Il Papa da Fazio, un caso serio
L'annunciata partecipazione domani sera di papa Francesco al programma RAI "Che tempo che fa" denota una accentuata sconsacrazione del papato, la totale confusione tra sacro e profano, l'incapacità di capire il significato del sacro.
La partecipazione, domani sera, di papa Francesco alla prossima puntata RAI di “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio è una questione più seria di quanto possa sembrare e di quanto l’abbiano considerata anche i facili sarcasmi critici. Essa denota infatti una accentuata secolarizzazione (o sconsacrazione) del papato. Durante la rivoluzione comunista in Cina, Mao faceva sfilare nudi i Mandarini per mostrarne la ridicola debolezza una volta dismesse le solenni vesti cerimoniali e una volta fatti scendere dagli scranni del potere ieratico.
Eppure era stato Karl Marx, a cui Mao diceva di ispirarsi, a criticare nel Manifesto del partito comunista la desacralizzazione imposta dal capitalismo: “Tutto ciò che ha consistenza evapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare la loro posizione nella vita e i loro rapporti reciproci con uno sguardo disincantato”. Anche il marxismo, e forse soprattutto il marxismo, però, ha contribuito a questo disincanto dato che per esso tutto ciò che non è materia è sovrastruttura, ossia incanto, favola per bambini, fino a quando essi non si sveglieranno appunto dall’incanto. Max Weber ha descritto questo disincanto del mondo moderno e l’abbandono del sacro, considerato come una favola incantata.
Ricordo che nel 2003 girava molto il nome di Giovanni Paolo II per la candidatura al premio Nobel per la pace. In quell’occasione scrissi un articolo in cui dicevo di sperare che la cosa non avvenisse. Non perché Giovanni Paolo II non lo meritasse, ma perché in quel modo egli sarebbe stato collocato sullo stesso piano degli altri Nobel per la pace, mentre il papa è qualcosa di diverso, ha una connessione col sacro che gli altri non hanno. Nel 2003 si poteva ancora considerare una desacralizzazione la consegna ad un pontefice nientemeno che del premio Nobel per la pace, ora bisogna farlo per “Che tempo che fa”: come si vede il processo di secolarizzazione del papato procede in modo spinto.
E non si arresta: “Si è passati da una dominanza del sacro, fino all’invasione del profano nella vita del sacro e all’estromissione del sacro stesso” scriveva padre Cornelio Fabro nel 1974 parlando dell’avventura della teologia progressista. Pio XII lamentava che a quei suoi tempi non si prendessero con religioso ossequio le parole del papa nella sua predicazione ordinaria, quindi non appartenenti né al magistero solenne né a quello autentico, perché lo riteneva un atteggiamento irriverente rispetto all’investitura sacra dell’autorità pontificia.
Ci rimprovererebbe oggi Pio XII se non prendessimo con religioso ossequio le parole che Francesco dirà da Fabio Fazio, dove niente può essere accolto con religioso ossequio dato che non esiste trasmissione televisiva più irreligiosa? Ma se le parole del papa non possono venire accolte con religioso ossequio, a cosa servono? Da Fazio ci va Bergoglio o ci va il papa? In questa domanda c’è già l’allusione a tutta l’evoluzione della secolarizzazione del papato.
Identificare il “sacro” con l’”incanto” e la secolarizzazione con il “disincantamento” è proprio delle moderne ideologie illuministe che considerano la religione come una favola per bambini. Alle origini di questa secolarizzazione moderna del sacro c’è il luteranesimo che separa ragione e fede e quindi ammette una fede irragionevole, ossia incantata. Pensare di secolarizzare il papato togliendogli una presunta aura di incanto significa non aver capito il sacro. Il profano ha bisogno del sacro, che è il luogo dove rifugiarsi per evitare la sacralizzazione del profano. Il sacro permette al profano di essere profano, il tempio permette a ciò che sta fuori dal tempio di stare fuori dal tempio senza però dissolversi e senza voler giocare a fare il sacro.
Il sacro però ha bisogno di nascondimento per non essere profanato. Ha bisogno di un proprio linguaggio per non essere volgarizzato. Ha bisogno di protezione per non essere degradato. Da quando con Giovanni XXIII una telecamera entrò nell’appartamento papale e il tecnico della ripresa disse al papa di fingere di pregare, mentre un altro notava che purtroppo il bianco della veste rovinava l’immagine, è iniziato un processo non incontrollabile ma incontrollato. Soprattutto quando la secolarizzazione del papato non fu più considerata un mezzo pastorale per diffondere il messaggio cristiano ad un pubblico più vasto e raggiungere anche i lontani, ma divenne costitutivo dell’essere papa.
Dopo la svolta antropologica non si deve più dire Dio ma uomo e essere Francesco passa attraverso l’essere Bergoglio. La sacralità passa attraverso il profano. Tra storia sacra e storia profana, dicono i teologi avventuristi, non c’è più alcuna differenza e, quindi, nemmeno tra il palazzo apostolico e un set televisivo con il tragitto dall’uno all’altro mediato da Santa Marta. Se tra il presbiterio e il popolo non c’è più nessuna balaustra a dividere la Chiesa dal mondo, perché si dovrebbero ancora far valere queste separazioni tra sacro e profano? Perché mai un papa non dovrebbe andare da Fabio Fazio come qualsiasi altro?