Il Papa: "Perseverare anche se ci respingono"
Ultimo giorno di Papa Francesco in Ecuador. Lascia un messaggio, dal santuario di El Quinche, dove la Madonna apparve ripetutamente agli indios che non le credevano. Una perseveranza, quella della Vergine, che diventa icona della necessità di perseverare nell'evangelizzazione, anche quando il mondo ci respinge.
L’8 luglio 2015 Papa Francesco ha concluso la sua visita pastorale in Ecuador ed è partito per la Bolivia, dove arriva nella notte italiana. Dopo la commovente visita alla casa di riposo delle Suore di Santa Teresa di Calcutta, il Papa si è recato al santuario mariano di El Quinche, dove ha consegnato un discorso preparato al clero e ai religiosi e a braccio li ha esortati a non dimenticare la fede semplice della loro infanzia e di quegli indigeni cui la Madonna apparve in Ecuador nel XVI secolo. La descrizione di una società che respinge l’evangelizzazione – ma di fronte alla quale occorre perseverare – ha richiamato anche i due discorsi tenuti nella serata del 7 luglio ai laici in tema di dottrina sociale.
«Non perdiamo la memoria di quello che abbiamo avuto, di quello che eravamo, dei luoghi da dove proveniamo», ha detto il Papa ai sacerdoti e religiosi. «Non sentitevi superiori alla fede che avete ricevuto dalla vostra mamma e dal vostro papà». Il testo del discorso rievoca l’episodio da cui nasce il santuario di El Quinche. «Alcune relazioni delle apparizioni della Vergine del Quinche ci dicono che una “signora con un bambino in braccio” visitò per alcuni pomeriggi di seguito gli indigeni di Oyacachi quando questi cercavano rifugio dagli assalti degli orsi. Varie volte Maria andò incontro ai suoi figli; loro non le credevano, dubitavano di questa signora, però restarono ammirati dalla sua perseveranza nel ritornare ogni pomeriggio al calar del sole».
La perseveranza di Maria oggi diventa icona della necessità di perseverare nell’evangelizzazione anche quando il mondo ci respinge. «Perseverare, anche se ci respingono, anche se viene la notte e crescono lo smarrimento e i pericoli. Perseverare in questo sforzo, sapendo che non siamo soli, che è il Popolo Santo di Dio che cammina».
Il Pontefice ha ricordato anche l’artista che realizzò l’immagine di El Quinche. «Diego de Robles realizzò l’immagine su incarico degli indigeni Lumbicí. Diego non lo faceva per devozione, lo faceva per un beneficio economico. Dato che non poterono pagarlo, la portò a Oyacachi e la barattò per delle tavole di cedro. Diego inoltre non accolse la richiesta di quella gente di fare anche un altare all’immagine, finché, cadendo da cavallo, si trovò in pericolo e sentì la protezione della Vergine. Ritornò al villaggio e fece il piedistallo dell’immagine». La conversione dell’artista ci parla ancora oggi. Infatti, «ciascuno di noi ha fatto l’esperienza di un Dio che ci viene incontro all’incrocio, che nella nostra condizione di persone cadute, abbattute, ci chiama. Che la vanagloria e la mondanità non ci facciano dimenticare da dove Dio ci ha riscattati!, Che Maria del Quinche ci faccia scendere dalle nostre ambizioni, dai nostri interessi egoistici, dalle eccessive attenzioni verso noi stessi!». Se vogliamo davvero evangelizzare – ha ripetuto il Papa ai sacerdoti – dobbiamo mettere da parte il carrierismo e la mondanità spirituale, e «accogliere la missione senza porre condizioni».
Nella serata del 7 luglio - di notte in Italia - Francesco aveva incontrato docenti e studenti presso la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador, e gli esponenti della società civile nella chiesa di San Francisco, tenendo due densi discorsi sulla dottrina sociale della Chiesa.
Ai professori, il Papa ha ricordato che «Gesù, il Maestro, insegnava alla folla e al piccolo gruppo dei discepoli, adeguandosi alla loro capacità di comprensione. Lo faceva con parabole, come quella del seminatore. In modo che tutti potessero capire. Gesù non cercava di ‘sdottorare’. Al contrario, vuole arrivare al cuore dell’uomo, al suo ingegno, alla sua vita, affinché questa dia frutto». Agli studenti, Francesco ricorda che non si deve considerare «il diploma universitario come un sinonimo di status più elevato, sinonimo di soldi o di prestigio sociale. Non sono sinonimi». La laurea dovrebbe essere piuttosto intesa «come un segno di maggiore responsabilità per i problemi di oggi».
A tutti, professori e studenti, il Pontefice ha proposto la sua enciclica Laudato si', fornendo anche alcuni spunti d'interpretazione. «Già dalla Genesi ha spiegato Francesco - Dio sussurra all’uomo questo invito: coltivare e custodire. Non gli dà solamente la vita, gli dà la terra, il creato. Non gli dà solamente una compagna e infinite possibilità. Gli fa anche un invito, gli dà una missione. Lo invita a far parte della sua opera creatrice e gli dice: coltiva! Ti affido le sementi, la terra, l’acqua, il sole, ti do le tue mani e quelle dei tuoi fratelli. Ecco, è anche tuo. È un regalo, è un dono, è un’offerta. Non è qualcosa di acquistato, non è qualcosa di comprato. Ci precede e ci succederà. È un dono dato da Dio affinché con Lui possiamo farlo nostro».
