel mondo l’antica benedizione sacerdotale», che consta di tre parti: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26).
«Questa benedizione - ha ricordato il Papa - fu affidata da Dio, tramite Mosè, ad Aronne e ai suoi figli, cioè ai sacerdoti del popolo d’Israele». Si tratta di «un triplice augurio pieno di luce, che promana dalla ripetizione del nome di Dio, il Signore, e dall’immagine del suo volto. In effetti, per essere benedetti bisogna stare alla presenza di Dio, ricevere su di sé il suo Nome e rimanere nel cono di luce che parte dal suo Volto, nello spazio illuminato dal suo sguardo, che diffonde grazia e pace».
Nel Nuovo Testamento, «questa è l’esperienza che hanno fatto anche i pastori di Betlemme»: «l'esperienza di stare alla presenza di Dio, della sua benedizione non nella sala di un maestoso palazzo, al cospetto di un grande sovrano, bensì in una stalla, davanti ad un "bambino adagiato nella mangiatoia" (Lc 2,16)». Eppure «proprio da quel Bambino si irradia una luce nuova, che risplende nel buio della notte, come possiamo vedere in tanti dipinti che raffigurano la Natività di Cristo». Con l'evento di Betlemme la storia cambia radicalmente. È da quel bambino «ormai, che viene la benedizione: dal suo nome - Gesù, che significa "Dio salva" - e dal suo volto umano, in cui Dio, l’Onnipotente Signore del cielo e della terra, ha voluto incarnarsi, nascondere la sua gloria sotto il velo della nostra carne, per rivelarci pienamente la sua bontà (cfr Tt 3,4)».
La prima ad avere ricevuto questa nuova benedizione è stata Maria, «che Dio ha prescelto dal primo istante della sua esistenza per essere la madre del suo Figlio fatto uomo. Lei è la "benedetta fra le donne" (Lc 1,42) – come la saluta santa Elisabetta. Tutta la sua vita è nella luce del Signore, nel raggio d’azione del nome e del volto di Dio incarnato in Gesù, il "frutto benedetto del [suo] grembo". Così ce la presenta il Vangelo di Luca: tutta intenta a custodire e meditare nel suo cuore ogni cosa riguardante il suo figlio Gesù (cfr Lc 2,19.51)». Per questo la Chiesa inizia l'anno con una liturgia e una festa dedicate a Maria, Madre di Dio.
Questo «mistero della sua divina maternità, che oggi celebriamo, contiene in misura sovrabbondante quel dono di grazia che ogni maternità umana porta con sé, tanto che la fecondità del grembo è sempre stata associata alla benedizione di Dio. La Madre di Dio è la prima benedetta ed è Colei che porta la benedizione; è la donna che ha accolto Gesù in sé e lo ha dato alla luce per tutta la famiglia umana. Come prega la Liturgia: "sempre intatta nella sua gloria verginale, ha irradiato sul mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore" (Prefazio della B.V. Maria I)».
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha voluto sottolineare in modo specialissimo il rapporto fra Maria e la Chiesa, e la liturgia ce lo ricorda. «Maria è madre e modello della Chiesa, che accoglie nella fede la divina Parola e si offre a Dio come "terra buona" in cui Egli può continuare a compiere il suo mistero di salvezza». Come Maria, «anche la Chiesa partecipa al mistero della divina maternità, mediante la predicazione, che sparge nel mondo il seme del Vangelo, e mediante i Sacramenti, che comunicano agli uomini la grazia e la vita divina. In particolare nel sacramento del Battesimo la Chiesa vive questa maternità, quando genera i figli di Dio dall’acqua e dallo Spirito Santo, il quale in ciascuno di essi grida: "Abbà! Padre!" (Gal 4,6)». Ancora, «come Maria, la Chiesa è mediatrice della benedizione di Dio per il mondo: la riceve accogliendo Gesù e la trasmette portando Gesù. È Lui la misericordia e la pace che il mondo da sé non può darsi e di cui ha bisogno sempre, come e più del pane».
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha voluto sottolineare in modo specialissimo il rapporto fra Maria e la Chiesa, e la liturgia ce lo ricorda. «Maria è madre e modello della Chiesa, che accoglie nella fede la divina Parola e si offre a Dio come "terra buona" in cui Egli può continuare a compiere il suo mistero di salvezza». Come Maria, «anche la Chiesa partecipa al mistero della divina maternità, mediante la predicazione, che sparge nel mondo il seme del Vangelo, e mediante i Sacramenti, che comunicano agli uomini la grazia e la vita divina. In particolare nel sacramento del Battesimo la Chiesa vive questa maternità, quando genera i figli di Dio dall’acqua e dallo Spirito Santo, il quale in ciascuno di essi grida: "Abbà! Padre!" (Gal 4,6)». Ancora, «come Maria, la Chiesa è mediatrice della benedizione di Dio per il mondo: la riceve accogliendo Gesù e la trasmette portando Gesù. È Lui la misericordia e la pace che il mondo da sé non può darsi e di cui ha bisogno sempre, come e più del pane».
