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REFERENDUM

Il "No" col vento in poppa grazie a Trump

La vittoria del presidente "anti-establishment" americano rafforza la campagna per il No al referendum costituzionale italiano. Cerca di approfittarne anche il centrodestra, benché sia spaccato in due, con Salvini-Meloni-Toti a Firenze e Parisi a Padova, fra loro non comunicanti.

Politica 13_11_2016
Meloni e Salvini alla manifestazione per il NO

La vittoria di Trump sembra aver profondamente mutato il clima politico anche in Italia. Era inevitabile che fosse così, dopo l’endorsement di Obama in favore del “si” al nostro referendum costituzionale e quello di Renzi a sostegno di Hillary. E’ vero che il vincitore delle elezioni americane e il nostro premier si sono già sentiti al telefono per le congratulazioni di rito, ma c’è da immaginare che il nuovo inquilino della Casa Bianca non si strapperà di certo le vesti se in Italia dovessero prevalere i “no” al referendum e se a Palazzo Chigi si verificasse un avvicendamento nei prossimi mesi.

Ed è anche per questo che il fronte del “no” è sempre più euforico e non perde occasione di manifestare la sua euforia. Non solo il Movimento Cinque Stelle, non solo la sinistra anti-renziana. Anche il centrodestra, sia pure spaccato in due tronconi, ha rilanciato ieri la battaglia contro la riforma Boschi, considerata sbagliata e suscettibile di favorire nel Paese una svolta autoritaria.

In un’intervista apparsa sul Corriere della Sera un Silvio Berlusconi molto “lettiano” e moderato ha assicurato in modo solenne la sua netta contrarietà alla riforma costituzionale e, contemporaneamente, ha preso le distanze dagli estremismi, anche quelli del centrodestra, rilanciando la battaglia per la modifica della legge elettorale in senso proporzionale: una svolta necessaria, secondo lui, stante la presenza di tre poli e l’attuale difficile governabilità del Paese. A detta dell’ex premier è fondamentale riportare la gente a votare, consentendo agli elettori di scegliere i propri rappresentanti, senza coalizioni eterogenee, ma restituendo dignità a tutte le culture politiche. Per raggiungere quest’obiettivo, però, occorre lasciare inalterata la Costituzione attuale e cambiare l’Italicum. Dopo il 4 dicembre, se vincessero i “no”, tutto sarebbe più semplice.

L’ex Cavaliere si rende anche conto che la sua coalizione è spaccata in due: ieri a Firenze Salvini, Meloni e Toti hanno radunato in piazza oltre 12.000 persone per sostenere le ragioni del “no” e dare un avviso di sfratto a Renzi in caso di sconfitta al referendum. I tre hanno usato toni durissimi e il leader del Carroccio si è anche autocandidato premier per il centrodestra. Contemporaneamente a Padova il coordinatore di Forza Italia, Stefano Parisi lanciava un messaggio altrettanto perentorio: "E' arrivato il momento. Ora dobbiamo candidarci alla guida del Paese". E ha aggiunto: "Noi non siamo quella roba che è a Firenze oggi", prendendo nettamente le distanze dalla manifestazione “trumpista” di Firenze, alla quale pure hanno aderito alcuni esponenti di Forza Italia (non solo Toti, ma anche Daniela Santanchè). "Siamo noi che ci candidiamo a governare l'Italia - ha ancora detto Parisi - e dobbiamo farlo come forza liberale, riformista e popolare. Non lo può fare una forza radicale con gli slogan. Deve essere chiaro che questo è il disegno".

Sull’altro fronte, i sostenitori della riforma Boschi, al di là delle rassicurazioni di facciata, sono sempre più scettici sulla vittoria al referendum del 4 dicembre, visto il vento antisistema che soffia con forza in tutto il mondo occidentale. Il successo di Trump ne rappresenta l’indicazione più lampante, ma già la Brexit aveva lanciato all’Europa e al mondo un segnale anti-establishment. D’altra parte, al di là della marcia indietro di Cuperlo, ora orientato a sostenere il “si”, la minoranza dem continua a battersi per il “no” e intende indebolire il premier, per costringerlo a convocare a breve un congresso Pd e tentare di sfilargli la segreteria in vista delle prossime elezioni politiche e della compilazione delle liste. Sull’immagine del fronte del “si” pesa anche la richiesta di condanna, da parte della Procura di Roma nell’ambito del processo sulla P3, a quattro anni di carcere per Denis Verdini e a 9 anni per Flavio Carboni, amico del padre del ministro Maria Elena Boschi. Il fondatore di Ala, minuscola formazione politica decisiva per consentire al governo di avere la maggioranza anche al Senato, nei giorni scorsi aveva addirittura preannunciato, in caso di vittoria dei “si” al referendum, l’ingresso nel governo di alcuni ministri del suo partito. Quelle dichiarazioni, che avevano messo in imbarazzo gli stessi renziani e in subbuglio l’opposizione antirenziana dentro il Pd, ora rischiano di produrre il classico effetto-boomerang, togliendo molti argomenti alla propaganda renziana, fondata proprio sulla presunta impresentabilità di alcuni esponenti del fronte del “no”. Dopo questa tegola su Verdini, meglio per il premier tentare altre acrobazie dialettiche per convincere la gente a votare “si”.