Il "nostro" governo di Tripoli perde altri pezzi
Fayez al-Sarraj, l’inconcludente premier libico imposto e sostenuto dalla comunità internazionale continua a perdere i pezzi. Perde il sostegno della grande tribù armata Gharyan, che passa dalla parte del governo di Tobruk, l'appoggio del Muftì di Tripoli e incassa le critiche della compagnia petrolifera nazionale.
Fayez al-Sarraj, l’inconcludente premier libico imposto e sostenuto dalla comunità internazionale continua a perdere i pezzi.
La tribù libica dei Gharyan, tra le più importanti della Tripolitania e composta dai Berberi delle montagne di Nafusa, a sud di Tripoli, si è alleata con il governo di Tobruk (in Cirenaica) e con l’Esercito Nazionale Libico del Maresciallo Khalifa Haftar, facendo così venire meno il suo sostegno al governo di al-Sarraj. La nuova alleanza sarebbe stata ufficializzata con il rilascio da parte delle milizie Gharyan di Sasi al-Ghani al-Tarhouni, ex colonnello nell'ENL e già fedelissimo di Gheddafi prigioniero della tribù da quasi cinque anni. Al-Tarhouni è stato riconsegnato agli uomini di Haftar nell'ambito dell'accordo di cooperazione. Quella dei Gharyan non è certo la prima defezione di tribù dal sostegno al governo di al-Sarraj. Le tribù Mshait, Obeid, Fwakher, Drasa ma soprattutto Warfalla - la più numerosa e potente della Libia, hanno abbandonato l’inconcludente premier di Abu Sittah per sostenere Haftar.
In Tripolitania Haftar può contare da sempre anche sul supporto delle milizie di Zintan, arroccate nel nordovest libico. Per al Sarraj e la sua residua credibilità si tratta di un altro duro colpo. Le ragioni di questo esodo tribale di massa verso il governo di Tobruk e l’esercito di Haftar sono da ricercare nella debolezza di al-Sarraj, che in un anno dal suo insediamento non ha realizzato nulla di concreto e nella crescente ostilità del Gran Muftì di Tripoli, Sadiq Abdelrahman al-Ghariani che sostiene i gruppi islamisti legati ai Fratelli Musulmani e dell’ex premier di Tripoli Khalifa Ghwell, anch’egli ostile a al-Sarraj che considera un “usurpatore". Il Gran Muftì di Tripoli è sospettato di supportare anche i qaedisti delle Brigate di Difesa a Benghazi (BDB) che il 3 marzo strapparono per alcuni giorni ad Haftar il controllo dei terminal petroliferi di Sidra e Ras Lanuf.
Il sistema tribale ha oggi un'importanza sociale e politica senza precedenti in Libia. Secondo alcune stime, le principali tribù - a loro volta divise in clan, detti "bayt", che in arabo significa "casa" - in Libia sono circa 140, delle quali solo una trentina possono vantare un'influenza politica rilevante. Abbandonati dalle principali tribù, al-Sarraj e il suo governo di unità nazionale (GNA) sono in difficoltà anche con la compagnia petrolifera nazionale (NOC) che tiene i cordoni della borsa degli incassi dall’export di greggio, attualmente unica fonte lecita di valuta della Libia. Mustafa Sanalla presidente della NOC, ha criticato il GNA per aver deciso di chiudere il ministero del petrolio e aver tagliato la produzione, in quello che ritiene un abuso di giurisdizione ai danni della NOC. Sanalla ha dichiarato che al-Sarraj sta "oltrepassando la sua autorità", riferendosi al recente provvedimento governativo che assegna al primo ministro - e non a Sanalla - la gestione dei contratti, degli investimenti, dei progetti e dell'offerta petrolifera, lasciando al NOC solo un ruolo di esecutore dei piani governativi. Il capo della NOC ha chiesto ufficialmente di ritirare il provvedimento con cui al-Sarraj ha cercato di incassare direttamente proventi dell’export di greggio che attualmente la NOC gestisce dai terminal posti sotto il controllo delle truppe di Haftar nella cosiddetta “Mezzaluna petroliera”.
Del resto Sanalla è considerato un personaggio super partes, che gode del rispetto di tutte le parti in conflitto e che ha lavorato molto in questi mesi per attrarre nuovamente la fiducia degli investitori internazionali. Il tentativo di esautorarlo non si è rivelato un buon affare per al-Sarraj, ormai sempre più isolato. Non a caso a sostegno di Sanalla si sono espressi i cinque ambasciatori dei Paesi con seggio permanente al Consiglio di Sicurezza Onu, dichiarando congiuntamente che "l'infrastruttura petrolifera, la produzione e i ricavi da esportazione appartengono al popolo libico e devono rimanere sotto l'amministrazione della NOC. Gli ambasciatori ritengono che l'appropriazione politica della compagnia petrolifera nazionale sia un ostacolo alla pacificazione del Paese.
Di fatto ormai l’uomo su cui conta Roma per stabilizzare la Libia e fermare i flussi di immigrati illegali verso l’Italia non sembra godere più neppure dell’appoggio delle Nazioni Unite che avevano creato il suo governo.