Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
LA QUESTIONE ARMENA

Il Nagorno Karabakh soffocato dal blocco attende una soluzione diplomatica

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il Nagorno Karabakh vittima di un blocco totale dall'Azerbaigian. La regione armena, non riconosciuta internazionalmente e più volte teatro di guerra, ora spera in una soluzione diplomatica. 

Esteri 26_06_2023
Convoglio russo sulla strada di Lachin

Un piccolo Paese del Caucaso sta vivendo con particolare apprensione i colpi di scena in Russia e ha già sofferto per l’esito delle elezioni in Turchia. È l’Armenia e in particolare la sua exclave del Nagorno Karabakh che sta subendo, ad oggi, il suo 195mo giorno di blocco totale, ad opera dell’Azerbaigian. Gli sviluppi più recenti non inducono all’ottimismo la popolazione armena che lo abita.

La geografia spiega l’origine della crisi ed è bene ripassarla per comprendere quanto sia difficile una soluzione. Il Nagorno Karabakh è una regione a maggioranza armena cristiana, ma si trova esattamente nel mezzo dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza turcofona musulmana sciita), come se fosse l’Umbria per l’Italia, senza sbocchi sul mare e senza confini con Paesi terzi. Nel 1991, al momento della dissoluzione dell’Urss, nonostante un referendum locale fosse stato vinto da chi chiedeva l’indipendenza (sotto il nome di Repubblica di Artsakh), né l’Azerbaigian né la comunità internazionale hanno riconosciuto il suo esito. I combattimenti fra la locale maggioranza armena e gli azeri, già iniziati nel 1988, quando entrambi erano cittadini sovietici, alla fine del 1992 sfociarono in una vera e propria guerra, conclusa con una pace instabile solo nel 1994 e ricominciata nel 2020.

La situazione attuale è dovuta alla conclusione di quest’ultimo conflitto di tre anni fa e alla guerra in Ucraina. La sopravvivenza degli armeni del Nagorno Karabakh dipende infatti dalla presenza di forze di pace russe. La guerra fra Nagorno e Azerbaigian del 2020, durata tre mesi, si è conclusa con una mediazione fra Russia e Turchia. Alla fine del conflitto l’Azerbaigian ha conquistato un terzo dei territori del Nagorno Karabakh lasciando un unico corridoio di terra che lo collega con l’Armenia, la strada che passa dal villaggio di Lachin. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, la Russia si occupa sempre meno della questione armena, quasi disinteressandosene completamente. Ebbene, da 195 giorni questa strada è bloccata dagli azeri e la popolazione armena del Nagorno Karabakh sopravvive a stento.

La situazione è peggiorata in maggio, quando l’Azerbaigian ha costituito un posto di blocco militare sul corridoio di Lachin. Fino al mese scorso, infatti, la strada veniva ostruita a intermittenza da manifestazioni civili di sedicenti ecologisti, intenti a manifestare contro lo sfruttamento delle miniere locali. Tutti sapevano che fossero manifestazioni organizzate, anche perché in Azerbaigian la libertà di protesta non è tollerata. Ma per lo meno non era un blocco ufficiale. Da maggio lo è diventato.

Da metà giugno, a seguito di una sparatoria presso il loro posto di blocco, i militari azeri hanno ulteriormente ristretto i movimenti, sia in uscita (anche per le persone che hanno bisogno di cure in Armenia), sia in entrata (anche per cibo e medicinali). Secondo le autorità dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, la situazione è peggiorata sensibilmente in giugno. “La già limitata quantità di cibo nei negozi – si legge in un comunicato della settimana scorsa - è drasticamente diminuita, e anche i beni essenziali forniti con i coupon non sono disponibili. La disponibilità di farmaci nel settore ambulatoriale è scesa al 20%, mentre nel settore ospedaliero ha raggiunto il 40%. Inoltre, 175 pazienti medici sono in attesa di essere trasportati presso le istituzioni mediche della Repubblica d'Armenia attraverso la Croce Rossa, molti dei quali dovevano partire nei giorni scorsi”. Inoltre, le stesse autorità denunciano blocchi alle linee elettriche e al gas, con conseguenze ancora più gravi per la popolazione.

La stretta sul corridoio di Lachin è stata fortemente condannata dal premier armeno Nikol Pashinian. Quelle dell’Azerbaigian, a suo dire, sono “azioni che confermano ancora una volta il nostro timore che l’Azerbaigian stia conducendo una politica di pulizia etnica”, considerando che “Anche la fornitura di cibo essenziale al Nagorno-Karabakh è stata interrotta. In altre parole, il cibo non entra in Nagorno-Karabakh dal mondo esterno e i cittadini che hanno bisogno di assistenza medica urgente non possono passare attraverso il corridoio di Lachin”.

Se sul piano militare le armi non tacciono ancora del tutto (si sono verificati due separati incidenti di frontiera, la scorsa settimana), sul piano diplomatico la questione è difficile, proprio perché non è considerata prioritaria da nessuna delle potenze coinvolte. Questa settimana è previsto un incontro a Washington fra i ministri degli esteri armeno e azero, annunciato dall'inizio del mese. Il 23 giugno la Russia è tornata a chiedere ufficialmente all’Azerbaigian di levare il blocco dal corridoio di Lachin. “Questi passi (il blocco della strada, ndr) portano a un aumento della tensione e non contribuiscono al mantenimento di un’atmosfera normale intorno al processo di normalizzazione delle relazioni tra Azerbaigian e Armenia, in corso con la mediazione della Russia”, ha dichiarato il ministero degli Esteri di Mosca.

Pashinian ha però sempre meno pazienza con la Russia. Si sente abbandonato dall’alleato tradizionale e prende in considerazione l’ipotesi di lasciare la Csto, l’organizzazione militare internazionale delle nazioni ex sovietiche: “Negli ultimi due anni, l’Armenia ha subito almeno tre aggressioni da parte dell'Azerbaigian. È deprimente constatare che l’appartenenza dell’Armenia alla Csto non abbia dissuaso l'Azerbaigian da azioni aggressive e che, di fatto, fino ad oggi non siamo riusciti a prendere una decisione sulla reazione della Csto a questa aggressione. Questi fatti causano un grave danno all'immagine della Csto sia all'interno che all’esterno del nostro Paese”.

Lo stesso premier armeno, comunque, si sta preparando a dolorose concessioni. In maggio si è detto pronto a riconoscere la sovranità azera sul Nagorno Karabakh, per giungere a un accordo definitivo. Ma riuscirebbe a ottenere sufficienti garanzie per la piena autonomia (e sopravvivenza) della popolazione armena della regione? Nel caso la riconosca, l’opposizione è pronta a dar battaglia, non escludendo un’insurrezione. E la popolazione armena “di montagna”, incastonata nel mezzo del territorio ostile, si sentirebbe veramente abbandonata alla mercé del nemico.