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RIFLESSIONI SULL'INCONTRO DI BARI

Il miracolo ecumenico per il Medio Oriente in agonia

Dall’incontro di Bari resta un lascito di doni alla Cristianità: la ricchezza inestimabile dell’unità della Chiesa, il valore della preghiera nel segno di San Nicola e l’invocazione “Su te sia pace” per un Medio Oriente cristiano che però resta in agonia. Tra tragedie, persecuzioni e “l'indifferenza che uccide”. E’ destinata quindi a restare soltanto un auspicio l’affermazione sui cristiani cittadini a pieno titolo perché l'Islam non potrà mai concepire questo concetto. 

Editoriali 09_07_2018

La chiave di lettura dello straordinario evento storico di Bari l’ha data chi lo ho promosso e realizzato, papa Francesco, che ha riunito sabato a Bari – come mai era prima accaduto – i patriarchi, o i loro rappresentanti, di tutte le Chiese cristiane, non solo cattoliche e ortodosse, ma anche monofisite e nestoriane. E li ha convocati attorno alle reliquie, custodite e venerate in Occidente, di san Nicola, il santo dei miracoli più venerato in Oriente perché interceda il ristabilimento della pace nella regione culla della Cristianità, il Vicino e Medio Oriente, che sono “in agonia”.

“Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia”, ha detto testualmente, “come nella notte angosciosa del Getsemani”.  E però – ecco l’altra chiave di lettura – “non saranno la fuga o la spada ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore”. Parole che espresse, davanti alla Basilica, al termine del dialogo a porte chiuse dei partecipanti all’incontro, condensano non solo la loro testimonianza di fede, la tragicità del momento, le loro sofferenze fino al martirio ma anche la certezza della speranza cristiana, nonché la condivisione della necessità della preghiera. Quella che essi hanno fatto insieme, prima accostandosi al sepolcro di San Nicola e venerandolo, poi uniti a decine di migliaia di fedeli durante una indimenticabile cerimonia liturgica – arricchita da Lettere di San Paolo, dal Vangelo delle Beatitudini, dalla recita del Padre Nostro – in un piazzale della città affacciato sul mare Mediterraneo, lo stesso che bagna le sponde della loro regione.

Perché torni ad essere “mare di pace”. L’incontro è stato ricco anche di altri simboli e segni, come l’accensione della lampada uniflamma sul sepolcro di san Nicola (è al centro di una artistica barca in miniatura) e delle candele di ogni celebrante a conclusione della preghiera sul lungomare, nonché il rilascio al volo di 21 bianche colombe al momento del commiato dalla Basilica. Ma ha tanto impressionato il viaggio sullo stesso autobus, aperto sulle fiancate, di tutti i leader religiosi; il loro stare insieme, muoversi insieme, parlare insieme, abbracciarsi fraternamente. Una ridda di emozioni ecumeniche al di là di ogni attesa, tanto da far avvertire gioia e nostalgia e lasciar prevedere che dovrà essercene un altro, e poi, chissà, un altro ancora …  Il passo avanti del processo volto alla ricomposizione dell’unità dei cristiani, è indubbio. Certo è affidato al Signore, ma “è stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità”, ha detto papa Francesco.

Egli ci chiama a piegarci sull’ “agonia” incombente del Medio Oriente, a riflettere su questa convocazione al suo capezzale, a invocare l’intercedente, il santo taumaturgo Nicola, all’urgenza della preghiera. E riferisce che a Bari sono stati affrontati i nodi politici di una situazione angosciosa, tragica, dominata dalla “indifferenza che uccide”, così perversa da far sgorgare un grido di dolore, un “Basta”, ripetuto più volte: alla “guerra figlia del potere e della povertà”; alle “logiche di supremazia” alla “violenza che si alimenta delle armi”.  Dietro ognuna di queste denunce, sullo sfondo del conflitto in Siria, è facilmente individuabile una precisa responsabilità; ma su quest’ultima papa Francesco ha “alzato la voce” per sottolineare che “è gravissima e pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti”. Non parla di ipocrisia ma essa è evidente quando “si alza la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo”. Ed ancora “Basta” alla “sete di guadagno che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli”.  “Basta” usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente”.

