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BONAFEDE VS DI MATTEO

Il ministro e lo scontro col pm: è pandemia giustizialista

Lo scontro tra il ministro Bonafede e il pm Di Matteo mostra uno scenario di rivalità e faziosità nel “granitico” giustizialismo 5 Stelle. Tra i due uno è di troppo e ha sbagliato, in ogni caso lo scontro è l'ennesimo episodio che fa a pezzi l’autorevolezza della politica e la neutralità del potere giudiziario.

Politica 06_05_2020

Alle guerre sotterranee tra magistratura e politica abbiamo fatto il callo. Che però, perfino all’interno del fronte giustizialista, si aprissero delle crepe nessuno avrebbe potuto prevederlo, almeno fino a qualche settimana fa.

La scarcerazione di alcuni boss mafiosi ha scoperchiato il Vaso di Pandora dei veleni che dominano le relazioni tra alcune toghe e il Ministero di via Arenula e ha riportato le lancette dell’orologio a epoche che credevamo definitivamente archiviate. Sullo sfondo rivalità e faziosità, che finiscono per fare a pezzi l’autorevolezza della politica e la neutralità del potere giudiziario.

E non è escluso che dopo la pandemia da Covid-19 possa anche scoppiare una pandemia giudiziaria, col rischio che a farne le spese sia lo stesso Governo. Ma prima i fatti.

Domenica sera, su La 7, nella sua trasmissione “Non è l’Arena”, Massimo Giletti ha dedicato ampio spazio al tema della scarcerazione dei mafiosi a seguito dell’allarme Covid-19 e delle misure di contenimento legate ai rischi per la salute dei detenuti (peraltro l’aveva già fatto in puntate precedenti), raccontando fatti ed esibendo documenti.

Nel mirino il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sotto accusa per le decisioni prese dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) sulle scarcerazioni di alcuni boss mafiosi, che hanno portato alle dimissioni di Francesco Basentini, ex direttore del Dap. Giletti, domenica sera, ha fatto nomi e cognomi di personaggi legati alla criminalità organizzata, che da qualche giorno si trovano in regime di detenzione domiciliare.

A un certo punto, però, durante la puntata in diretta, il magistrato Nino Di Matteo, che era tra i papabili per prendere il posto di Basentini, è intervenuto con una telefonata a sorpresa raccontando la sua versione di quanto successo nel 2018, quando Francesco Basentini, ora sostituito da Dino Petralia, venne nominato capo del Dap: «Venni raggiunto dalla telefonata del ministro Bonafede, il quale mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, o in alternativa quello di direttore generale degli affari penali. Io chiesi 48 ore di tempo. Avevo deciso di accettare, ma il ministro improvvisamente ci ripensò».

A quanto pare, l'offerta fu ritirata dopo la reazione di alcuni boss detenuti al 41 bis che, intercettati, avevano espresso preoccupazione per la nomina. Subito dopo la sortita a effetto di Di Matteo, il Ministro Bonafede ha a sua volta chiamato in diretta, dicendosi “esterrefatto”, perché la circostanza che lui avrebbe cambiato decisione dopo aver saputo dell'intercettazione («che peraltro era già stata pubblicata») «non sta né in cielo né in terra».

Bonafede ha aggiunto che l'incarico di capo degli affari penali che Di Matteo ha poi rifiutato, «non era un ruolo minore, ma più di frontiera nella lotta alla mafia. Lo stesso incarico che ricoprì Giovanni Falcone» e ha precisato che forse di Matteo «nella sua intima percezione si è convinto di qualcosa che non era». Di Matteo ha concluso: «Vedo che il ministro non ha potuto che confermare quello che ho detto. D’altra parte, io ho raccontato i fatti, e i fatti non si possono smentire».

All’epoca Di Matteo restò colpito dal cambiamento della proposta, perché il Ministro chiuse la telefonata dicendo «scelga lei». Era pronto a dare una risposta positiva, ma nel frattempo il Ministro ci aveva ripensato o qualcuno lo aveva indotto a ripensarci, ma questo, ha sostenuto Di Matteo, «non lo posso sapere».

A questo punto, occorre farsi alcune domande, visto e considerato che Di Matteo è amato dei grillini e che Bonafede rappresenta l’ala più giustizialista del Movimento pentastellato.

Perchè Di Matteo ha raccontato tutto questo solo ora? Non si è reso conto che in questo modo ha messo in difficoltà il Ministro? Ci voleva la pandemia, con la conseguente scarcerazione di alcuni capi mafia, a scatenare il suo risentimento verso Bonafede? Si stanno creando nuovi equilibri all’interno del mondo grillino?

Come ha giustamente scritto sul “Giornale” ieri Alessandro Sallusti, «i casi sono due: o Di Matteo mente (e in tal caso andrebbe rimosso dalla magistratura) o Bonafede, che è anche capo della delegazione Cinque Stelle al Governo, deve essere allontanato e messo sotto processo con tutte le conseguenze che ne derivano». È incredibile, ha scritto nel suo editoriale il direttore del quotidiano milanese, «trentamila morti di virus, tre milioni di nuovi disoccupati, libertà sospese, ma ancora una volta il destino dell'Italia e dei suoi governi rischia di ruotare attorno alla mafia e agli intrighi degli antimafia. E dire che questo doveva essere il tempo della svolta». Anche secondo Sallusti, quindi, dietro questo caso potrebbe nascondersi una "resa dei conti tra giustizialisti".

Massimo Giletti è stato accusato di aver esagerato nelle insinuazioni a carico del Ministro e per questo ha ricevuto la solidarietà di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. «Attacchi e insulti a Massimo Giletti, il tutto per aver semplicemente svolto con professionalità il suo lavoro da conduttore e giornalista. Forza Massimo, gli insulti e gli attacchi gratuiti non ti fermeranno», ha scritto la leader di Fratelli d’Italia in un tweet. Matteo Salvini ha ribadito la sua stima nei confronti del professionista di La7: «Tutto il mio sostegno a Massimo Giletti, uomo e giornalista libero». Tutto il centro-destra chiede le dimissioni di Bonafede, mentre il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, conferma di avere "piena fiducia" in lui.

Sulla stessa linea Luigi Di Maio, ma anche il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, che però chiede chiarimenti. Invoca "la verità" Matteo Renzi, «prima di parlare di mozioni di sfiducia». «Voglio vedere se è un regolamento di conti»,  insiste il leader di Italia Viva, secondo cui la vicenda «rischia di essere il più grave scandalo giudiziario degli ultimi anni».

Certo è che Di Matteo è componente del Consiglio superiore della magistratura, che deve garantire l’indipendenza e l’autonomia delle toghe. Se uno come lui sconfessa l’operato del Ministro, un problema di trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica esiste. E va affrontato. Per la credibilità del potere giudiziario e per allontanare una volta per tutte i sospetti di arrendevolezza dell’attuale Guardasigilli (e del Movimento Cinque Stelle) nei confronti della malavita organizzata.