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NIGERIA

Il mondo si fa prendere in giro da Boko Haram

L'organizzazione jihadista della Nigeria si fa beffe della comunità internazionale. Pur essendosi divisa in due fazioni, espone alle telecamere le oltre 200 studentesse rapite a Chibok due anni fa. Per la loro liberazione si erano mobilitate tutte le grandi personalità del mondo. Solo a parole e via Twitter.

Editoriali 17_08_2016
Il video di Boko Haram

Dopo il video e il messaggio audio del 3 agosto che ne annunciavano l’avvenuta divisione, Boko Haram il 14 agosto ha diffuso un nuovo video in cui il portavoce di una delle due fazioni, a quanto pare quella ancora alleata con l’Isis, mostra una cinquantina di ragazze affermando che si tratta di parte delle studentesse rapite nei dormitori di una scuola nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2014 a Chibok, nel nord est della Nigeria.

In tutto quella notte erano state portate via 276 ragazze tra i 15 e i 18 anni, ma alcune erano riuscite a fuggire subito, gettandosi dai cassoni dei furgoni quando il convoglio aveva rallentato, altre erano state liberate poco dopo. Alla fine nelle mani dei jihadisti sono rimaste 200 studentesse, in gran parte cristiane (forse in tutto 165). Nelle settimane successive Boko Haram le aveva filmate più volte, già coperte dalla testa ai piedi dal niqab, il velo integrale delle donne musulmane. Nei video il leader del gruppo, Abubakar Shekau, diceva che le ragazze cristiane si erano convertite all’islam, che molte erano diventate mogli di combattenti, che altre erano state vendute come mogli a degli islamici al prezzo di 12 dollari ciascuna. 

Nel nuovo video, Boko Haram afferma che le ragazze non torneranno mai più a casa a meno che il governo nigeriano non acconsenta a liberare in cambio i jihadisti catturati nel corso degli anni e attualmente detenuti. Quella dello scambio è una proposta che il gruppo armato aveva già fatto al governo poche settimane dopo il rapimento, ma che poi aveva lasciato cadere. Invece quasi due anni fa, nell’ottobre del 2014, era stato il governo a dichiarare di aver raggiunto con Boko Haram un accordo che prevedeva un cessate-il-fuoco e la liberazione delle studentesse di Chibok. Ma era stato smentito pochi giorni dopo da Abubakar Shekau che in un video – a ragione, visto come poi sono andate le cose – aveva accusato il governo di aver mentito, spiegando di non aver siglato nessun accordo ed escludendo l’eventualità di futuri negoziati. Quanto alle studentesse di Chibok, aveva ribadito che ormai si erano convertite all’islam e si erano sposate.

Per il momento l’unica reazione ufficiale al video del 14 agosto è quella del Ministro dell’informazione Alhaji Mohammed. Il governo, ha assicurato, sta facendo tutto il possibile per ottenere la liberazione delle ragazze: “siamo estremamente cauti perché la situazione è resa più complessa e delicata dalla divisione del gruppo. Inoltre per noi è prioritario garantire la sicurezza delle ragazze”. Ma sono le stesse cose che il governo ripete da oltre due anni e ormai a credergli in Nigeria non deve esserci più nessuno, tanto più dopo gli ultimi avvenimenti. Il 21 luglio il ministro dell’Interno Abdulrahan Dambazau ha annunciato la fine della guerra contro Boko Haram: “Abbiamo combattuto e vinto – ha detto – i jihadisti Boko Haram sono stati sconfitti, umiliati e decimati”. Poche ore dopo e nei giorni successivi Boko Haram ha sferrato alcuni attacchi riuscendo a tendere un’imboscata anche a un convoglio militare. Poi il 3 agosto è arrivata la notizia della secessione. 

Si può solo immaginare il dolore, lo sconforto delle famiglie che nel video hanno riconosciuto una figlia. “Ho guardato e riguardato il video non so quante volte – ha detto alla Bbc il padre di una di loro, Serah Samuel – l’ho vista, l’ho riconosciuta, è una di quelle sedute. Sono disperato. Guardi tua figlia e sai di non poter fare niente per lei anche se vedi che vive in condizioni terribili. Ho il cuore a pezzi. Noi genitori siamo del tutto impotenti”.

Tutto il mondo è impotente, non solo i genitori. All’indomani del rapimento ci fu grande mobilitazione. Più di un milione di persone twittarono in poche settimane #BringBackOurGirls (restituiteci le nostre ragazze), aderendo alla campagna lanciata dal Premio Nobel pakistano Malala Yousafzai. La pagina Facebook creata per le studentesse di Chibok conta da sola 238.095 “mi piace”. Non è servito a nulla. Tutto il mondo è impotente almeno se si limita a twitter, a coprirsi le labbra con nastro adesivo rosso, illuminare di luce rossa l’Empire State Building o cantare, sull’aria di una canzone di John Lennon, “All we are saying is bring back our girls. Now and alive!” (solo questo diciamo: restituiteci le nostre ragazze, subito e vive). I jihadisti, anzi, si sono fatti beffe degli appelli e delle manifestazioni, lusingati che così tante persone li stessero pregando di liberare le studentesse, di restituirle alle famiglie. “Ma le abbiamo già liberate – era stata l’arrogante risposta di Boko Haram – erano cristiane e adesso si sono convertite all’islam”. 

Avevano voluto realizzare un’impresa straordinaria, di cui parlasse il mondo. Il risultato forse è andato addirittura oltre alle loro aspettative. Non pareva vero che si fossero uniti con i loro hashtag alla richiesta di liberare le “nostre ragazze” persino la moglie dell’uomo più potente del mondo, Michelle Obama, l’allora premier dell’ex potenza coloniale britannica e la di lui consorte, David e Samantha Cameron, e il capo della Chiesa cattolica romana, Papa Francesco.