Naturalmente molto forte è stata la denuncia delle “forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, bestemmiano il nome di Dio che è pace e perseguitano il fratello che da sempre vive accanto”.  Come trepidante, accorata è stata la rappresentazione delle sofferenze dei bambini, le loro grida e il pianto di dolore nelle famiglie per le morti violente, gli esodi forzati, le distruzioni e le macerie attorno. “É asciugando le loro lagrime che il mondo ritroverà dignità” dirà il Papa alla fine del suo resoconto nell’auspicio, nell’anelito, nella visione di un Medio Oriente ben diverso dall’attuale: “Non sia più, afferma, un arco di guerra tra i continenti, ma un’arma di pace per accogliere i popoli e le fedi”. 

Ma alcune richieste, pur giuste e condivisibili, sono ben lontane dalla realtà con la quale i cristiani si sono dovuti confrontare da secoli, da quando sono stati costretti dall’Islam a divenire minoranza e ad essere privati dei diritti riservati ai suoi fedeli. E’ destinata quindi a restare soltanto un auspicio l’affermazione: “Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti” negli stati musulmani della regione. Alla stessa stregua resta lontana e problematica la soluzione del conflitto in Terra Santa continuando a vigere tra i musulmani palestinesi, che sono maggioranza, il precetto di non accettare il potere politico di una nazione non islamica sulla terra conquistata, e “per sempre”, da un combattente islamico. E così pure il loro rifiuto di nemmeno condividere con altri, la sovranità musulmana esclusiva su Gerusalemme, loro città santa (Al Quds) per antonomasia.  

Significativo comunque il fatto che il dialogo a porte chiuse nella Basilica di San Nicola è stato introdotto dall’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore del Patriarcato latino di Gerusalemme, gran conoscitore della regione perché è stato per più mandati Custode francescano di Terra Santa e prima ancora parroco della principale comunità cattolica ebraica (ne parla correntemente la lingua).  E’ auspicabile, ed anche attesa, la pubblicazione del suo contributo, che parecchie testimonianze affermano essere stato molto apprezzato, soprattutto per conoscere le strategie di azione suggerite, anche in campo ecclesiale.  

Piuttosto dall’enfasi posta da papa Francesco sulle sofferenze delle popolazioni tutte della regione (dei bambini non solo, anche delle donne e degli anziani), indipendentemente dalla loro confessione religiosa, si è colta l’ipotesi che la diplomazia pontificia intenda impegnarsi con le potenze implicate in Medio Oriente sulla soluzione delle problematiche umanitarie generali, non soltanto di quelle volte a scongiurare la minacciata sopravvivenza delle comunità cristiane.  La loro scomparsa, è stato ricordato, “deturperebbe il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente”.  Da sempre la Santa Sede monitorizza la loro situazione attraverso la Segreteria di Stato e la Congregazione per le Chiese Orientali; mentre un apposito organismo di questo dicastero (la Roaco, che accoglie pure associazioni ed enti di Chiese locali, fra l’altro tedesche e statunitensi) è impegnato a sovvenire alle loro necessità. Non va dimenticato che nel 2010 papa Benedetto XVI riunì una speciale sessione del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente.

Dall’incontro di Bari resta un lascito di doni alla Cristianità tutta: la ricchezza inestimabile dell’unità della Chiesa nella varietà dei riti e tradizioni e nella fraternità dei loro capi;  il valore della preghiera  (“il più grande potere per tirarci fuori da ogni problema, risolvere i conflitti e illuminare il nostro futuro nella pace e nella riconciliazione” ha detto il patriarca Tawadros II); l’invocazione “Su te sia pace” per il Medio Oriente, ma correlata dal Salmo 121a Gerusalemme, ripetuta più volte dal Papa insieme con i ragazzi che erano davanti a lui e alla Basilica di san Nicola, modello della Chiesa indivisa (così lo esalta il suo più noto studioso di oggi, il padre domenicano Gerardo Cioffari).