L'ANTICIPAZIONE
Il mistero cristiano di Michail Bulgakov
Da un'analisi attenta del suo capolavoro, Il Maestro e Margherita, si può intuire tutta la fede dello scrittore russo e la sua domanda di eternità.
Cultura
10_04_2012
Anticipiamo questo articolo tratto dal numero in uscita de "La Nuova Europa", il bimestrale della Fondazione Russia Cristiana.
Michail Afanasevic Bulgakov nasce a Kiev il 3 maggio 1891 in una famiglia profondamente unita e ospitale, sempre aperta a tutti, dove si cantava e si suonava, dove la mamma era una regina luminosa e il padre era un punto di riferimento pacificante. Afanasij Bulgakov era professore di storia della teologia occidentale (esperto in anglicanesimo) all’accademia teologica di Kiev; è attraverso questa famiglia e gli amici del padre che Bulgakov conosce il cristianesimo; e anche quando la fede verrà scossa o sembrerà scomparire, la memoria di questa atmosfera e di questa gente resterà. (...)
Bulgakov non fa studi di carattere letterario, filosofico o teologico, studia medicina e diventa medico, esercitando anche la professione nei primi anni. Le esperienze di questo periodo sono conservate nei Ricordi di un giovane medico, dove tra le tante cose che il giovane scrittore ci trasmette ne ricordiamo due in particolare; innanzitutto che, per quanto i libri siano fondamentali, non ci trasmettono mai sino in fondo quella che è la vita nella sua completezza: «La mia ferita non assomigliava a nessun disegno», deve constatare sconsolato il giovane medico, così come altrove, deve ammettere che, nella realtà e dalla realtà, si impara che c’è qualcosa che nessun libro può insegnare: «Dalle parole staccate, dalle frasi lasciate in tronco, dai brevi cenni buttati là di sfuggita imparai la cosa più indispensabile, che non c’è in nessun libro». La seconda cosa che il giovane medico impara sul campo è che da solo non può salvare questa vita sorprendente; il suo compito come medico è esattamente questo, salvare la vita, ma, a differenza di quanto credono molti, conquistati dalle nuove potenzialità della scienza, lui non si fa nessuna illusione: è sempre lui e soltanto lui che deve mettersi in gioco e prendere le decisioni ultime, ma da solo non può fare nulla. (...)
Se si crede di salvare un malato o di trasformare il mondo da soli si rischi di fare degli sfracelli. È quello che è successo con la rivoluzione, ma è anche quello che Bulgakov ci suggerisce con altre due opere famose, Cuore di cane e Uova fatali, due racconti satirici o fantascientifici che in realtà sono molto di più: in Cuore di cane la pretesa del professor Preobraženskij è quella di trasformare un cane in un essere umano ma l’esito è totalmente e ridicolmente fallimentare. A questo proposito, siccome niente avviene senza una ragione o senza un motivo, va ricordato il nome del dottore, che richiama la festa della Trasfigurazione nella quale i corpi e le cose materiali vengono trasformate in luce o in corpi gloriosi, mentre qui invece abbiamo l’esatto contrario: neppure una semplice trasformazione ma addirittura una deformazione, perché il dottor Preobraženskij riesce soltanto a trasformare un simpatico cagnetto, che aveva pensieri e sentimenti umani, in un’insopportabile carogna che si comporta come un animale. Questo succede quando la realtà non ci desta più stupore ma solo pretesa di dominio, quando non si rispetta più la realtà e, per dominarla, le si preferiscono le nostre idee, o addirittura si cerca di creare una nuova realtà, modellata sulle nostre idee; è quanto succede in Uova fatali, dove l’uomo pretende di creare la vita e di sostituirsi in questo modo a Dio.
