Il lavoro, compimento della Creazione
Ascolta la versione audio dell'articolo
Sin dalle origini l’uomo riceve il compito di trasformare la terra, sviluppandone le potenzialità e collaborando all’azione di Dio che trae l’ordine dal caos. Nella festa di San Giuseppe Lavoratore pubblichiamo un estratto dal numero in corso de La Bussola Mensile.

Leggendo i due racconti della Creazione presenti nella Genesi, il libro che apre la Rivelazione di Dio all’uomo, apprendiamo la positività dell’azione creativa di Dio che con la sua Parola dà vita, forma e bellezza a tutto il mondo visibile, trasformando il caos primordiale in un cosmos, in un mondo ordinato. Eppure simultaneamente emerge che un mondo senza l’uomo è ancora incompleto: un luogo senza presenza, senza parola, senza iniziativa, senza storia, senza qualcuno che lo possa custodire e tirarne fuori le potenzialità, mediante l’uso dell’intelligenza e dell’amore.
Lo si capisce da un piccolo particolare: «non vi era uomo che coltivasse la terra» (Gen 2,5). Un mondo senza l’uomo soffre quindi ancora di una mancanza ed ecco giungere la decisione divina: «Facciamo l’uomo», che suona come il “compimento” della creazione stessa.
A lui Dio affiderà il compito di popolarlo: «siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra» e di prendersene cura: «lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,8.15) per poterne così godere i frutti.
Seppure manchi esplicitamente la parola “lavoro”, è di questo che si sta trattando. È con la comparsa dell’uomo e della donna che l’aspetto geografico della creazione si arricchisce di quello storico: sulla terra si delinea l’impronta dell’uomo, con i suoi bisogni e desideri con cui trasformare la terra, rendendola da selvaggia ad accogliente, da sterile a feconda, da impenetrabile ad aperta ai passi dell’uomo.
Il lavoro nasce con l’uomo e ne contraddistingue l’umanità, e diviene espressione della sua iniziativa intelligente che vede lo spirito e la mano procedere di pari passo e poter così raccogliere i i frutti della terra, cacciare, pescare, coltivare, allevare oltre che costruire un riparo per la sua famiglia.
Nella misura in cui lo sforzo umano non distrugge la natura ma la rispetta e la fa crescere, esso manifesta l’obbedienza al compito ricevuto da Dio e diviene a pieno titolo suo collaboratore.
È questo legame verticale ad impedire che il lavoro sia fine a se stesso e per ricordarlo il Signore conclude l’atto creativo con il giorno di riposo, durante il quale l’uomo è chiamato a distogliere la proprie mani dal lavoro quotidiano per volgerle verso l’alto, in preghiera verso di Lui, per ringraziarlo per tutti i suoi doni (...). Il riposo è quindi il tempo donato all’uomo per non trasformare il lavoro in un idolo e restituisce l’uomo a se stesso, alle persone a cui vuole bene, alla sua famiglia e ai suoi amici, a tutte quelle relazioni che si pongono oltre i rapporti economici. (...)
Minare il rapporto con Dio significa aprire il mondo del lavoro a tutta una serie di squilibri che travolgono ogni altro rapporto, a cominciare da chi ci sta più vicino, fino a dimenticare di riconoscerlo come un “fratello”: «sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9) è la protesta stizzita che sale dalle labbra invidiose di Caino dopo aver tolto la vita ad Abele.
La storia si sviluppa tra fedeltà ed infedeltà del popolo e tuttavia, nonostante queste ultime, Dio resta fedele alle sue promesse, non lo abbandona mai e continua ad assisterlo con la Sua presenza e lo accompagna nel grande esodo che lo porterà dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà nella terra promessa. In questo duro cammino nel deserto, la Sua presenza è in quell’Arca dell’Alleanza nella quale sono custoditi i segni più sacri che lo riguardano: le tavole della Legge, la verga di Aronne e la manna (Es 25, 10-22).
