Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ORA DI DOTTRINA / 61 - IL SUPPLEMENTO

Il Mysterium Lunae prefigura la risurrezione dei morti

Un aspetto importante della teologia lunare è la dimensione escatologica, la risurrezione dei corpi, cuore del mistero della fede che professiamo nel Credo e che ha sconvolto il mondo greco-romano, ma che è poco compreso anche oggi dagli stessi cattolici.

Catechismo 19_03_2023
Michelangelo, Il giudizio universale (part.)

«La Luna, proprio nel suo venir meno per rinnovarsi, mostra anche alla stessa moltitudine incolta l’immagine della Chiesa, nella quale si crede alla risurrezione dei morti» (Esposizione sui Salmi, 10, 3). Così Sant’Agostino introduce un nuovo aspetto della teologia lunare, la dimensione escatologica adombrata in questo astro, oggetto di tante considerazioni nel mondo antico.

Nella prima parte di questo breve studio sul Mysterium Lunae, si è visto come le fasi lunari esprimano le fasi della vita della Chiesa, la quale, nel corso della storia, vive ora la persecuzione ora la tranquillità; ed il tempo più oscuro è in realtà quello in cui la Luna è più vicina al Sole, come la Chiesa è più intimamente unita a Cristo crocifisso. Eppure questa alternanza non permarrà per sempre. È questo secolo, questo eone ad essere segnato dal divenire, dal crescere e dal decrescere, dal nascere e dal morire; una legge che è impressa nella nostra stessa carne. Ed è sempre in questo eone che la Chiesa conosce le sue fasi. Ma non per sempre. Ci sarà un momento in cui essa permarrà nella pienezza. Essa sarà, come spiega nuovamente Sant’Agostino, «perfecta in aeternum», eternamente piena (Esposizione sui Salmi, 88 D2, 5): «Questa carne è dunque simile alla Luna che in ogni stagione e in ogni mese ha la sua fase di crescita e di diminuzione; ma nella risurrezione questa nostra carne sarà perfetta e sarà fedele testimone nel cielo».

Siamo qui al cuore del grande mistero della nostra fede che professiamo nel Credo  - et expecto resurrectionem mortuorum – e che ha sconvolto il mondo greco-romano, pronto solo ad acconsentire alla prospettiva dell’immortalità dell’anima umana. Ed in effetti, la nostra esperienza ci mostra ad abundantiam che questa nostra carne, lasciata alle leggi della natura, non può conoscere altro che il deperimento, la morte e la dissoluzione. Ma non era così in principio; e non sarà più così, dal momento che Cristo, che ha congiunto a sé la nostra integra natura umana, ha vinto la corruzione del sepolcro.

È questa forse la verità più difficile da digerire per il mondo occidentale antico, ma che anche oggi non gode di particolare credito da parte dei fedeli, sballottati ora da un certo spiritualismo disincarnato, ora dalla credenza nella reincarnazione. Per non parlare della diffusa convinzione che la Risurrezione di Cristo sia da intendere in  modo figurato, come la semplice permanenza del suo messaggio d’amore nel cuore dei discepoli.
E quando anche è professata, non sembra più di tanto suscitare quella gratitudine e stupore, che portava i Padri a vederne ovunque gli indizi: «Consideriamo, o carissimi, come Dio ci dà continue prove della nostra futura risurrezione, la quale ebbe inizio con Gesù Cristo Signore nostro, risuscitato dai morti. Osserviamo, miei cari, gli esempi di risurrezione che si succedono di tempo in tempo. Il giorno e la notte ce ne mostrano uno evidente […] Consideriamo anche l’esempio dei frutti […] Essi, caduti nel terreno, secchi e nudi, cominciano a dissolversi; ma poi la magnifica provvidenza del Signore li fa risorgere dalla loro corruzione» (Clemente Romano, Prima Lettera Ai Corinti, 24, 1).
Non solo la Luna, ma anche la nascita del giorno dalla notte e del frutto dal seme, sono segni che prefigurano il mistero della nostra risurrezione con i nostri corpi; segni messi a disposizione di tutti gli uomini, ancor prima che fosse rivelato il mistero tramite le Sacre Scritture, come spiega esplicitamente Tertulliano, nella sua opera Sulla risurrezione della carne.

