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DISINFORMAZIONE

Il "ministero della verità" di Biden è un pericolo

L’amministrazione Biden ha annunciato la nascita del Disinformation Governance Board (Dgb), un nuovo organismo governativo, dipendente dal Dipartimento per la Sicurezza Interna. Dovrà combattere la disinformazione. Ma le premesse sono abbastanza inquietanti. Potrebbe essere a rischio anche la libertà di religione. 

Editoriali 05_05_2022
Grande Fratello

L’amministrazione Biden ha annunciato la nascita del Disinformation Governance Board (Dgb), un nuovo organismo governativo, dipendente dal Dipartimento per la Sicurezza Interna (equivalente del nostro Ministero dell’Interno). Come dice il nome stesso, il nuovo organismo è un consiglio che deve gestire, leggasi reprimere, la disinformazione. Lo scopo dichiarato è quello di “contrastare la disinformazione riguardante la sicurezza interna, con particolare attenzione all’immigrazione irregolare e alla Russia”.

Due stranezze già nell’annuncio. La Russia, prima di tutto, è un problema internazionale e non interno. A meno che non si consideri la questione russa come “manipolazione delle elezioni”, dunque il ricorrente sospetto su Donald Trump, su cui si era incagliata l'inchiesta Russiagate. Sulla questione immigrazione, invece, non c’è dubbio che si tratti di una questione interna agli Usa, ma perché essere allarmati sulla disinformazione? Finora, se l’opposizione ha lamentato qualcosa sulla gestione della gravissima crisi al confine con il Messico, è semmai il silenzio dei media, accompagnato dall’assenza, per mesi, di Biden e della vicepresidente Kamala Harris nelle aree di crisi. Solo in estate, dopo sei mesi dall’insediamento della nuova amministrazione, si è mosso qualcosa. Il sospetto dell’opposizione, più che fondato, è che il nuovo organo di controllo governativo serva soprattutto a censurare le brutte notizie sull’immigrazione illegale e sulla sua gestione.

Il nuovo Dgb non è affatto imparziale, nasce con un vertice di nomina presidenziale. La sua futura direttrice, Nina Jankowicz, ha contribuito all’insabbiamento dello scoop del New York Post sul caso Hunter Biden, un sospetto di corruzione del figlio dell’allora candidato presidente. Di quelle prove, trovate sul pc portatile di Biden jr, la Jankowicz diceva che fossero “un prodotto della campagna di Donald Trump”. Durante lo stesso periodo, affermava che la sfiducia crescente degli americani nei media, fosse “alimentata dai continui attacchi dell’amministrazione Trump” e non dal calo di qualità o dall’ideologizzazione dei media stessi. Sulla polarizzazione della politica americana: “Finché non mitighiamo la nostra polarizzazione politica, sulle nostre questioni politiche interne, continueremo ad essere facile preda per ogni attore ostile che voglia manipolarci, russo o iraniano, interno o estero”. Anche questa è un’affermazione solo apparentemente di buon senso (“state buoni, perché i nemici sono ben altri”), ma in realtà è quanto di meno democratico si possa dire, perché è un argomento con cui si può sopprimere ogni dissenso.

Solleva dubbi anche il tempismo di questo annuncio. Si potrebbe pensare che sia legato alla guerra in Ucraina. Ma la coincidenza temporale vera è quella dell’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk e la sua promessa di lasciare più libertà di espressione nel grande social network. Quel che tutti temono realmente è il ritorno di Donald Trump, che fino al giorno della sua espulsione, era un grande twittatore. Ed ha vinto le elezioni anche per quel motivo. Si tratterebbe dunque di una contromossa dell’amministrazione Biden per prevenire il ritorno in scena del grande avversario?

Potenzialmente, il Dgb, che gli oppositori conservatori già chiamano (citando Orwell) il “ministero della verità” è molto più pericoloso per la libertà di religione e di espressione, che non per le questioni di lotta politica contingenti. Il problema vero è la sua stessa istituzione. Un governo ha, nelle sue mani, il potere di silenziare una parte del dibattito. E lo fa sulla base di una definizione governativa, dunque inevitabilmente arbitraria, di vero e falso.

Cosa potrebbe essere tacciato di disinformazione, nel prossimo futuro? Il dibattito che sta gonfiandosi riguarda l’aborto. I fact checkers si erano già battuti, con metodi molto ideologici (aggrapparsi a dettagli e tecnicismi per tacciare di disinformazione chi diceva l’ovvio), per difendere a spada tratta i governi locali democratici che avevano legalizzato l’aborto tardivo. In quel dibattito, già solo chi parlava di “aborto tardivo” veniva accusato di fare disinformazione. Possiamo solo immaginare come verranno trattati i pareri contrari alla sentenza Roe vs. Wade (che ha di fatto legalizzato l’aborto nel 1973) nei prossimi mesi ed anni.

Ci saranno infiniti casi simili e bisogna anche tener conto di un pericolo di fondo: agli occhi di un laicista, la fede in sé è disinformazione. Anche se nessun intellettuale affronta apertamente la questione in questi termini, si moltiplicano gli articoli, anche scientifici (come questo), per cercare di dimostrare che alla base delle fake news di destra ci sia la fede cristiana. Per questo non resta che sperare che il governo americano non dimentichi il Primo emendamento della Costituzione: quello che difende sia la libertà di religione che quella di espressione.