Per quanto riguarda l’oggetto del nostro contributo, è interessante ricordare come il lavoro se ha il compito di rendere gloria a Dio, non può non estendersi all’ambito propriamente liturgico e cultuale. Prova ne è la meticolosità e la precisione assoluta che Dio chiede per ogni dettaglio dell’Arca dell’Alleanza: niente va lasciato all’improvvisazione e alla creatività umana, poiché ogni cosa viene indicata, prescritta, misurata. I gesti e tutto il “servizio” religioso devono rispecchiare la perfezione, la bellezza e l’armonia che appartengono a Dio stesso per cui la loro fedele osservanza mostra la serietà del rapporto autentico con Dio.
Quest’attenzione affinché tutto ciò che riguarda il culto sia compiuto con la massima responsabilità la notiamo anche nella costruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Salomone, costruito con il pregiato legno di cedro e con pietre ricoperte da oro lavorato in placche, al fine di dare quella magnificenza e sontuosità che devono appartenere alla vera casa di Dio. (...)
Poiché tutto ciò che il Verbo assume dell’umano è salvato, il Nuovo Testamento e la figura stessa di Gesù non fanno che consacrare definitivamente il lavoro. Gesù infatti per i primi trent’anni della sua vita nascosta non disdegnò di imparare e svolgere il lavoro insegnatogli da Giuseppe, come ci attestano i vangeli, dato che Egli è conosciuto non solo come «il figlio del falegname» (Mt 13,55) ma anche semplicemente come «il falegname» (Mc 6,3). Questa “normalità” sarà motivo di scandalo nel momento in cui Egli inizia il suo ministero pubblico, con la sua predicazione straordinaria e i primi miracoli. Anche noi a volte lo dimentichiamo: Gesù, Figlio di Dio, ha lavorato. In questo modo la Rivelazione rovescia il giudizio del mondo greco-romano che aveva sempre considerato il lavoro, soprattutto quello manuale, indegno per un uomo libero. (...).
La fede cristiana rettamente compresa mira così ad unificare la vita dell’uomo e non a vivere a compartimenti stagni come se si potesse dividere la fede vissuta nel tempio e la vita quotidiana, poiché nulla di ciò che è umano è senza valore. Pertanto mai il lavoro è separato e slegato dalla preghiera, ma tutto può essere innalzato ad essa se compiuto per la lode e gloria di Dio. È questa la grande lezione del monachesimo, sintetizzato nel motto benedettino «ora et labora», che ha permesso la nascita di quella civiltà cristiana che con tutti i suoi capolavori (cattedrali, dipinti, sculture, prodotti artigianali) attrae da ogni luogo anche nel nostro tempo i cuori degli uomini e delle donne assetati di verità e di bellezza.
È possibile acquistare La Bussola mensile abbonandosi (il costo annuo per 11 numeri è di 30 euro) o acquistando le singole copie nelle parrocchie che la esporranno.
Per l’abbonamento si può pagare con:
- Paypal e carta di credito direttamente dal nostro sito clicca qui;
- bonifico bancario sul conto intestato a Omni Die srl
IBAN: IT26S0200820405000102360730
causale: Abbonamento mensile
(quindi inviare una mail a abbonamenti@labussolamensile.it con i dati per la spedizione)
- bonifico postale intestato a Omni Die srl
IBAN: IT33E0760101600001067133064
- Conto corrente postale no. 1067133064, intestato a Omni Die srl
Per ulteriori informazioni scrivere a abbonamenti@labussolamensile.it o visita: www.labussolamensile.it
Da Giuseppe a Geppetto, il falegname tra realtà e fantasia
Tra i santi è san Giuseppe il falegname più celebre, cui i Vangeli si riferiscono con il termine più ampio di téktōn. Nella letteratura, invece, il falegname più conosciuto è Geppetto. Famosa l’interpretazione che ne diede il cardinal Biffi. E centrale è questo mestiere anche nel leopardiano Il sabato del villaggio.
San Giuseppe, una luce per la Dottrina sociale della Chiesa
Giuseppe è maestro di ogni vita quotidiana nella società anche di oggi, innestando l’azione nella contemplazione. Eppure, nessuno aveva fin qui trattato le sue sante qualità dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. Colma tale lacuna l’ultimo Bollettino dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân, dal titolo “San Giuseppe: paternità, castità, lavoro”.