Questa è la chiave di lettura dell'enciclica: «Dio non vuole un creato per sé, per guardare se stesso. Tutto al contrario. Il creato è un dono che dev’essere condiviso. E’ lo spazio che Dio ci dà per costruire con noi, per costruire un ‘noi’. Il mondo, la storia, il tempo, è il luogo dove andiamo a costruire il noi con Dio, il noi con gli altri, il noi con la terra». Nel Libro della Genesi Dio, subito dopo la parola «coltivare», «immediatamente ne dice un’altra: ‘custodire’, avere cura. Una si comprende a partire dall’altra. Una mano va verso l’altra. Non coltiva chi non ha cura e non ha cura chi non coltiva. Non solo siamo invitati ad essere parte dell’opera creatrice coltivandola, facendola crescere, sviluppandola, ma siamo anche invitati ad averne cura, a proteggerla, custodirla».
Oggi «custodire» significa lottare contro il degrado. «L'ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale». E tuttavia, «così come diciamo ‘si degradano’, allo stesso modo possiamo dire ‘si sostengono e si possono trasfigurare’. È una relazione che custodisce una possibilità, tanto di apertura, di trasformazione, di vita, quanto di distruzione e di morte». E qui il Papa ha ricordato l'altro elemento chiave dell'enciclica, la denuncia della tecnocrazia e della «globalizzazione del paradigma tecnocratico che tende a credere che ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori, come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia».
Agli esponenti della società civile Papa Francesco ha parlato delle relazioni fra la famiglia e la concordia politica. «La nostra società - ha detto - vince quando ogni persona, ogni gruppo sociale, si sente veramente a casa. In una famiglia, i genitori, i nonni, i bambini sono di casa; nessuno è escluso. Se uno ha una difficoltà, anche grave, anche quando ‘se l’è cercata’, gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono»: «non dovrebbe essere così anche nella società?». «Se potessimo vedere l'avversario politico, il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli o i mariti, i padri o le madri», se sapessimo davvero riconoscere «la famiglia come cellula della società» e anche come suo modello, allora sapremmo portare anche nella politica «i valori fondamentali dell’amore, della fraternità e del reciproco rispetto, che si traducono in valori sociali essenziali: la gratuità, la solidarietà e la sussidiarietà».
Francesco si è soffermato su questi tre valori civici fondamentali. Gratuità significa che «quello che siamo e abbiamo ci è stato donato per metterlo al servizio degli altri». Così, riconoscendo che la proprietà privata è un diritto su cui però grava un'ipoteca sociale, «si supera il concetto economico di giustizia, basato sul principio di compravendita, con il concetto di giustizia sociale, che difende il diritto fondamentale dell’individuo a una vita degna». Tornando anche in questo incontro all'enciclica Laudato sì, Francesco ha fatto cenno all'Amazzonia ecuadoriana, una delle zone al mondo «più ricche di varietà di specie, di specie endemiche, poco frequenti o con minor grado di protezione efficace. Ci sono luoghi che richiedono una cura particolare a motivo della loro enorme importanza per l’ecosistema mondiale» e «l’Ecuador – insieme ad altri Paesi della frangia amazzonica – ha l'opportunità di praticare la pedagogia di una ecologia integrale. Noi abbiamo ricevuto in eredità dai nostri genitori il mondo, ma anche in prestito dalle generazioni future alle quali lo dobbiamo consegnare».
Quanto al secondo valore, la solidarietà, anche in Ecuador «l'immigrazione, la concentrazione urbana, il consumismo, la crisi della famiglia, la disoccupazione, le sacche di povertà producono incertezze e tensioni che costituiscono una minaccia per la convivenza sociale». La soluzione non può essere la «repressione, il controllo illimitato e la sottrazione di libertà», ma «una crescita economica che arrivi a tutti, e non rimanga nelle statistiche macroeconomiche».
Terzo valore: la sussidiarietà. Questo principio cardine della dottrina sociale della Chiesa implica l'autonomia di ciascuna formazione sociale nella sua sfera reciproca. Parlando nell'antica chiesa di San Francisco, il Papa ha fatto notare che «le pareti, i cortili e i chiostri di questo luogo lo dicono con maggiore eloquenza: appoggiato su elementi della cultura Inca e Caranqui, la bellezza delle loro forme e proporzioni, l’audacia dei loro stili diversi combinati in maniera mirabile, le opere d'arte che vengono chiamate ‘scuola di Quito’, riassumono un ampio dialogo, con successi ed errori, della storia ecuadoriana. L’oggi è pieno di bellezza, e se è vero che in passato ci sono stati sbagli e soprusi - come negarlo? - possiamo dire che l’amalgama irradia tanta esuberanza che ci permette di guardare al futuro con grande speranza».