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ORA DI DOTTRINA / 64 - IL SUPPLEMENTO

Il mistero di Babilonia, il male nel mondo

Nel capitolo 17 dell'Apocalisse è rivelato il mysterium iniquitatis. Per comprendere il male non bisogna "starci dentro" ma si deve prenderne le distanze e andare nel deserto. I tre livelli del rapporto con il male. Ma la sorte del male è segnata, ci sarà un crollo inatteso e gioiranno le vittime di Babilonia.

Catechismo 16_04_2023

«Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò e parlò con me: “Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione”. L'angelo mi trasportò in spirito nel deserto». Inizia così il capitolo 17 del libro dell’Apocalisse.

È un testo che probabilmente abbiamo letto altre volte e che abbiamo oltrepassato con una certa sufficienza. Il mysterium iniquitatis per noi non è più tanto un mysterium, ma un fenomeno da baraccone mediatico. Il male ci viene banalmente servito a colazione, pranzo e cena, con scene di violenza, notizie di ingiustizie, immagini di perversione: tutto appare svelato, nudo sotto i nostri occhi, pronti ad assuefarsi rapidamente. Dove sarebbe allora il mistero?

San Giovanni ci consegna invece una grande verità: la comprensione del male richiede una rivelazione e la rivelazione esige di essere presi e trasportati nel deserto. Nel suo Les Grandes énigmes de l’Apocalypse, p. Philippe Plet indica che in questo dettaglio si trova una grande lezione per noi cristiani: «per comprendere la realtà spirituale di Babilonia, occorre prendervi le distanze, ossia “andare nel deserto” (una distanza spirituale nei confronti del mondo). Se si resta a Babilonia, simbolo del mondo dell’immanenza, non è possibile cogliere il suo “mistero” nascosto, perché si resta immersi e trascinati dal movimento incessante delle sue attività e dei suoi fasti».

Il deserto è senza dubbio il luogo del raccoglimento, del silenzio; il male non lo si comprende “standoci dentro”, come è molto di moda asserire, ma prendendo le distanze, allontanandosi dalla sua logica e dal suo trambusto, immergendosi in Dio. Il deserto è anche qualcosa di più. Nelle Scritture, esso è il luogo del fidanzamento di Dio con il suo popolo. Ed è proprio ricomprendendo la chiamata dell’umanità a divenire, nella Chiesa, la sposa del suo Creatore e Signore, che il male appare per quello che è veramente: non un mero problema sociale o morale, ma il radicale fallimento di questa vocazione dell’uomo, che non aderisce allo sposalizio con il Signore, ma si prostituisce con il Drago: «Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta [...]. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: “Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra”» (Ap. 17, 3-5).

Torniamo ai primi versetti dell’Apocalisse, riportati all’inizio di questo articolo. San Giovanni ci offre il gioco delle scatole cinesi. A livello più esterno, più ampio, più immediato, troviamo gli abitanti della terra, inebriati dal vino della grande meretrice. È il male dell’ingiustizia, della collusione, della cattiveria, della pavidità, della menzogna, della lussuria, quel che ci colpisce direttamente, che è immediatamente sotto i nostri occhi. Si tratta, per così dire, della vendita al dettaglio del male, il quale però è frutto del vino offerto dalla grande meretrice, che si presenta invece come la grande benefattrice dell’umanità. Gli uomini se ne abbeverano, noncuranti della sua origine e dei suoi effetti; e così si ubriacano: sragionano, straparlano, si comportano da folli, ritenendo tuttavia strani e pericolosi quanti non sono altro che sobri.

Ad un secondo livello, meno appariscente, abbiamo «i re della terra», i centri di potere finanziario, economico, politico, sanitario, militare, che determinano la vita degli uomini e delle Nazioni. Questi potenti sono una sola carne con Babilonia, fornicando con lei. Sappiamo già (vedi qui) che Babilonia è la contro-chiesa, la scimmiottatura del Regno di Dio, un mondo basato sui valori cristiani svuotati e rovesciati. Essa appare, secondo la descrizione di Ap. 17, 4, come il mondo perfettamente secolarizzato, materialista, colmo di lusso e di lussuria. Babilonia è il mondo che si ritiene perfettamente autosufficiente, che non ha bisogno di domandare a Dio il proprio pane quotidiano, che fa della sicurezza il suo emblema, che «dice in cuor suo: “Io sono regina, non sono vedova e non vedrò mai lutto”» (Ap. 18, 7).

C’è poi un terzo livello, una verità che solo la fede può svelare. Questo mondo secolarizzato, che si vanta di bastare a se stesso, che promette l’immunità da ogni malattia, la protezione da ogni crisi, che sostituisce la Provvidenza di Dio con la previdenza sociale; questo mondo che ha preteso di rendere Dio superfluo, che ha tolto il peccato del mondo, rendendo tutto lecito, che ha tolto la sofferenza, togliendo di mezzo le persone che soffrono, questo mondo è tutt’uno con la Bestia scarlatta, siede su di lei, segno della sua prostituzione con il maligno. La comunione con questo mondo comporta la comunione con il drago. Che ci piaccia o no, che lo ammettiamo o no.

E invece gli uomini bevono, grati e riconoscenti, del vino della prostituzione. Ammirano inebetiti le grandi conquiste di Babilonia, accolgono a braccia aperte le catene della propria schiavitù, si rivolgono ai propri carnefici per risolvere i propri problemi. E non si avvedono che si stanno mettendo in realtà nelle mani della bestia scarlatta.

La sorte della “chiesa” delle tre bestie – il drago, la bestia che sale dal mare e la bestia che sale dalla terra – è però segnata, nonostante le sue apparenze di forza e solidità: «in uno stesso giorno verranno i suoi flagelli: morte, lutto e fame, e sarà consumata dal fuoco; poiché potente è Dio, il Signore che l'ha giudicata» (Ap. 18, 8). Sarà un crollo inatteso, repentino, che getterà nella disperazione i re della terra, i suoi mercanti, tutti quelli che trafficavano sul mare (cf Ap. 18, 9-19), i quali saranno increduli che proprio «la grande città, la potente città» (18, 10), con tutte le sue ricchezze e magnificenze, «in un attimo è stata ridotta a un deserto» (18, 19).

Ma per coloro che invece gemono a causa di Babilonia, si avvicina il momento della grande gioia e consolazione: «Rallegrati, o cielo, per la sua rovina! E voi, santi, apostoli e profeti rallegratevi perché Dio, giudicandola, vi ha reso giustizia» (18, 20).