E anche qui, per capire quanto Bulgakov si diverta a farci vedere come può essere interessante la realtà se appena si cerca di andare al di là delle apparenze, varrà la pena di ricordare che il professor Persikov, scopritore del raggio rosso della vita che trasforma delle semplici lucertole in enormi mostri antidiluviani, è nato il 16 aprile 1870, cioè nello stesso anno di Lenin e nello stesso giorno in cui Lenin è tornato in Russia dal suo esilio svizzero dopo la rivoluzione di febbraio, e porta (anche lui come il professor Preobraženskij) un nome inventato ma che richiama quello reale di Abrikosov, cioè il nome del medico che eseguì l’esame autoptico sul cadavere di Lenin. Davvero tante cose succedono per caso, ma a questo punto è difficile pensare che succedano senza una ragione, anche perché, dopo aver consegnato il testo del racconto, tornato a casa, Bulgakov disse alla moglie: «Ho consegnato la mia condanna morte».
Ma se «è duro a morire lo spirito canino», come dice il cane dai sentimenti umani di Cuore di cane, che vorrebbe sfuggire al suo carnefice, altrettanto dura e «testarda» è la realtà, a dispetto di tutti i tentativi che l’uomo fa per sostituirla con le sue idee, a dispetto di tutti i tentativi che l’uomo fa per cancellare Dio come ultimo baluardo della realtà. E così arriviamo al Maestro e Margherita, con il suo inizio nel quale due scrittori, atei e comunisti, cercano disperatamente e vanamente di convincere il diavolo che Gesù non è mai esistito. In effetti, la prima idea del romanzo molto probabilmente venne a Bulgakov proprio dopo aver visto nel gennaio del 1923, in occasione del Natale ortodosso, una manifestazione nella quale veniva portato un cartello con la scritta: «Fino al 1922 Maria partoriva Gesù, nel 1923 ha partorito il giovane comunista». Ma adesso che sappiamo quanto può essere complesso, ricco di significati nascosti e sorprendente un testo di Bulgakov andiamo per gradi, tenendo presente che dopo questa prima idea passarono ancora alcuni anni prima che nel 1928 Bulgakov cominciasse effettivamente a scrivere quello che poi sarebbe stato il suo lavoro principale fino alla morte, avvenuta il 10 marzo 1940.
La prima cosa che balza agli occhi è la complessità del testo, che è costruito attorno a tre nuclei narrativi; il primo di questi nuclei è costituito dalle avventure del diavolo e dei suoi assistenti nella Mosca atea degli anni Trenta, nella quale proprio ai diavoli tocca tra l’altro di richiamare il fatto dell’esistenza di Dio e del mistero. Il secondo nucleo, quasi in contrapposizione diretta a questa violenza che non si accontentava di bestemmiare Dio ma voleva cancellarlo dalla storia, è appunto la storia di Ponzio Pilato con il processo di Cristo e la sua passione, una storia sulla quale il Maestro sta scrivendo un romanzo e che in certi momenti sembra raccontata come una cronaca da un testimone oculare d’eccezione, il diavolo stesso. Il terzo nucleo è la vicenda dell’amore di Margherita per il Maestro, uno scrittore che è stato ostracizzato proprio per aver cominciato a scrivere questo romanzo su Pilato e Gesù con le caratteristiche di un romanzo storico, cioè di qualcosa che pur in forma romanzata è realmente avvenuto; gli attacchi che ha ricevuto hanno portato il Maestro fin quasi a impazzire ed egli è arrivato addirittura a bruciare quanto aveva scritto sino ad allora (...)
Tutto dunque sembra molto casuale, sembra costruito in maniera molto casuale, ma ormai sappiamo per certo che in Bulgakov quanto più si manifesta una casualità tanto più dietro di essa si cela una ragione. Così alla fine scopriamo che davvero tutto è profondamente legato: il diavolo è venuto a Mosca per una ragione precisa, permettere al Maestro, che aveva bruciato il suo romanzo, di ritrovarlo e di terminarlo; ma grazie alla continua intercessione di Margherita, anche Pilato ha una nuova vita, dopo che da duemila anni si tormenta per aver lasciato condannare Cristo e per aver rinunciato in questo modo a continuare ad ascoltare quel personaggio misterioso, colui che alla sua domanda su cosa fosse la verità non aveva risposto con un discorso ma anzi lo aveva fatto uscire dal piano dei discorsi e lo aveva riportato alla realtà, «la verità è che ti fa male la testa», gli aveva detto, e in questo modo, rivelandogli la realtà come nessun altro, aveva destato in lui uno stupore che nulla avrebbe mai più potuto cancellare.
Ma a questa conclusione, a questo stupore di fronte alla realtà e alla sua irriducibilità siamo portati per gradi, attraverso dei segni che sono disseminati in tutto il testo, per come è costruito e per quello che dice. Innanzitutto vediamo come è costruito il testo; infatti, trattandosi di un’opera d’arte, la forma è decisiva per capire il contenuto: il modo in cui viene costruito il testo, il modo in cui vengono dette le cose ci mette nelle condizioni di capire cosa viene detto. Lo stupore, il senso del mistero, la coscienza che il reale è irriducibile a quello che noi pretendiamo di sapere si fa strada sin dalle prime righe del romanzo, quando si cerca di capire in che anno si svolga; per certi versi è tutto chiarissimo, siamo in una settimana di Pasqua che cade agli inizi di maggio, il che in base al calendario ci fa dire che può trattarsi solo del 1929: anno perfettamente scelto, siamo agli inizi della «grande svolta», quando il percorso di distruzione della realtà da parte del regime prende una via sempre più violenta, quando il movimento dei Senza Dio che aveva organizzato la processione blasfema di cui parlavamo prima si era ribattezzato Lega dei senza Dio militanti.
In realtà le cose si presentano in maniera molto più complessa e, a dispetto del calendario, Bulgakov fa in maniera che quella data possa essere contemporaneamente un’altra data. Così, nel romanzo non è stata ancora distrutta la chiesa di Cristo Salvatore (fatta abbattere da Stalin nel 1931), ma sono già stati introdotti i passaporti (cosa che avvenne solo nel 1932), si circola già in filobus (il che si verificò solo a partire dal 1934) e sono già state abolite le tessere annonarie (soppresse in realtà solo nel 1935). E la stessa indeterminatezza riguarda anche i luoghi, poiché nel terzo capitolo si vede un tram correre lungo strade (il vicolo Ermolaevskij e la via Bronnaja), descritte minuziosamente, e che Bulgakov conosceva benissimo, ma per le quali non era mai passato nessun tram. A questo punto si può pensare che siano particolari che il lettore normale non nota e che comunque può trattarsi di semplici errori. Sulla prima osservazione diciamo che forse oggi il semplice lettore queste cose non le sa, ma le sapevano benissimo quelli per cui Bulgakov scriveva. Sulla questione degli errori diciamo invece che sembra difficile che uno che si documentava sulla questione del significato dei numeri con una meticolosità incredibile caschi poi su delle cose così banali. È più credibile che lo faccia apposta proprio per non permetterci di essere sicuri, per farci riconoscere che la realtà è sempre «questo» e «non questo».
In base a che cosa posso permettermi di dire che questa ipotesi è più attendibile? Lo dico con attendibile certezza perché risulta dai fatti: in una delle prime versioni noi eravamo ancor più sicuri che la data fosse il 1929 perché ad un certo punto si diceva che Kant era morto 125 anni prima dello svolgimento dei fatti (1804 + 125 = 1929); poi questa cifra così esatta era stata cambiata con un più vago «oltre cento anni»: a questo punto il lettore non avrebbe più potuto fare conti esatti e tra calendario, passaporti, tessere e tutto il resto noi siamo costretti a dire che davvero era quell’anno ma forse non lo era: ci resta solo la curiosità e lo stupore. Non si creda mai dunque di possedere la realtà; dopo avercelo suggerito con la forma del testo, Bulgakov può dircelo anche esplicitamente.
