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LOCKDOWN

Il grande ingorgo del commercio con la Cina

La crisi provocata dalla pandemia e dalle politiche di lockdown ha iniziato a colpire duramente i nostri mercati nell’estate del 2021. Ora un'altra crisi è in arrivo: per settimane, migliaia di navi sono rimaste bloccate in Cina, a causa della congestione dei porti commerciali (soprattutto Shanghai) dovuta al nuovo lockdown.

Economia 07_05_2022
Shanghai

La crisi provocata dalla pandemia e dalle politiche di lockdown ha iniziato a colpire duramente i nostri mercati nell’estate del 2021. A questa si sta aggiungendo quella alimentare ed energetica provocata dalla guerra in Ucraina. Ma una terza arriverà sicuramente, in rapida successione. Non è un malaugurio, ma è già una constatazione: per settimane, migliaia di navi sono rimaste bloccate in Cina, a causa della congestione dei porti commerciali (soprattutto Shanghai) dovuta al nuovo lockdown.

Secondo una stima effettuata a fine aprile dall’agenzia Windward, il 20% delle circa 9000 navi porta-container era fermo di fronte ai porti, in giganteschi ingorghi, un terzo dei quali nei porti cinesi. Si tratta di un dato raddoppiato rispetto a quelli del mese di febbraio, prima dei nuovi lockdown cinesi. Secondo un’altra agenzia di analisi, Project44, I ritardi nelle spedizioni dalla Cina ai porti europei e nord americani sono quadruplicati da marzo ad aprile, dopo la chiusura di Shanghai, uno dei principali scali mondiali delle navi porta container.

Le autorità di Shanghai negano che vi siano problemi delle attività portuali: lo scalo è aperto e operativo. Ma le analisi degli osservatori confermano il contrario. Il porto può anche essere aperto, ma gli ingorghi ci sono, dovuti al rallentamento delle attività e alla riduzione del personale. Shanghai, all’inizio di maggio, ha ricominciato gradualmente a riaprire, ma prima che si sblocchi la situazione occorre attendere ancora mesi. Il danno è fatto, insomma e per tornare ad un traffico marittimo normale si deve attendere almeno l’estate.

Questa situazione è legata direttamente alle ultime politiche di lockdown. Prima di marzo, infatti, si stava già notando un miglioramento nell’organizzazione delle catene logistiche. Benché i tempi di spedizione fosse aumentati nel corso del 2021, erano migliorati da dicembre, gennaio e febbraio. Solo da marzo sono tornati ad allungarsi di nuovo.

La difficoltà non riguarda solo il porto, ma anche i passaggi a monte: i camionisti che devono portare i container fino alle navi vengono bloccati dalle rigide regole imposte dalla politica di Covid zero, sia perché ci sono limiti negli spostamenti di terra, sia perché possono entrare in Shanghai solo camionisti che hanno effettuato il tampone.

Oltre al problema di come e quando spedire, c’è anche quello di cosa spedire. Perché, con l’inizio dei nuovi lockdown, le autorità hanno anche ordinato la chiusura delle fabbriche, incluse le filiali in Cina delle aziende europee e americane. Anche quegli impianti che hanno continuato ad operare, hanno comunque dovuto rallentare la produzione per assenza di lavoratori… chiusi in casa, a causa delle nuove misure anti-Covid. Quelle attività che stanno riaprendo in questi giorni, invece, hanno ora difficoltà a reperire materiale e i mezzi per spedire i prodotti lavorati.

Questa situazione di paralisi industriale e commerciale non tarda a produrre effetti anche in Europa. Prima di tutto ha causato un crollo di fiducia nel mercato cinese. In un’indagine condotta a livello Ue in questi giorni, un sondaggio effettuato su 400 aziende europee, risulta che almeno un quarto sta riconsiderando i suoi piani di investimento in Cina. L’83% dice di avere subito danni dai lockdown imposti da Pechino. Il 60% si aspetta perdite di profitti tra il 6 e il 15% a fine anno, il 92% dichiara di essere stata colpita dalle interruzioni della catena logistica. “La prevedibilità del mercato cinese è sparita”, secondo Joerg Wuttke, il presidente della camera di commercio europea che ha commissionato lo studio.

L’impatto sull’economia europea e nord-americana è difficilmente stimabile, ma consisterà in un ulteriore aumento dell’inflazione, data dalla scarsità dei beni. Ma anche l’economia cinese stessa potrebbe essere forte e senza un rilassamento immediato delle regole anti-Covid la Repubblica Popolare potrebbe andare incontro alla seconda contrazione del Pil dall’inizio della pandemia nel 2020. Ma è difficile capire quando arriverà questo rilassamento, considerando che, al momento, 27 città di grandi dimensioni sono sottoposte a regime di lockdown, per un totale di 185 milioni di abitanti (tre volte tanto la popolazione italiana) confinati in casa. Anche la stessa capitale, Pechino, ha chiuso uno dei suoi quartieri più popolosi. Xi Jinping, questa settimana, ha ribadito che la Cina continuerà a perseguire la sua strategia di tolleranza zero sul virus. A tutti i livelli governativi ha chiesto di “aderire risolutamente alla politica Covid zero”. Costi quel che costi.

Perché? Solitamente si considera la Cina come un sistema misto, comunista-capitalista, molto più attenta agli affari che all’ideologia. La gestione della pandemia sta invece dimostrando il contrario. Ancora una volta il Partito Comunista vuole affermare il suo potere sul settore economico. Anche questo si può comprendere solo alla luce della politica neo-maoista di Xi. La ricca e cosmopolita Shanghai è stata punita con un durissimo regime di lockdown, imposto direttamente dai vertici di Pechino, contro il volere delle autorità locali. Le navi che attendono in fila di fronte al suo porto, o tornano scariche, perdendo ricchezze e aspettative di crescita, sono le vittime (involontarie) della volontà del nuovo imperatore.