Il Papa chiude il Sinodo No a una «spiritualità del miraggio»
Nella messa conclusiva del Sinodo papa Francesco ha criticato la «spiritualità del miraggio» di chi passa per i «deserti» del mondo contemporaneo senza vedere i drammi reali di tanti uomini e donne, e la «fede da tabella» di chi ha già una tabella di marcia precostituita e non è disposto a cambiarla per adattarla ai problemi reali che si manifestano nella storia.
- IL SINODO FINISCE CON UN COMPROMESSO, di L. Bertocchi
Prima di ricordare all'Angelus i cristiani perseguitati e i profughi, Papa Francesco nella Messa conclusiva del Sinodo ha ricordato la paternità e la compassione di Dio che si rivelano nel Signore Gesù. Ha criticato la «spiritualità del miraggio» di chi passa per i «deserti» del mondo contemporaneo senza vedere i drammi reali di tanti uomini e donne, e la «fede da tabella» di chi ha già una tabella di marcia precostituita e non è disposto a cambiarla per adattarla ai problemi reali che si manifestano nella storia.
Come fa sempre, il Papa è partita dalle letture del giorno. Nella prima, il profeta Geremia, «in pieno disastro nazionale, mentre il popolo è deportato dai nemici», annuncia che «il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele». L'evidenza sembra indicare il contrario. I nemici hanno vinto. Ma in realtà il Padre «si prende cura dei suoi figli, li accompagna nel cammino, sostiene "il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente" (31,8). La sua paternità apre loro una via accessibile, una via di consolazione dopo tante lacrime e tante amarezze». Certamente, sul piano umano e storico, Israele ha perso e molti saranno deportati. Ma «se il popolo resta fedele, se persevera a cercare Dio anche in terra straniera, Dio cambierà la sua prigionia in libertà, la sua solitudine in comunione: ciò che oggi il popolo semina nelle lacrime, domani lo raccoglierà nella gioia».
Nella sequenza liturgica è seguito un salmo che manifesta «la gioia che è frutto della salvezza del Signore»: «La nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia». La gioia definisce il cristiano come «una persona che ha sperimentato l’azione salvifica di Dio nella propria vita». Al Sinodo e oltre, ha detto il Papa, anche «noi Pastori, abbiamo sperimentato che cosa significhi seminare con fatica, a volte nelle lacrime, e gioire per la grazia di un raccolto che sempre va oltre le nostre forze e le nostre capacità».
Poi la seconda lettura, un brano della Lettera agli Ebrei che presenta la compassione di Gesù. Anche il Signore «si è rivestito di debolezza» per «sentire compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore. Gesù è il sommo sacerdote grande, santo, innocente, ma al tempo stesso è il sommo sacerdote che ha preso parte alle nostre debolezze ed è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato». Ed è così che Gesù ci salva.
Il Vangelo della domenica «ci collega direttamente alla prima Lettura: come il popolo d’Israele è stato liberato grazie alla paternità di Dio, così Bartimeo è stato liberato grazie alla compassione di Gesù». Gesù si ferma per rispondere al grido del cieco Bartimeo. «Si lascia toccare dalla sua richiesta, si fa coinvolgere dalla sua situazione. Non si accontenta di fargli l’elemosina, ma vuole incontrarlo di persona». Chiede a Bartimeo: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». «Potrebbe sembrare - chiosa il Papa - una richiesta inutile: che cosa potrebbe desiderare un cieco se non la vista? Eppure, con questo interrogativo fatto “a tu per tu”, diretto ma rispettoso, Gesù mostra di voler ascoltare le nostre necessità. Desidera con ciascuno di noi un colloquio fatto di vita, di situazioni reali, che nulla escluda davanti a Dio». Dopo la guarigione il Signore dice a Bartimeo: «La tua fede ti ha salvato». È bello, commenta il Pontefice, «vedere come Cristo ammira la fede di Bartimeo, fidandosi di lui. Lui crede in noi, più di quanto noi crediamo in noi stessi».
Gesù chiede ai suoi discepoli di chiamare Bartimeo. Essi «si rivolgono al cieco usando due espressioni, che solo Gesù utilizza nel resto del Vangelo». In primo luogo «gli dicono: “Coraggio!”, con una parola che letteralmente significa “abbi fiducia, fatti animo!”. In effetti, solo l’incontro con Gesù dà all’uomo la forza per affrontare le situazioni più difficili». Poi gli dicono «Alzati», «come Gesù aveva detto a tanti malati, prendendoli per mano e risanandoli. I suoi non fanno altro che ripetere le parole incoraggianti e liberatorie di Gesù, conducendo direttamente a Lui, senza prediche».
Anche oggi chi segue Gesù deve «porre l’uomo a contatto con la Misericordia compassionevole che salva. Quando il grido dell’umanità diventa, come in Bartimeo, ancora più forte, non c’è altra risposta che fare nostre le parole di Gesù e soprattutto imitare il suo cuore. Le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è tempo di misericordia!».
Ci sono però, ha detto Francesco, «alcune tentazioni per chi segue Gesù» e dal Vangelo di Bartimeo se ne evidenziano due. Prima: «Nessuno dei discepoli si ferma, come fa Gesù. Continuano a camminare, vanno avanti come se nulla fosse. Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema». Può essere un rischio anche per noi: «di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare. In questo modo, come quei discepoli, stiamo con Gesù, ma non pensiamo come Gesù. Si sta nel suo gruppo, ma si smarrisce l’apertura del cuore, si perdono la meraviglia, la gratitudine e l’entusiasmo e si rischia di diventare “abitudinari della grazia”».
Possiamo parlare molto di Gesù, eppure «vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito». Questa è una «"spiritualità del miraggio”: possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi. Una fede che non sa radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti».
C’è una seconda tentazione, continua il Papa, ed è quella di «cadere in una “fede da tabella”. Possiamo camminare con il popolo di Dio, ma abbiamo già la nostra tabella di marcia, dove tutto rientra: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba». Diventiamo anche noi parte di quei «"molti” del Vangelo che perdono la pazienza e rimproverano Bartimeo»: «chi dà fastidio o non è all’altezza è da escludere. Gesù invece vuole includere, soprattutto chi è tenuto ai margini e grida a Lui».
Alla fine Bartimeo non solo riacquista la vista ma si mette a seguire Gesù. Il Papa ha invitato i padri sinodali a comportarsi come Bartimeo. A guardare al mondo con uno «sguardo guarito e salvato, che sa diffondere luce, perché ricorda lo splendore che lo ha illuminato. Senza farci mai offuscare dal pessimismo e dal peccato, cerchiamo e vediamo la gloria di Dio, che risplende nell’uomo vivente».
- IL SINODO FINISCE CON UN COMPROMESSO, di L. Bertocchi