Il 1° gennaio è la Giornata Mondiale della Pace, ma sarebbe sbagliato - ha detto il Papa - separare questo tema da quello delle benedizioni che la liturgia ci ricorda. In realtà, «la pace, nel suo senso più pieno e più alto, è la somma e la sintesi di tutte le benedizioni. Per questo quando due persone amiche si incontrano si salutano augurandosi vicendevolmente la pace». Se dunque «anche la Chiesa, nel primo giorno dell’anno, invoca in modo speciale questo bene sommo» della pace, non lo fa come se si trattasse di un mero pacifismo umano: «lo fa, come la Vergine Maria, mostrando a tutti Gesù, perché, come afferma l’apostolo Paolo, "Egli è la nostra pace" (Ef 2,14), e al tempo stesso è la "via" attraverso la quale gli uomini e i popoli possono raggiungere questa meta, a cui tutti aspiriamo».
È questa la sintesi, insiste il Pontefice, del suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2012, che già abbiamo a suo tempo presentato su La Bussola Quotidiana. Il suo titolo, «"Educare i giovani alla giustizia e alla pace" [indica un ] compito che riguarda ogni generazione, e, grazie a Dio, la famiglia umana, dopo le tragedie delle due grandi guerre mondiali, ha mostrato di esserne sempre più consapevole, come attestano, da una parte, dichiarazioni e iniziative internazionali e, dall’altra, l’affermarsi tra i giovani stessi, negli ultimi decenni, di tante e diverse forme di impegno sociale in questo campo». Ma il Papa insiste sempre - si potrebbe dire, senza tema di ripetersi - che per i cattolici non si tratta di una educazione civica o umanitaria meramente umana. No: per i cattolici «educare alla pace rientra nella missione ricevuta da Cristo, fa parte integrante dell’evangelizzazione, perché il Vangelo di Cristo è anche il Vangelo della giustizia e della pace».
La scelta per il Messaggio di quest'anno del tema dell'educazione non è casuale. Infatti, «la Chiesa, negli ultimi tempi, si è fatta interprete di una esigenza che coinvolge tutte le coscienze più sensibili e responsabili per le sorti dell’umanità: l’esigenza di rispondere ad una sfida decisiva che è appunto quella educativa». Perché - si chiede il Pontefice - la chiamiamo «sfida»? «Almeno per due motivi: in primo luogo, perché nell’era attuale, fortemente caratterizzata dalla mentalità tecnologica, voler educare e non solo istruire non è scontato, ma è una scelta; in secondo luogo, perché la cultura relativista pone una questione radicale: ha ancora senso educare?, e poi educare a che cosa?».
Anche fra i temi dell'educazione e delle benedizioni c'è un nesso. Il Papa vuole «sottolineare che, di fronte alle ombre che oggi oscurano l’orizzonte del mondo, assumersi la responsabilità di educare i giovani alla conoscenza della verità, ai valori fondamentali dell’esistenza, alle virtù intellettuali, teologali e morali, significa guardare al futuro con speranza». I giovani sono «per loro natura» aperti alla verità e alla giustizia, ma «la realtà sociale in cui crescono può portarli a pensare e ad agire in modo opposto, persino intollerante e violento».
Anche fra i temi dell'educazione e delle benedizioni c'è un nesso. Il Papa vuole «sottolineare che, di fronte alle ombre che oggi oscurano l’orizzonte del mondo, assumersi la responsabilità di educare i giovani alla conoscenza della verità, ai valori fondamentali dell’esistenza, alle virtù intellettuali, teologali e morali, significa guardare al futuro con speranza». I giovani sono «per loro natura» aperti alla verità e alla giustizia, ma «la realtà sociale in cui crescono può portarli a pensare e ad agire in modo opposto, persino intollerante e violento».
Che fare? «Solo una solida educazione della loro coscienza può metterli al riparo da questi rischi e renderli capaci di lottare sempre e soltanto contando sulla forza della verità e del bene». Come afferma anche il Messaggio, «questa educazione parte dalla famiglia e si sviluppa nella scuola e nelle altre esperienze formative. Si tratta essenzialmente di aiutare i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, a sviluppare una personalità che unisca un profondo senso della giustizia con il rispetto dell’altro, con la capacità di affrontare i conflitti senza prepotenza, con la forza interiore di testimoniare il bene anche quando costa sacrificio, con il perdono e la riconciliazione».
Nella risposta all'emergenza educativa, «una responsabilità particolare spetta anche alle comunità religiose. Ogni itinerario di autentica formazione religiosa accompagna la persona, fin dalla più tenera età, a conoscere Dio, ad amarlo e a fare la sua volontà. Dio è amore, è giusto e pacifico, e chi vuole onorarlo deve anzitutto comportarsi come un figlio che segue l’esempio del padre».
Nella risposta all'emergenza educativa, «una responsabilità particolare spetta anche alle comunità religiose. Ogni itinerario di autentica formazione religiosa accompagna la persona, fin dalla più tenera età, a conoscere Dio, ad amarlo e a fare la sua volontà. Dio è amore, è giusto e pacifico, e chi vuole onorarlo deve anzitutto comportarsi come un figlio che segue l’esempio del padre».