Il Papa: i cristiani non restino indifferenti a chi soffre
Papa Francesco ha reso noto il suo messaggio per la Quaresima 2015, dedicato al tema - già presente in numerosi discorsi del Pontefice - della «globalizzazione dell'indifferenza». Il Papa ritiene che questo sia oggi uno dei più gravi problemi per la Chiesa universale, per le parrocchie e comunità e anche per i singoli fedeli.
Il 27 gennaio 2015 è stato presentato il messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2015, dedicato al tema - già presente in numerosi discorsi del Pontefice - della «globalizzazione dell'indifferenza». Il Papa ritiene che questo sia oggi uno dei più gravi problemi per la Chiesa universale, per le parrocchie e comunità e anche per i singoli fedeli. Lo stile di vita che conduciamo ci impedisce di commuoverci per la sofferenza dei fratelli, che si tratti dei cristiani perseguitati nel mondo, dei malati o dei poveri. Preferiamo non vedere e continuare la nostra vita tranquilla. Questa indifferenza che si globalizza sta diventando un tratto decisivo, e negativo, della nostra epoca.
«Succede», scrive Francesco, «che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene». Questa «attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza», «una delle sfide più urgenti» per la società e per la Chiesa. Anche quando la Chiesa parla, «il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita».
Il messaggio non si rivolge però al mondo, ma alla Chiesa, mostrando come la globalizzazione dell'indifferenza rischia di penetrare anche tra i cristiani, a tre livelli. Il primo è quello della Chiesa nel suo insieme. San Paolo insegna che nella Chiesa «se un membro soffre, tutte le membra soffrono» (1 Cor 12,26). «La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza». Tuttavia, «si può testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato». In realtà, sperimentiamo il prendersi cura dei nostro fratelli ogni volta che «riceviamo il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro».
Nella pratica, però, dobbiamo constatare con tristezza quanto spesso i cristiani non avvertano le sofferenze di altri cristiani nel mondo come loro, e talora tendano a reagire alle notizie che parlano di sofferenza e persecuzione con indifferenza se non con fastidio. Una reazione comune è quella di giustificarci dicendo che tanto possiamo fare ben poco. Ma dobbiamo convincerci che, come minimo, «poiché siamo legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza». Il secondo livello riguarda le parrocchie, le comunità, i movimenti. «Quanto detto per la Chiesa universale è necessario tradurlo nella vita delle parrocchie e comunità. Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli?». Qualche volta «ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa».
Un potente antidoto a questa indifferenza verso i vicini - spesso mascherata da una compassione sterile per i lontani - è la preghiera fatta in consapevole unione con la «Chiesa del cielo». «Quando la Chiesa terrena prega, si instaura una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio. Con i santi che hanno trovato la loro pienezza in Dio, formiamo parte di quella comunione nella quale l’indifferenza è vinta dall’amore. La Chiesa del cielo non è trionfante perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola. Piuttosto, i santi possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio». Nella preghiera i santi del cielo «camminano con noi». «Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, scriveva convinta che la gioia nel cielo per la vittoria dell’amore crocifisso non è piena finché anche un solo uomo sulla terra soffre e geme: "Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime"».
Animata dalla comunione con i santi del cielo, ogni comunità potrà, senza dimenticare che la sua prima missione è verso i vicini, verso i suoi membri in difficoltà, uscire in missione e portare fuori di sé la buona novella dell'amore di Dio. «La missione è ciò che l’amore non può tacere». Le comunità cristiane potranno così diventare «delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza». Il terzo livello è quello di ogni singolo fedele. «Anche come singoli abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo tutta la nostra incapacità a intervenire». Dunque, «che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza?». Vale anche per i singoli: «in primo luogo, possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste». Il Papa ricorda l'iniziativa di preghiera «24 ore per il Signore», fissata per i giorni 13 e 14 marzo. In secondo luogo, «possiamo aiutare con gesti di carità, raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità».
Ma soprattutto, in terzo luogo, «la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli».
Infine, papa Francesco raccomanda la devozione al Sacro Cuore, ricordando come essa fu già rilanciata da Benedetto XVI. «"Fac cor nostrum secundum cor tuum": "Rendi il nostro cuore simile al tuo" (Supplica dalle Litanie al Sacro Cuore di Gesù). Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza».