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IL CASO

Il "mostro" di Arosio e il gender come il terrorismo

Finisce nella bufera il parroco del paesino brianzolo che ha paragonato l'ideologia gender al terrorismo dell'ISIS. Espressione forte, ma che ha la sua verità. E il caso è montato ad arte, così come in altre parti d'Italia, per scoraggiare l'organizzazione e la partecipazione ad incontri sul gender.

Editoriali 10_03_2015
Don Angelo Perego e Domenico de Paolo

La caccia all’omofobo, la voglia spasmodica di creare un caso, sono ormai diventate una vera ossessione per associazioni Lgbt e giornali compiacenti. E se il caso non c’è lo si inventa, figurarsi poi se è possibile mettere in mezzo un prete.

È per questa logica perversa che è diventato un caso nazionale un piccolo diverbio di paese, come quello avvenuto nei giorni scorsi ad Arosio, comune della Brianza in provincia di Como. Al centro della vicenda, neanche a dirlo, il parroco don Angelo Perego. Cosa avrà mai combinato il povero parroco? Avendo organizzato un incontro in parrocchia per il prossimo 27 marzo, di approfondimento sull’ideologia del gender (interverrà il nostro Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita), il 1° marzo ha dato l’avviso al termine della messa per invitare a un incontro di preparazione. E per dare forza al suo invito ha detto che «il terrorismo dell’ISIS è meno grave del terrorismo del gender».

Espressione forte, senz’altro, ma non per questo scorretta: l’ISIS uccide i corpi, e questo fa certo più impressione, ma il gender ti uccide dentro, è un’ideologia che devasta la società, è come quella famosa Bomba N che lascia in piedi case e città ma ne uccide i suoi abitanti. In ogni caso era un’espressione che – dice don Angelo alla Bussola - «voleva attirare l’attenzione sull’importanza del tema proposto».

In paese c’è un ragazzo, Domenico De Paolo, musicista e attivista gay: non va a messa, ma al bar dell’oratorio sì, accolto da sempre senza problemi, e da notare che il bar dell’oratorio è luogo privato non pubblico. A riprova che non c’è nessuna discriminazione nei confronti degli omosessuali. Quindi qualche amico dell’oratorio gli riferisce la frase di don Angelo, e Domenico scatta subito.

Mercoledì va dal parroco e gli parla in toni tutt’altro che amichevoli, don Angelo prova a spiegare che la Chiesa ama tutti e con tutti coloro che riconoscono il peccato usa la misericordia; che nella sua vita sacerdotale ha confessato e offerto la Misericordia di Dio anche a tanti omosessuali; che la Chiesa se la prende con il peccato non con il peccatore, che dal pulpito si deve annunciare la dottrina corretta, e che proprio per questo poi nel confessionale si può usare la misericordia. E ribadisce che l’ideologia del gender è più pericolosa dell’ISIS. Del resto quelli che questi giorni continuano a stracciarsi le vesti ricordando a don Angelo il “Chi sono io per giudicare?” di papa Francesco, evitano di ricordare che è stato proprio papa Francesco a paragonare l’ideologia gender al nazismo. 

Fatto sta che però l’incontro non finisce bene e Domenico De Paolo comincia a sparare a zero sul parroco dalla sua pagina Facebook (clicca qui) che, peraltro, è piena di post omo-deliranti. E parte l’ormai consolidato circo. Inizia il giornale locale, Il Giornale di Cantù, che subito spara un titolo inesatto per fare più scalpore: «I gay più pericolosi dell’ISIS». Ideologia gender e gay non è la stessa cosa, è un’evidente manipolazione per colpire il parroco, tanto si sa che in questi casi non interverrà mai alcun Ordine dei Giornalisti a sanzionare dei colleghi così professionalmente scorretti quanto politicamente corretti.

Ed ecco allora seguire Repubblica con un inviato che addirittura si sorprende che in parrocchia si parli di ideologia gender; e poi a ruota tutti gli altri: giornali e televisioni, la parrocchia di Arosio è sotto assedio. Don Angelo Perego non risponde più a nessun giornalista, cerca di far passare la bufera, mentre Domenico De Paolo continua a insultarlo via Facebook. Finché, d’accordo con il vescovo e spinto dal desiderio di chiudere in fretta questa storia ridicola, grazie ad amici comuni l’8 marzo incontra ancora De Paolo per un faccia a faccia questa volta “pacificatore”, come afferma lo stesso De Paolo dalla sua pagina Facebook, in cui spiega (testo originale): «Don Angelo ha ammesso di aver fatto una affermazione azzardata. Io ammetto di avere un carattere un po impulsivo, che mi ha lasciato prendere la mano, nel avere detto parole al parroco un po azzardate! Questa sera abbiamo capito gli errori di entrambi, chiedendoci scusa a vicenda per i fatti accaduti!».

Ma poi commentando prosegue: «ma ribadisco e confermo, che la mia ideologia non e cambiata, anzi, si e rafforzata, farò sempre guerra contro la chiesa, e politica solo per i nostri diritti, che la chiesa contrasta, e la politica li mette in atto, quindi le lotte saranno aspre».

Si tratta di una vicenda ridicola, ma così simile a tante altre che stanno accadendo in tante parti d’Italia e di alcune delle quali anche la Nuova BQ si è interessata. Il cliché è sempre lo stesso: su un fatto di minima importanza si monta un caso, si individua il mostro omofobo e poi giornali e tv fanno il resto. I singoli contenziosi magari si risolvono (anche De Paolo è solo una pedina inconsapevole in un gioco molto più grande), ma questa strategia ha uno scopo evidente: intimidire le persone, scoraggiare parroci e associazioni dal promuovere incontri sul gender e scoraggiare la presenza del pubblico.

Il solito vecchio, collaudato, sistema: colpirne uno per educarne cento. E poi dice che non è terrorismo. Una volta a tale scopo giravano le squadracce e le ronde, oggi è molto più facile montare una campagna di stampa: raggiunge lo stesso scopo, fomentando anche l’odio nel popolo, e garantisce impunità ai responsabili.

Un altro segnale che il nostro paese è gaiamente avviato verso la barbarie. Se mai arriveranno quelli dell’ISIS troveranno il lavoro già fatto.