Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Callisto I a cura di Ermes Dovico
RIENTRATO DAGLI EMIRATI

Il Papa: «La Dichiarazione con l'islam applica il Concilio»

135mila persone hanno partecipato ieri mattina alla prima messa mai celebrata in luogo pubblico negli Emirati Arabi, un segnale importante di incoraggiamento per i cristiani di tutta la regione. E nella tradizionale conferenza stampa sull'aereo di ritorno a Roma sottolinea l'importanza del documento comune firmato con il Grande imam di Al-Azhar.

Ecclesia 06_02_2019
Papa Francesco nello stadio dove ha celebrato la messa
La Visita Apostolica negli Emirati Arabi Uniti è riuscita a conquistare l'attenzione dei principali media mondiali che le hanno dato ampio spazio, inserendola ai primi posti della scaletta gerarchica delle notizie da dare. In particolare, le immagini della prima Messa pubblica celebrata nella penisola arabica hanno fatto il giro del pianeta, accompagnate da didascalie entusiastiche che parlano di "evento storico". 
 
Ieri mattina, 135mila persone hanno partecipato alla liturgia celebrata nello stadio "Zayed Sports City" della capitale. Una marea umana, ordinata, intenta a sventolare la bandierine giallobianche del Vaticano ha salutato l'ingresso di Francesco nel centro sportivo. Il papa ha potuto vedere con i propri occhi la vitalità di una comunità abituata ad essere minoranza e forse proprio per questo determinata più che mai a professare la propria fede. La presenza del Successore di Pietro in questa terra, che presenta ampi margini di libertà di culto rispetto ai Paesi vicini ma dove le campane non possono suonare, le croci non possono essere esposte e le chiese devono essere obbligatoriamente più piccole dei minareti, ha rappresentato un momento di grande orgoglio per i cristiani e l'elevata partecipazione alla cerimonia dello "Zayed Sports City" ne è stata la dimostrazione più eclatante.

E nella sua omelia il papa ha voluto omaggiare la prova offerta quotidianamente da questa comunità formata da fratelli di nazionalità diverse e che con la loro stessa esistenza testimoniano l'universalità della Chiesa: "Si dice - ha detto Francesco - che tra il Vangelo scritto e quello vissuto ci sia la stessa differenza che esiste tra la musica scritta e quella suonata. Voi qui conoscete la melodia del Vangelo e vivete l’entusiasmo del suo ritmo. Siete un coro che comprende una varietà di nazioni, lingue e riti; una diversità che lo Spirito Santo ama e vuole sempre più armonizzare, per farne una sinfonia". "Questa gioiosa polifonia della fede - ha concluso - è una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa". 
 
Ma le parole dell'omelia, seppur dirette ai presenti nello stadio di Abu Dhabi, sembravano indirizzarsi anche a quei milioni di cristiani che vivono la propria fede in clandestinità negli altri Stati della penisola arabica o che per essa sono costretti a subire persecuzioni e discriminazioni in tutto il Medio Oriente. E Francesco ha ricordato come siano proprio costoro a fare l'esperienza piena dell'amore di Dio: all'opposto del pensiero mondano, "per Gesù - ha detto il Pontefice - beati sono i poveri, i miti, quanti restano giusti anche a costo di fare brutta figura, i perseguitati". Per capire chi ha ragione tra Lui ed il mondo, Bergoglio ha esortato a guardare come ha vissuto Gesù: "povero di cose e ricco di amore, ha risanato tante vite, ma non ha risparmiato la Sua. È venuto per servire e non per essere servito; ci ha insegnato che non è grande chi ha, ma chi dà. Giusto e mite, non ha opposto resistenza e si è lasciato condannare ingiustamente. In questo modo Gesù ha portato nel mondo l’amore di Dio. Solo così ha sconfitto la morte, il peccato, la paura e la mondanità stessa: con la sola forza dell’amore divino". 
 
Prima della Messa, il papa aveva potuto visitare una delle due chiese di Abu Dhabi, la cattedrale di S. Joseph, dove lo attendevano 300 fedeli. Si può immaginare l'emozione e la commozione di questi cattolici che vivono la loro fede a quasi 5000 km da Roma in un Paese in cui, nonostante la relativa libertà di culto riconosciuta, l'islam è la religione ufficiale. Ad Abu Dhabi i cattolici superano le 100 mila unità e sono di lingua, nazionalità e riti diversi ma si trovano obbligati a condividere la frequentazione della stessa chiesa, quella di St. Joseph che venne inaugurata nel 1965. Solo nel 2015 è stato consacrato un secondo edificio, costruito su un terreno donato dalla famiglia reale, ma che si trova nella zona industriale della capitale. 
 
