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ECUMENISMO

Il Papa e Kirill La prima volta nella storia

Papa Francesco incontrerà il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill a Cuba il 12 febbraio. Lo annunciano congiuntamente la Santa Sede e Patriarcato di Mosca, definendolo uno «storico incontro» e «preparato da lungo tempo». I due si incontreranno all'aeroporto di Cuba, dopo dove il Pontefice farà scalo prima del suo viaggio in Messico e dove il Patriarca sarà in visita ufficiale. Rilasceranno anche una dichiarazione comune. 

Ecclesia 06_02_2016
Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill

Il 5 febbraio 2016 la Santa Sede ha annunciato che, per la prima volta nella storia, il 12 febbraio un Pontefice incontrerà un Patriarca di Mosca. Papa Francesco incontrerà il Patriarca Kirill a Cuba. Al termine del colloquio ai due si unirà il presidente cubano Raul Castro. La Santa Sede ha pure annunciato che è prevista la firma di una dichiarazione comune e che «il patriarca ecumenico Bartolomeo I, informato del prossimo incontro tra il Papa e il patriarca di Mosca Kirill, ha manifestato la sua soddisfazione e gioia per questo abbraccio tra il capo della Chiesa cattolica e quello della comunità ortodossa più numerosa del mondo». 

L'annuncio dell'incontro segue di pochi giorni l'altro secondo cui il Concilio Panortodosso, cioè la riunione di tutti i patriarchi delle Chiese Ortodosse, atteso da mille anni, si terrà effettivamente nel prossimo mese di giugno, non a Istanbul, dov'era stato originariamente previsto, ma a Creta. La sede di Istanbul era, infatti, diventata sgradita alla Chiesa Ortodossa Russa a causa delle tensioni politiche fra Russia e Turchia. I due avvenimenti - l'incontro fra Francesco e Kirill e il Concilio panortodosso - hanno entrambi una portata storica. Sembra che processi in corso da decenni, se non da secoli, abbiano subito un'improvvisa accelerazione. In realtà, come ha rivelato in diverse interviste e colloqui, Francesco pensa a un'accelerazione dell'ecumenismo verso gli ortodossi fin dai primi minuti del suo pontificato: quando, nel primo saluto ai fedeli, decise di presentarsi come «vescovo di Roma» piuttosto che come “Papa”. 

Certo, per i cattolici il vescovo di Roma è il Papa della Chiesa universale, ma la scelta della formula a loro più gradita non sfuggì agli ortodossi. Così come non sono sfuggiti gli accenni alla sinodalità e la ripresa della formula di San Giovanni Paolo II secondo cui la dottrina del primato del Vescovo di Roma rimane ferma, ma la Chiesa Cattolica è disponibile a studiare nuove forme di esercizio di tale primato. Come ebbe a rilevare Benedetto XVI, dal punto di vista teologico le divergenze fra cattolici e ortodossi non sono difficili da appianare. I problemi sono culturali e politici. Secoli di separazione hanno ingenerato un persistente anti-cattolicesimo in alcuni ambienti ortodossi, e le Chiese ortodosse sono spesso legate a filo doppio al potere politico locale, che diffida della libertà che esse potrebbero acquisire avvicinandosi a Roma.

La battuta di alcuni specialisti dell'ortodossia secondo cui la riunificazione della Chiesa di Mosca con Roma dipende meno da Kirill che da Putin è paradossale, ma non priva di una sua base nella realtà. E Francesco ha dovuto verosimilmente fare appello a tutte le risorse della diplomazia vaticana per non urtare, incontrando Kirill, la sensibilità del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, che ha meno seguaci nel mondo del suo collega di Mosca ma ha titoli storici non meno autorevoli di lui per presentarsi come la voce principale dell'Ortodossia. Le Chiese Ortodosse litigano spesso fra loro, e il Concilio di Creta sarà un altro passaggio delicatissimo.

Non è un caso che Francesco incontri Kirill a Cuba. La scelta della sede contiene due messaggi. Il primo è una rassicurazione a Putin. Benché la Russia non sia più comunista, i legami con Cuba non si sono interrotti. Raul Castro resta un alleato dei russi, e la sua presenza è un segnale al Cremlino. Il secondo messaggio, più delicato e forse discutibile, è che è in corso una nuova ostpolitik. Pur di riavvicinarsi al Patriarcato di Mosca e coltivare il sogno di una riunificazione con gli Ortodossi, Papa Francesco è disposto a tacere sulle questioni che riguardano i diritti umani non solo nella Cuba alleata di Putin, ma anche in Russia, in Crimea e nell'Est dell'Ucraina, pur lasciando che i vescovi cattolici locali protestino a gran voce.

La scelta non riguarda solo l'ecumenismo. Francesco pensa che con gli ortodossi russi la Chiesa cattolica abbia in comune due grandi battaglie, da privilegiare su altri elementi: quella per la difesa dei cristiani perseguitati, in particolare contro l'ultra-fondamentalismo islamico, è quella contro il relativismo e le «colonizzazioni ideologiche» del gender. Su questi fronti, otto anni di presidenza Obama - e la prospettiva di una presidenza Hillary Clinton, che sarebbe perfino peggiore - hanno convinto molti nella Santa Sede che conviene guardare alla Russia piuttosto che agli Stati Uniti. Certo, è un rovesciamento spettacolare di priorità e di prospettive. Francesco non guarda solo alla Russia, ma anche alla Cina. Ha scelto come segretario di Stato un grande esperto di cose cinesi come il cardinale Parolin. Nel recente messaggio al popolo cinese non ha menzionato direttamente i diritti umani, mentre filtrano voci secondo cui un accordo tra la Santa Sede e la Cina starebbe diventando una possibilità concreta e il governo di Pechino, mentre deve fronteggiare la crisi economica, starebbe pensando a sedare un'altra ragione di malcontento popolare concedendo più libertà religiosa. 

La formula “vescovo di Roma” piace anche alla Cina, la cui legge per ora non ammette l'esistenza legale di organizzazioni religiose che dipendano direttamente da autorità non cinesi. Ogni ostpolitik, la storia lo insegna, è pericolosa. Solleva questioni morali quanto alle violazioni dei diritti umani non denunciate, e l'esito non è mai garantito. Ma sui cristiani perseguitati dall'islam radicale e sul gender molti in Vaticano pensano di trovare più facilmente sponde in Russia e perfino in Cina che negli Stati Uniti o nell'Unione Europea. Nello stesso tempo, Francesco vuole che il suo pontificato sia ricordato per passi concreti verso il ritorno all'ovile dei fratelli separati. È difficile che questo riguardi i protestanti, anche se l'annunciata visita agli evangelici svedesi per il centenario di Lutero manda un segnale ai meno lontani fra tutti loro, i luterani più conservatori. Ma è possibile che qualche cosa si muova con gli ortodossi e con la Chiesa patriottica cinese, quella con i vescovi nominati dal regime che la Santa Sede ha sempre considerato scismatica. E - anche se il problema riguarda un numero minore di fedeli - recenti dichiarazioni del superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X, monsignor Bernard Fellay, parlano di un «sorprendente» e costante interesse di Papa Francesco per chiudere, se possibile, anche questa partita.