Proprio nel primo capitolo del romanzo abbiamo i due scrittori atei e comunisti che cercano di convincere uno sconosciuto (che poi si rivelerà essere il diavolo) che Dio non esiste; a questo punto è il diavolo a prendere le difese di Dio ma, facendolo, non si serve mai di discorsi teorici, come le prove dell’esistenza di Dio ad esempio, e ricorre invece sempre alla realtà e all’esperienza, un’esperienza che l’uomo non può possedere sino in fondo e che quindi rimanda continuamente a qualcosa d’altro. Ma leggiamo innanzitutto il testo; dice dunque il diavolo: «Ecco la questione che più mi turba: se Dio non esiste, chi dirige dunque la vita umana e tutto l’ordine che regna sulla terra? – È l’uomo stesso a dirigerli, gli rispose il poeta. – Ma scusi, replicò gentilmente lo sconosciuto, per dirigere bisogna pur avere un piano preciso, e per un periodo di tempo ragionevole. Mi permetta di chiederle in che modo l’uomo potrebbe dirigere se non solo non è in grado di predisporre un piano qualsiasi neppure per un lasso di tempo ridicolmente breve come, diciamo, mille anni, ma non è addirittura sicuro del proprio domani... Sì, l’uomo è mortale, ma questo sarebbe un male da poco. Il peggio è che talvolta è mortale all’improvviso, ecco il punto! E non è neppure capace di prevedere quello che farà la sera. – Beh, questo poi è esagerato. So per filo e per segno cosa avverrà stasera. Certo che se in via Bronnaja mi cade una tegola sulla testa... – Una tegola, intervenne lo straniero in tono suadente, non cadrà mai così senza una ragione; nel nostro caso le assicuro che non corre questo rischio. Morirà di altra morte».
Lo scrittore ateo non crederà a questo avvertimento, crederà di sapere tutto sulla realtà e, come già sappiamo, gli mozzeranno la testa. A questo punto la prova della realtà è molto più convincente di qualsiasi discorso. Così, quando i tre si mettono a discutere delle prove dell’esistenza di Dio, il diavolo può contestarle e riderne, esattamente come gli atei, pur essendo assolutamente convinto di questa esistenza e senza rinunciare assolutamente a questa certezza; proprio per questo quando uno dei due scrittori gli dice: «Vede, professore, noi rispettiamo il suo vasto sapere, ma al proposito ci atteniamo a un punto di vista diverso», il diavolo ribatte: «Non c’è bisogno di nessun punto di vista, è esistito e basta!», e comincia a raccontare gli eventi del processo di Gesù esattamente come un testimone oculare, come uno che può dire: «io c’ero». E qui c’è l’ultimo passo che dobbiamo compiere: il fatto che non possiamo pretendere di possedere e dominare la realtà, il fatto che non possiamo pretendere di conoscere la realtà fino in fondo non significa che la verità non esista o che noi non possiamo conoscerla in nessun modo. È qui che appare l’importanza della figura di Pilato, attraverso il quale si fa strada un rapporto con la verità tutt’altro che scettico.
Se la verità non è riducibile a una delle nostre idee sulla realtà e non è in generale un discorso, nella versione che Bulgakov dà della tradizionale domanda scettica di Pilato, rimasta senza risposta, si fa strada qualcosa di diverso; come ho già detto, Gesù non risponde con un discorso, ma con un dato reale che nessuno oltre a Pilato può conoscere: «La verità è che ti fa male la testa». Questa risposta sorprendente e del tutto imprevedibile, ma che corrisponde perfettamente all’esperienza di Pilato, apre nel cuore del procuratore, come nel cuore di ogni uomo, lo spazio di una domanda e di un desiderio, quello di continuare a parlare, di riprendere a camminare, con quell’essere eccezionale attraverso il quale la realtà viene svelata in maniera altrimenti impossibile e restituita all’uomo secondo una pienezza che non pretende di chiudere il discorso o di interrompere il cammino, ma anzi esige di continuarli per l’eternità.