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IL DISCORSO DI NATALE

Il Papa bacchetta la Curia, come da tradizione

Come ormai da tradizione, Papa Francesco "bacchetta" la Curia, accusando il pericolo di clericalismo e indicando la via: partecipazione, comunione e missione. Non una Chiesa che si chiude in se stessa, ma che sia "di uscita da sé". Formalizzati anche importanti ricambi al vertice: Turkson non è più prefetto allo Sviluppo umano integrale.

Ecclesia 24_12_2021
Papa Francesco e la curia

Ormai immancabile come "Una poltrona per due" in onda su Italia 1 la sera della Vigilia, è arrivata la 'bacchettata' di Papa Francesco alla Curia nel tradizionale discorso per gli auguri natalizi.

Se dovessimo riassumere le parole papali ieri, potremmo dire che la malattia è il clericalismo, mentre la medicina sta nella sinodalità. «La Curia, non dimentichiamolo, non è solo uno strumento logistico e burocratico per le necessità della Chiesa universale - ha detto Bergoglio - ma è il primo organismo chiamato alla testimonianza, e proprio per questo acquista sempre più autorevolezza ed efficacia quando assume in prima persona le sfide della conversione sinodale alla quale anch’essa è chiamata». Come fare per intraprendere questa strada? Le tre parole-chiave indicate dal Pontefice sono partecipazione, comunione e missione. In merito alla prima, Francesco ha affermato che "sarebbe importante" se «ognuno si sentisse partecipe, corresponsabile del lavoro senza vivere la sola esperienza spersonalizzante dell’esecuzione di un programma stabilito da qualcun altro» dichiarandosi "colpito" quando in Curia incontra "creatività" perché «si manifesta soprattutto lì dove si lascia e si trova spazio per tutti, anche a chi gerarchicamente sembra occupare un posto marginale».

Esortando alla comunione, il Papa ha chiesto ai suoi collaboratori di rimettere Cristo al centro e «non questo partito o quell’altro, quell’opinione o quell’altra». «La complicità - ha continuato - crea divisioni, crea fazioni, crea nemici; la collaborazione esige la grandezza di accettare la propria parzialità e l’apertura al lavoro in gruppo, anche con quelli che non la pensano come noi». La missione, invece, è quella di «una Chiesa in movimento di uscita da sé» che in questo modo «ci salva dal ripiegarci su noi stessi», col rischio di finire come chi «guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza».

Nel discorso di auguri, Bergoglio ha ribadito la sua concezione di "radici" e "Tradizione": dunque, non culto del passato, ma «gesto interiore attraverso il quale riportiamo al cuore costantemente ciò che ci ha preceduti, ciò che ha attraversato la nostra storia, ciò che ci ha condotti fin qui». Di fronte ad una Curia ormai quasi del tutto disegnata a sua immagine e somiglianza dopo più di otto anni di pontificato, il Pontefice è tornato a mettere in guardia dalle tentazioni che accosta a quel determinato ambiente: la superbia, la mondanità spirituale, il clericalismo, la mancanza di trasparenza, i favoritismi, l'ossessione per l'apparenza e il chiacchiericcio.

Sempre ieri, intanto, è diventato ufficiale un cambio al vertice di un dicastero centrale nel pontificato bergogliano: Peter Turkson non sarà più Prefetto al servizio dello Sviluppo umano integrale. Dopo i rumors della scorsa settimana, un tweet del cardinale ghanese (in cui sosteneva di aver rimesso il mandato per la scadenza 'fisiologica' dei cinque anni come capo dicastero) sembrava aver riaperto i giochi. Poi c'era stata l'udienza a Santa Marta lunedì 20 dicembre (nove giorni dopo la precedente) e le dichiarazioni di Turkson nel corso di una presentazione in cui aveva ripetuto che il suo futuro era nelle mani del Santo Padre. Ieri, invece, l'ufficialità: sarà momentaneamente sostituito dal cardinale gesuita Michael Czerny, a cui subentra ad interim come segretaria suor Alessandra Smerilli.

Nel tweet e nelle dichiarazioni alla presentazione del 55esimo messaggio per la Giornata della pace, Turkson aveva voluto far intendere che il suo passo indietro rientrava nella routine curiale dopo cinque anni. Eppure quella ufficializzata ieri non è soltanto la sostituzione di un prefetto, perché a fare le valigie sono anche i superiori del Dicastero che finora lo avevano affiancato. Un'ipotesi è che ci sia delusione per il lavoro realizzato fino a qui da un organismo nato dalla fusione di quattro Pontifici Consigli e competente su materie che stanno particolarmente a cuore a Francesco. Oppure il motivo è un altro. In ogni caso, con le sue parole pubbliche dopo che la voce di una sua rimozione era iniziata a circolare, il cardinale ghanese ha fatto capire che la decisione sul suo futuro è stata solo ed esclusivamente del Papa, non sua.