Per uno dei primi apologeti cristiani, Sant’Atenagora di Atene, la risurrezione dei corpi, che è possibile solo per il comando e l’intervento di Dio, è persino necessaria affinché l’uomo raggiunga il suo fine; perché «l’uomo come tale non sussiste quando il corpo sia disciolto o è del tutto disperso, anche se l’anima continui a vivere in se stessa». Dunque, «deve assolutamente esservi una resurrezione dei corpi morti o anche andati in pieno sfacelo e debbono ricomporsi i medesimi uomini; poiché il fine non è stabilito indeterminatamente né la legge di natura è fatta per gli uomini presi in astratto, ma proprio per quelli stessi che vissero nella vita precedente. Il ricomporsi poi dei medesimi uomini è impossibile, se non vengono restituiti i medesimi corpi alle medesime anime; d’altra parte è impossibile che il medesimo corpo riceva di nuovo la medesima anima se non mediante la risurrezione; avvenuta questa, si raggiunge pure il fine corrispondente alla natura dell’uomo» (La risurrezione dei morti, 25, 3).

La Luna non indica solo l’instabilità del tempo presente, dove morte e nascita, difficoltà e tranquillità, favore e sfortuna si alternano; essa diventa anche figura dell’intera parabola della Chiesa nel tempo e della nostra carne mortale, di quell’unico corso che le vede entrambe nascere, crescere, raggiungere la piena maturità per poi iniziare un lento ed inesorabile declino, che conduce alla morte. La fede però ci conferma che la morte non è l’ultima parola; essa è il passaggio, necessario, per entrare nella vita piena. È questa fede che conforta e sorregge l’uomo nel proprio momento supremo e in quello dei propri cari; e questa dev’essere la fede che sorregge i cristiani nella grande prova finale, la prova della seduzione dell’«impostura anti-cristica», quello «pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne», che assume la forma «di un messianismo secolarizzato “ intrinsecamente perverso”» (CCC 675-6, passim).

La vicenda di ogni uomo e della Chiesa non percorre una traiettoria ascendente, ma conosce un declino doloroso, uno sprofondare nell’oscurità, nell’abisso della tenebra e del male, che sembra prevalere definitivamente. Per questo la parola di Dio ci esorta a supplicare il Signore: «Illumina i miei occhi perché io non m'addormenti del sonno della morte, affinché il mio nemico non dica: “L'ho vinto!”» (Sal. 13, 3-4). E questa è anche la preghiera della Chiesa, quando la potenza dell’Anticristo sembra chiudere definitivamente le sue fauci per divorarla. Il destino della Chiesa e di ogni cristiano è lo stesso del suo Signore e Sposo: «La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest'ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa» (CCC 677).
Anche il cosmo attende di essere liberato, proprio nella risurrezione finale della nostra carne, per un intervento del Signore Gesù.

Cristo ha promesso che le porte degli inferi non avrebbero prevalso contro la pietra su cui è fondata la Chiesa (cf. Mt 16, 18), e non che le forze del male non avrebbero potuto raggiungere una forza tale da far pensare che tutto sia perduto. La morte di Cristo non è stata fittizia; agli occhi di chi stava vivendo la sera del venerdì santo, o il giorno successivo, sembrava che la morte, il male, il peccato e la blasfemia avessero avuto l’ultima parola; che le promesse messianiche rivelassero la propria inconsistenza; che Cristo stesso avesse completamente fallito. Ma l’ultima parola doveva essere ancora pronunciata. Come per Cristo, così per la Chiesa.