Gli Emirati Arabi Uniti, pur essendo un luogo in cui ci si può professare cristiani con relativa tranquillità, non vanno considerati ancora un'oasi di convivenza religiosa. Tuttavia, sarebbe ingiusto ridimensionare gli sforzi compiuti nella giusta direzione dalle autorità emiratine o relegare la Visita Apostolica alla stregua di uno spot per lucidare l'immagine del Paese agli occhi del mondo occidentale. In questo senso, Francesco ha dimostrato coraggio nel denunciare "la crisi umanitaria nello Yemen", causata da una guerra civile in cui gli Emirati Arabi Uniti sono parte in causa in quanto principale "sponsor" delle milizie lealiste, proprio nell'Angelus pronunciato poco prima della partenza.

E il papa non ha rinunciato ad un accenno alla situazione yemenita neppure durante il discorso fatto al Founder's Memorial, togliendo argomentazioni a chi aveva criticato l'opportunità del viaggio. Molto più di qualunque paventata strumentalizzazione per ragioni di politica internazionale da parte emiratina, della prima Visita Apostolica in penisola arabica resterà soprattutto la carica di speranza ed incoraggiamento che essa ha rappresentato per la comunità cristiana locale e dei Paesi vicini.
 
Nella tradizionale conferenza stampa sul volo di ritorno per Roma, Francesco ha rivelato di aver visto una nazione con la "vocazione per la pace", ma non ha taciuto sui "problemi di alcune guerre nella zona", tornando a citare il caso dello Yemen. Il papa ha poi difeso dalle critiche "interne" il documento sulla fratellanza umana firmato con il grande imam di Al-Azhar, rivendicandone la sua collocazione "nello spirito del Vaticano II". Su questo punto, il Pontefice ha ammesso di comprendere chi nutre delle perplessità, ma ha anche spiegato: "Se qualcuno si sente male, lo capisco, non è una cosa di tutti i giorni, e non è un passo indietro. È un passo avanti che viene da 60 anni, il Concilio che deve svilupparsi. Gli storici dicono che perché un concilio abbia conseguenze nella Chiesa ci vogliono 100 anni, siamo a metà del cammino".

Il Papa ha poi detto che ha avuto anche lui dei dubbi su alcuni passaggi: "Ho letto una frase del documento che mi ha sorpreso e mi sono detto; non so se è sicura. Invece era una frase del Concilio". Bergoglio ha poi riconosciuto che l'accettazione della dichiarazione nel mondo islamico non sarà facile: "Ci saranno discrepanze tra loro - ha detto - ma è un processo, i processi devono maturare, come i fiori".  Alla domanda di un giornalista sul perché non avesse fatto espressamente cenno alla cristianofobia nel discorso del Founder's Memorial, il papa ha replicato di averne parlato frequentemente ed ha riportato il racconto fattogli da un padre di famiglia musulmano a Lesbo che aveva visto davanti i suoi occhi i terroristi dell'Isis sgozzare sua moglie cristiana per aver rifiutato di abiurare.

Interrogato su questioni di stretta attualità quali la crisi venezuelana e il problema degli abusi di cui sono vittime le donne consacrate, Francesco ha ammesso di non aver ancora letto la lettera indirizzatagli da Maduro ma si è detto disposto ad una mediazione ma a condizione che "lo chiedano ambedue le parti". Ed ha fatto riferimento al precedente di San Giovanni Paolo II che tra la fine degli anni Settanta e la metà degli Ottanta riuscì ad evitare lo scoppio del conflitto tra Cile e Argentina sulla sovranità del Canale di Beagle. Sul tema degli abusi sulle suore per opera di membri del clero, il papa ha ammesso che "ci sono stati sacerdoti e anche vescovi che hanno fatto quello", affermando anche di credere che è un fenomeno ancora presente perché "non è che dal momento in cui tu te ne accorgi, finisce".

Il Pontefice ha voluto, poi, riconoscere la grande opera del suo Predecessore anche nel contrasto di queste pratiche all'interno della Chiesa: "Papa Benedetto ha avuto il coraggio di sciogliere una congregazione femminile che aveva un certo livello, perché c’era entrata questa schiavitù, persino sessuale, da parte dei chierici o da parte del fondatore". Bergoglio ha voluto sottolineare,infine,  che "Benedetto XVI ha avuto il coraggio di fare tante cose su questo tema" e che, nonostante "il folklore" lo presenti come "debole", in realtà "di debole non ha niente. È un uomo buono, un pezzo di pane è più cattivo di lui, ma è un uomo forte".