Il medico: tra eroicità e riconoscimento del limite umano
Nella letteratura, così come nella realtà, alcuni dottori profondono tutto il loro impegno nella cura degli ammalati oppure per debellare malattie o pandemie. Taluni hanno dato la vita nell’adempimento di questa missione...
Nella letteratura, così come nella realtà, alcuni dottori profondono tutto il loro impegno nella cura degli ammalati oppure per debellare malattie o pandemie. Taluni hanno dato la vita nell’adempimento di questa missione.
Altri hanno, invece, violato il giuramento di Ippocrate e la deontologia. Uno dei casi più illustri nella narrativa italiana del Novecento è la figura del dottor S., il medico che ha in cura Zeno Cosini (protagonista de La coscienza di Zeno) che decide di sospendere la psicoanalisi. Il dottore decide allora di pubblicare per vendetta le memorie del paziente nella speranza di arrecargli dispiacere, disposto a dividere con Zeno i guadagni del libro, nel caso in cui lui riprenda la terapia.
Ad udire le parole del dottor S. qualsiasi lettore prova antipatia nei suoi confronti, vedendo in lui rappresentato in maniera iperbolica il medico che pensa solo ai propri interessi personali e che non ha davvero a cuore l’ammalato.
Al contrario del dottor S., il dottor Rieux (in La peste di Albert Camus) e Albert Schweitzer (in È mezzanotte, Dottor Schweitzer di Gilbert Cesbron) sono due medici che profondono tutto il loro impegno per la cura degli ammalati e il superamento di condizioni igienico-sanitarie estreme.
Nel romanzo La peste, Camus descrive la vita dell’uomo nella iperbolica condizione della città di Orano, dove si diffonde gradualmente il morbo mietendo morte senza che nessuna autorità voglia riconoscerlo. Il male e la distruzione devastano quelle che sembravano isole di felicità mostrando all’uomo il volto di un destino cui non ci si può contrapporre.
Unica posizione umana auspicabile è quella del dottor Rieux che combatte in maniera energica non per sé, ma per tutti, fino a che il morbo non è debellato. Ma è una vittoria momentanea. Senza un senso e un Mistero che possano dare significato a tutto, anche al male, alla sofferenza e al dolore, anche la lotta più indefessa assume i contorni di un titanico agire contro una forza più grande di noi. Questo è il trionfo dell’assurdo, perché non c’è sforzo umano che possa dare consolazione da solo di fronte alla morte.
Per Camus Sisifo, condannato dagli dei a far risalire su un monte un macigno per l’eternità procrastinando per sempre la sua inutile fatica, senza sosta, diviene simbolo della condizione esistenziale dell’uomo. Non c’è nulla di più assurdo che lavorare e faticare senza ottenere mai alcun esito dalle proprie azioni.
Camus reinterpreta il mito considerando Sisifo addirittura felice: «Tutta la silenziosa gioia di Sisifo sta in questo. Il destino gli appartiene, il macigno è cosa sua […]. L’uomo assurdo, quando contempla il suo tormento, fa tacere gli altri idoli […]. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice».
Perché, ci chiediamo noi, Sisifo dovrebbe essere felice? Per il suo sterile lavoro, perché è cosciente del suo destino, perché opera in maniera indefessa senza uno scopo? Potremmo più facilmente rispondere che l’assenza di una ragione per cui lavorare, faticare e alzarsi al mattino può solo rendere la vita disperata e tragica. Nonostante la sua titanica fatica, Sisifo non giungerà mai neppure alla perfezione, cioè al compimento, perché la sua opera non si concluderà mai. Ecco perché, sostiene Camus, la reazione più naturale a tale condizione esistenziale è quella della rivolta, della ribellione.
Nel dramma teatrale È mezzanotte, Dottor Schweitzer il protagonista Schweitzer, musicista, medico, di confessione protestante, è tutto animato dal desiderio che la sua vita sia ben vissuta. Ha abbandonato la possibilità di carriera e di successo, partendo come missionario per l’Africa ove ha fondato un ospedale a Lambarené nel Congo francese. Sacrifica la sua vita, ma non è felice, perché non riesce a conseguire i risultati aspettati. Il dottore si sente sconfitto perché si rende conto che non è cambiato quasi nulla negli anni trascorsi in quel paese. Mosso da una forte pretesa sull’esito delle sue azioni, vorrebbe che esse cambiassero al momento la situazione.
Alla figura di Schweitzer, animata dal desiderio di cambiare la realtà e intristita dagli esiti negativi del suo infaticabile operato, si contrappone un padre missionario di nome Carlo, che continua ad essere lieto, malgrado abbia accumulato tanti fallimenti e non abbia convertito nessuno. Il tempo, lui lo sa bene, non è nostro («Si fa del bene nella misura di ciò che si è… Occorre che lavori ancora alla mia conversione personale prima di pretendere…»). Il significato del tempo si comprende meglio nella preghiera piuttosto che nell’azione e si può rinascere in ogni momento.
Padre Carlo è cosciente che Dio «quando ci impegna per la sua lotta, ci prende come siamo tutti interi: il buono e il cattivo. Se metti un ceppo al fuoco, tutto brucia: anche i vermi che lo divorano». Non si può mai costruire qualcosa di grande quando si opera contro qualcosa (la fame, la povertà, l’ignoranza,ecc.), solo quando si lavora per qualcuno si opera davvero. «L’eroismo consiste nel credere ancora all’idea dopo che si è visto gli esseri miserabili che la incarnano». L’errore dell’uomo è spesso nella sua presunzione che lo porta a voler essere perfetto, buono, e non a desiderare di essere santo.
Padre Carlo porterà sul volto i segni della letizia anche una volta assassinato nella boscaglia. Nelle sue mani viene ritrovato un foglio con la scritta «Vivere come se oggi tu dovessi morire martire!».
Alla fine del dramma, poco prima di essere arrestato e di dover così terminare la propria opera, il dottor Schweitzer deve riconoscere che gli sforzi umani sono sempre inadeguati e che non può che affidare ed offrire le sue azioni a Dio:
Dio mio, rimetto tutto questo fra le sue mani: trecento malati guariti – e anche un morto – io non sono che un uomo! Dovrei accettare questo destino e rimettermi a Te in completa fiducia; mentre soffoco di amarezza e di angoscia, perché non sono che un uomo!
Insegnava sant’Ignazio de Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio».